di Rossella Aprea
Il successo de La Vita Agra, pubblicato nel 1962 fece conoscere al grande pubblico Luciano Bianciardi, apprezzato e scomodo giornalista, autore con l’amico Carlo Cassola nel 1956 del libro-inchiesta I minatori della Maremma. E’ oggi la stessa Vita Agra che, qui riproponiamo per la sua sorprendente attualità, a far riaccendere i riflettori su Luciano Bianciardi, un angry young man, critico spietato nei confronti delle convenzioni e delle ipocrisie di una società che stava alienandosi in nome dei “dané” (danari in milanese).
Il romanzo si apre con la tragedia nella miniera di Ribolla in Maremma nel 1954. che portò alla morte di quarantatré minatori. Causa della tragedia fu il mancato rispetto delle misure di sicurezza, sacrificate dalla proprietà alle ragioni del profitto. Di fronte alle responsabilità morali e alle inadempienze materiali dei padroni, il protagonista del romanzo, un giovane del luogo, intellettuale, socialista si reca a Milano per vendicare le vittime.
Obiettivo: distruggere con un ordigno il Torracchione, l’imponente grattacielo della Montecatini, nel quale siedono, disponendo delle vite altrui, i proprietari della miniera. Impiegatosi prima in un giornale, poi come correttore di bozze e infine come traduttore dall’inglese, il protagonista, giorno dopo giorno, abbandona progressivamente i motivi e le tensioni che lo hanno spinto a cambiare vita e città per farsi avviluppare anche lui dalla metropoli, così diversa, così alienante e caotica rispetto ai ritmi della provincia toscana.
La sua vita si appiattisce sul tran tran quotidiano, estraniata rispetto alla realtà circostante, ma pienamente integrata in quel processo di trasformazione epocale che il miracolo economico stava determinando in modo irreversibile. Così quella che era un’esistenza segnata dalla tensione politica e sociale, si trasforma in una vita agra, dura e sempre più povera di slanci etici, trascorsa pigramente alla giornata.
La vita agra ci colpisce non solo per la straordinaria capacità di Bianciardi di sondare la realtà del suo tempo, ma anche, in questo modo, di tratteggiare, intravedere e rappresentare la nostra realtà, quella che ancora oggi è la nostra vita agra.
In questo romanzo impietoso e dissacrante viene ritratta l’immagine della città – e specificamente di Milano – nel momento in cui il “miracolo economico” fa la sua comparsa. La corsa al benessere, la conquista delle opportunità che appaiono finalmente disponibili a tutti nascondono un altissimo prezzo da pagare: il disagio esistenziale di un sistema che spersonalizza. E questo processo non si è mai arrestato.
Luciano Bianciardi si spense a 49 anni nel 1971, ma la sua “vita agra” continua a non mostrare i segni del tempo, anzi ci impressiona non poco ritrovare in questo romanzo concentrati tutti i temi e le problematiche che affliggono ancora oggi, in forma, se si vuole, ancor più esasperata, la nostra società.
Bianciardi aveva capito tutto – il consumismo, gli eccessi del femminismo, lo sfruttamento del lavoro dei precari, i rischi per la sicurezza sul lavoro, la dissoluzione dei legami di convivenza civile, l’egoismo carrieristico e la pericolosità sociale delle masse impiegatizie, l’inconcludenza aziendale, la crisi dei valori della sinistra, l’uso delle strategie di marketing e il simbolismo sessuale, l’indifferenza sociale e la disumanizzazione –, reagendo con la denuncia scritta di quanto stava accadendo, una denuncia lucidissima e senza sconti. La Vita agra diventa, perciò, una fonte ricchissima di rappresentazione di tutte le storture e le ipocrisie di cui si compone ancora oggi la nostra quotidianità.
Uomo di sinistra, plasmato agli ideali della sinistra, per essere dalla parte dell’uomo, ben prima di molti sociologi, Bianciardi aveva saputo cogliere gli effetti di una radicale trasformazione socio-culturale, intuendo come la nostra rivoluzione industriale stava cambiando il carattere e le abitudini di un paese contadino ed austero, scopertosi improvvisamente moderno ed opulento. Una mutazione antropologica che non sfuggirà ad un altro attento osservatore della nostra società come Pierpaolo Pasolini.
Basta leggere alcuni brani da La vita agra per comprendere la spietata e lucida rappresentazione di una realtà che dopo cinquant’anni non ci ha ancora visto prendere coscienza dei guasti che sulle nostre esistenze questi comportamenti hanno determinato.
Così Bianciardi, ad esempio, descrive le aspirazioni carrieristiche degli impiegati nelle aziende attraverso la tecnica di marcamento:
Il metodo del successo consiste in larga misura nel sollevamento della polvere. […]E poi badare ai marcamenti. Marcamenti a zona, marcamenti a uomo, Radice su Corso, David su Bettini, Salvadore su Hitchens liberando Maldini il capitano, il Cesare nostro, che è grande ma l’è anca un po’ ciula. Il marcamento di primo tipo giova ai piani minori, e se ne servono infatti le segretarie d’ogni livello, che io conosco meglio di ogni altro in Europa sia per esperienza diretta, sia per approfondimento teorico degli studi, essendo io, pur senza figurare, l’autore della più usata e citata trattazione sull’argomento.
La segretaria ideale dunque marca a zona, si sceglie un settore e lo fa diventare importante. Basta anche un settore umilissimo, anzi è meglio. Ho conosciuto una segretaria che sapeva soltanto leccare le buste e i francobolli, eppure diventò indispensabile, perché fece in modo che il pensamento e la stesura delle lettere diventassero attività sussidiarie del leccamento suo.
«Le mie lettere, dottàre» diceva slabbrando le vocali. «Scusi se le faccio premura, abbia la cortesia di dettare le mie lettere, che debbo spedirle.»
Ho conosciuto telefoniste che in pratica dirigevano aziende di media grossezza. «Il suo nome per favàre» dicono slabbrando la vocale, oppure, strizzandola: «Il suo nome prigo».
Devi dirgli il nome e il motivo della comunicazione, altrimenti quella si impunta, ti dice: «Lei non vuol callabarare con me» e non ti fa parlare, né camunicare col cammandatare. Basta che una di queste segretariette, con le sue gambette secche e il visino terreo, si impadronisca d’un pezzo di tubatura aziendale, e lo intasi, perché poi tutto si subordini a lei.
Ancora a proposito di lavoro precario, ecco che cosa è costretto a subire un giovane traduttore, un collaboratore esterno, da parte di un’impiegata-redattrice con posto di lavoro fisso e diritti sindacali:
Lei mi traduce: Sotto ragazzi, eccetera. […] Il testo dice: Come on boys. Capisce? Lei mi ha invertito il significato. Come on boys vuol dire venite su ragazzi. Lei mi mette l’opposto, cioè non su, ma sotto. E ancora, più avanti, dove descrive l’alzabandiera a bordo. Lei ha tradotto, mi pare, i marinai si scoprirono, sì, si scoprirono, ha tradotto lei, mentre il testo inglese diceva: The crew raised their hats. Vede l’inglese come è preciso? La ciurma alzò i loro cappelli. Alzò, capisce, come a salutare la bandiera sul pennone».
Il drammatico episodio del barbone alcolizzato, lasciato morire, rantolante e sofferente, nella solitudine di un marciapiede fra l’indifferenza di una folla che passa oltre, sembra racchiudere, nella sua cruda banalità, tutta l’angoscia del protagonista di fronte alla scomparsa di valori, come la solidarietà, per lasciare posto al senso di estraniazione e indifferenza, il prezzo da pagare per partecipare al nuovo benessere.
Anche nei confronti del ruolo della donna nella società e delle sue rivendicazioni, Bianciardi è sarcastico.
Mentre l’uomo ha sulle spalle millenni di storia faticosa e ingrata, la donna esce appena oggi dalla soggezione, fresca e riposata, carica di energia e di voglia di rifarsi contro l’oppressore maschio.
Lo sposa, per avere alle spalle una copertura sociale ed economica. Così non ha l’assillo del bilancio mensile, a cui pensa il marito. Se per avventura a lei passa la voglia di lavorare, chi porta il pane a casa ce l’ha. Però lavora, lei, quindi ha diritto di avere una sua personalità, anzi di possedere una personalità[…].
Al marito si concede la sera del sabato, e rapidamente, perché è stanca e ha da fare. Lui, certo, può piantarla, ma in tal caso le passerà gli alimenti. Se muore, come spesso accade, la pensione va alla vedova, mentre non vale il contrario.
E ironicamente realistica è ancora la rappresentazione del mondo aziendale e delle sue tecniche per la conquista del potere e delle proprie sfere di influenza.
I dirigenti maschi più astuti se ne sanno giovare e dispongono i loro marcamenti. Si vede subito chi è destinato a far carriera, si vede perché per prima cosa riesce a farsi dare una segretaria, magari mezza, così per cominciare. Ha il telefono lì sul tavolo, gli basterebbe fare il numero e chiacchierare, e invece no, suona il campanello, chiama la segretaria, le ordina di cercargli il numero e di dargli la comunicazione, e mentre quella armeggia col disco bucato, lui sta impassibile ad aspettare che l’altro sia in linea. Non se la tira sulle ginocchia, non le tasta il sedere, no. Queste sono barzellette, e lui sa che la segretaria è asessuata, sa che la segretaria serve a tenere i marcamenti, a fare polvere, a dare la sensazione dell’attività.
I grossi dirigenti hanno almeno due segretarie generali, ciascuna delle quali mette al mondo per partenogenesi due segretariette più piccine, e avanti così, per geminazione, secondo vuole la legge di Parkinson. Ai marcamenti a zona provvedono loro, al dirigente resta da badare agli altri, cioè ai marcamenti a uomo. L’uomo da marcare è il superiore più alto accessibile[…]. Occorre stargli alle costole di continuo, non dargli mai il tempo di ricevere la palla, bisogna anticiparlo sempre, avere le sue idee un attimo prima che egli si accorga di averle. Il dirigente destinato a far carriera ha miriadi di idee, anzi le ha tutte, quanto più contraddittorie tanto meglio, perché contraddittorio e capriccioso è il padrone. Dirà il questo e il non-questo, il quell’altro e poi il suo opposto, tutto filato, senza scarti né pause.
E non si creda che sia sempre utile l’atteggiamento supino e servile. Spesso anzi bisogna dare torto al padrone, ma beninteso quando il padrone, per una sua libidine neocapitalistica, brama che gli si dia torto.
“La vita agra” è anche una critica feroce al mondo dell’editoria e al suo linguaggio, di cui Bianciardi – da addetto ai lavori – si serve per ridicolizzarla fino a mostrarne il carattere d’ industria che sforna prodotti in serie per un pubblico abituato al consumo.
Da Bianciardi vengono messe a nudo le varie dinamiche della società capitalista: l’alienazione della metropoli, la nausea del traffico, la vita che si fa automatismo, ma nella sfrenata corsa al progresso le relazioni sociali si allentano, i rapporti umani s’inaridiscono.
Non trovi le persone, ma soltanto le loro immagini, il loro spettro […] Ogni mattina la gita in tram è un viaggio in compagnia di estranei, che non si parlano, anzi di nemici che si odiano.
Sorprendono, per i tempi non sospetti, i riferimenti alle strategie del marketing e al sesso che diventa altro da sé, che allude, si fa simbolo
Dicono: guardate come oggi per vendere un’aranciata la si accoppi ad un simbolo sessuale, e così un’auto, un libro, un trattore persino […]
e la rincorsa ai falsi miti delle mode
Altrimenti come spieghereste le fortune delle diete dimagranti, del modello steccoluto e asessuato, il quale riassume ed eleva a modulo la donna arrivista, attivista, carrierista, stirata, tacchettante, petulante e quindi negata al coito verace?
[…] Tutti questi sono i sintomi, visti al negativo, di un fenomeno che i più chiamano miracoloso, scordando, pare, che i miracoli veri sono quando si moltiplicano pani e pesci e pile di vino, e la gente mangia gratis tutta insieme […] I miracoli veri sono sempre stati questi. […] E’ aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media,la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria del giro d’Italia.
Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo. […] E se poi fosse soltanto una questione politica, io saprei il da fare. Se si trattasse soltanto di aprire un vuoto politico, dirigenziale, in Italia, con pochi mezzi ci riuscirei, […] Con trenta omicidi ben pianificati io ti prometto che farei il vuoto, in Italia.
Ma il guaio è dopo, perché in quel vuoto si ficcherebbero automaticamente altri specialisti della dirigenza […]specializzati sugli stessi libri di quelli che dirigono adesso, ragionano con lo stesso cervello di quelli di ora e farebbero le stesse cose. […] No,[…] ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-economico-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine.
Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha. […]
Non credo che quest’ultimo brano abbia bisogno di particolari commenti, possiamo solo concludere che per la ricchezza dei contenuti e degli stimoli il libro ci appare quasi una profezia che si avvera sull’Italia che fu e che sarebbe diventata, così come oggi è in realtà. Attraverso le pagine di Bianciardi quest’Italia ci appare grottesca, ridicola, viziata, alienata, profondamente malata, bisognosa di ritrovare valori morali e sociali che le ridiano senso e che le forniscano un orientamento per costruire un futuro diverso, per realizzare una sorta di risorgimento morale e culturale, l’unico evento che potrebbe salvarla dall’autodistruzione.