I lussi del terzo millennio
di Cinzia Fortuzzi –
Il tempo, lo spazio, il silenzio, l’ambiente pulito (aria, acqua, cibo) sono secondo Hans Magnus Enzensberger i lussi del Terzo Millennio.
Già nel terzo secolo Teofrasto nel Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, sosteneva che il tempo fosse la cosa più preziosa che un uomo possa spendere. Mentre è celebre la frase di Mafalda: “Fermate il mondo voglio scendere!”.
Non è questo il luogo, tuttavia, per affrontare un’analisi filosofica del tempo, mettendo a confronto il tempo della scienza, con quello della coscienza o con quello dei filosofi o ancora con quello delle emozioni, ma una cosa è certa: per gli uomini e le donne di questo terzo millennio, esso è diventato una continua rincorsa del futuro. Il futuro però si presenta sempre più incerto specie per coloro che dovrebbero averne di fronte più degli altri e cioè i giovani.
Prigionieri del tempo
Ognuno di noi, ormai comunemente, quando fa una telefonata con un cordless o lavora al computer sia a casa che in ufficio, contemporaneamente si occupa di altre cose in un demenziale multitasking che costringe a una perpetua situazione ansiogena con il pensiero spostato all’azione immediatamente successiva. Tale multitasking è moltiplicato anche da strumenti come internet e/o i social network che apparentemente annullano il tempo e lo spazio tra gli individui, ma spesso aumentano le distanze emozionali. Molti ormai ricordano con nostalgia le lunghe e noiose estati di una volta, durante le quali per trascorrere il tempo si era costretti a leggere e ad osservare quanto ci circondava (la natura, le persone, etc.) e, in mancanza di meglio, a porsi delle domande sull’esistenza.
I ragazzi di oggi, invece, fin dalla scuola materna, sono quasi costretti a intraprendere le attività più diverse pur di non “annoiarsi”: dal gioco, alle attività sportive, alla musica, al ballo e via discorrendo. Raggiunta, poi, l’età adulta, si devono impegnare nella ricerca di un lavoro, oppure, avendo avuto la fortuna di trovarlo, sono costretti a trascorrere ogni singolo minuto in attività considerate più o meno utili.
Tempo e creatività
Nel lavoro, inoltre, spesso l’efficienza è una mera misurazione della quantità di attività svolte e non della loro qualità. Purtroppo, questa idea quantitativa prevale quasi in ogni circostanza: quanto si studia piuttosto che la qualità di ciò che si studia: quanto si sta in ufficio piuttosto che la qualità del lavoro svolto e così via. La mancanza di tempo, la disattenzione, la mancanza di sicurezza spesso sono alla base di gran parte degli errori umani e di infortuni accidentali.
Oggi con la globalizzazione, invece, spesso sentiamo dai media che le imprese che riescono a fatturare sono sempre più spesso quelle che progettano cose qualitativamente migliori. A questo proposito, un esempio incoraggiante nella storia delle organizzazioni è quello della 3M, che nel 1980 aveva incoraggiato i propri dipendenti a spendere il quindici per cento del loro tempo di lavoro su un progetto scelto da loro stessi: il post-it è nato da questa iniziativa.
Alla ricerca del tempo perduto
Potremmo a questo proposito citare le parole di Henry Mintzberg che sostiene che “Le strategie (di un’azienda) nascono e si sviluppano inizialmente come erbacce in un giardino, non sono coltivate come pomodori in una serra”. Dunque creatività e immaginazione risiedono in ciascun essere umano ma hanno bisogno di tempo per essere elaborate e scaturire, mentre oramai ci si è abituati a pensare al tempo solo in modo quantitativo. Insomma ci si interessa di più al tempo di evasione di una pratica, piuttosto che alla sua qualità.
L’uomo, privato del proprio tempo, non è più in condizione di riflettere né su se stesso, né sul proprio modo di vivere, né sul tempo storico che sta vivendo. Patrick Viveret sostiene che la finitezza della vita dovrebbe ridare valore al tempo vissuto da ciascuno. Riappropriarsi del tempo quindi significa riappropriarsi della propria umanità, ridare valore alle relazioni, al pensiero, alla creatività, interessarsi al proprio tempo e ricominciare a chiedersi dove si stia andando, evitando così di rotolare inconsapevoli verso l’abisso.