Zedda: il valore dell’esempio e del rispetto delle regole, ma ora “tocca a noi”
di Rossella Aprea –
Quando la politica presenta il suo volto migliore
A poco meno di due mesi dalle storiche e rivoluzionarie amministrative di giugno che hanno portato a “furor di popolo” tre uomini “insoliti” per il mondo della politica attuale alla gestione dei comuni di Milano, Cagliari e Napoli, dovremmo guardare con particolare attenzione a queste realtà locali, che potrebbero veramente rappresentare dei laboratori sperimentali per un nuovo modo di fare e vivere la politica, anche a livello nazionale.
Questi neosindaci hanno ereditato situazioni economiche disastrose, problemi e difficili condizioni locali di vivibilità, aggravatisi in decenni di mala gestione, e certamente non risolvibili con la rapidità che sarebbe necessaria e che solo nel mondo magico delle fate sarebbe possibile.
Hanno alimentato speranze e aspettative che si dovranno misurare e scontrare con realtà e quotidianità complesse e dure, ma questi uomini “nuovi”, ognuno con il proprio stile, ci provano.
Tutti e tre – Pisapia, Zedda e De Magistris – hanno promesso e dato spazio alle donne, che tanta parte hanno avuto nell’alimentare l’indignazione collettiva nei confronti di una politica parassita e pecoreccia, che contravviene costantemente alle regole, ormai totalmente priva di qualsiasi forma di moralità pubblica e privata.
Il giovane sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, 35 anni, ha dato vita alla giunta “più rosa d’Italia”, come è stata definita, costituita da solo 10 assessori, tra cui ben 6 donne, oltre al vicesindaco, Paola Piras. I collaboratori di Zedda sono tutti professionisti (dirigenti, funzionari, imprenditori) e cittadini comuni, scelti indipendentemente dall’età e dall’iscrizione a partiti.
Zedda, inoltre, già consigliere regionale, si è dimesso da quest’incarico due mesi prima che maturasse il suo diritto a percepire il vitalizio che scatta a metà legislatura. Un gesto normale e di puro rispetto delle regole, ma che è sembrato straordinario in un Paese in cui pochi le considerano e le rispettano ormai.
“Credo, da primo cittadino, di dover dare un esempio, non mantenendo entrambe le cariche”, così Zedda ha annunciato la sua decisione. Ma l’esempio e il rispetto delle regole si compongono di tanti piccoli gesti e comportamenti, che il neosindaco cagliaritano sembra intenzionato a perseguire.
E così in un periodo di crisi economica sempre più grave per il Paese, a cui viene chiesto di compiere sacrifici sempre più onerosi, ecco immediato il taglio agli sprechi a Cagliari: dall’eliminazione delle auto blu al ridimensionamento degli stipendi degli assessori (1800 euro al mese), al rispetto della raccolta differenziata anche in Municipio (come nel resto delle città), alla recente approvazione della certificazione digitale che consentirà ai cittadini di Cagliari di ottenere o trasferire da un ufficio all’altro tanti documenti senza fare file, ma tramite computer, ricorrendo a timbri e firme digitali. Un nuovo stile, un modo rigoroso di occuparsi della “res publica”.
“Meritarsi” la qualità dei propri amministratori
Se gli amministratori devono meritare la fiducia e il consenso dei cittadini, anche i cittadini dovrebbero “meritarsi” la qualità dei propri amministratori, comportandosi correttamente a prescindere da chi li governa, e pretendendo che chi svolge un incarico pubblico “stia” nelle regole. Solo in questo modo ci si potrà difendere dagli amministratori incapaci e disonesti, limitandone i danni, perché certamente non verrebbero “tollerati”. Ma se ora alcuni primi cittadini cominciano a dare l’esempio, gli italiani dovrebbero ispirarsi allo slogan della campagna elettorale di Zedda “Ora tocca a noi!”, abbandonando vittimismi e giustificazioni che sarebbero solo le ennesime comode scuse per proseguire in comportamenti di mera convenienza personale e scegliere in che Paese vogliono vivere. Bisognerebbe cancellare con rigore anche i più piccoli privilegi, perché la mentalità e la sottocultura dello scambio dei favori e dell’acquisizione dei privilegi non possa trovare più spazio, perchè questo Paese ha bisogno di gente “capace”, a cui stia veramente a cuore il bene della collettività. Mai come ora, ci stiamo rendendo conto che il riconoscimento del merito non è solo un diritto del singolo, ma un bene indispensabile per la collettività, da incentivare, valorizzare ed impiegare al meglio.
Se si ricercano, si accettano o si concedono vantaggi, anche inizialmente di piccola entità, si riuscirà a comprendere quando e come fermarsi, prima di sconfinare in una catena di abusi e soprusi sempre più gravi?
Non è forse questo, quello che è accaduto nel nostro Paese, in cui il limite del possibile e dell’accettabile si è continuamente spostato verso l’alto tra il silenzio colpevole, l’indifferenza stolta e la complicità indecente di tutti, in particolare di quanti avrebbero potuto dire “No”? Non è forse questa cultura dell’illecito e dell’abuso ad ogni costo, che ha trascinato nel fango le istituzioni e l’immagine di un intero popolo, anche di quella parte che con dignità ed operosità, ancora mantiene in vita un malato ormai giunto allo stadio terminale? A cosa dovremo assistere ancora prima di capire che è imprescindibile e improcrastinabile una terapia d’urto, radicale, drastica, senza indulgenze e pietismi per dare una reale chance di recupero ad un malato agonizzante quale oggi si presenta il nostro Paese? E soprattutto quando pretenderemo che paghino il conto più salato esclusivamente coloro che hanno sbagliato, impedendo che le conseguenze di comportamenti dissennati, incompetenti, o peggio colpevoli, ricadano su tutta la popolazione, o peggio su quella parte della popolazione, che da sempre ne ha tollerato e sostenuto i costi?
L’esempio islandese, fatte le debite considerazioni su differenze e peculiarità del paese nordico, dovrebbe farci capire che è possibile dire “basta!”e pretendere un nuovo modo di servire e partecipare alle istituzioni. Non è ammissibile accettare ancora quello che viene imposto, soprattutto se questo tipo di decisioni viene assunto dalle stesse persone che ci hanno condotto al disastro, dopo averlo tra l’altro occultato e negato per anni.
E’ il popolo che deve riappropriarsi dei propri diritti, della propria sovranità e decidere del proprio futuro attraverso forme, anche nuove, di democrazia diretta e partecipata, in modo che le persone “meritevoli” e le proposte migliori possano emergere ed essere accolte a beneficio della collettività.
Questo è il percorso alternativo, nuovo, interessante che la vicenda islandese dovrebbe insegnarci: “Ora tocca a noi.”