di Rossella Aprea –
Si dice che c’è un tempo per tutto, per vivere, per amare, per imparare, per piangere. C’è un tempo per sbagliare e un tempo per fare le cose giuste. C’è un tempo per aspettare e raccontare la propria infelice condizione e un tempo per agire. Non è consentito sbagliare il tempo, perché poche saranno le occasioni giuste. Che tempo è questo allora per noi? Io saprei cosa rispondere. So che tempo è per me e mi piacerebbe che lo fosse per tutti noi, o almeno per molti. UN TEMPO PER ESSERCI…E IO CI STO!
Noi non ci siamo e nessuno perde occasione per approfittarne, per utilizzarlo a proprio vantaggio. Non ci siamo, anche se siamo tanti. Milioni. Non ci siamo, eppure gran parte dell’economia di questo Paese si regge su di noi. Non ci siamo, anche se saremo noi il futuro di questo Paese. Non ci siamo, siamo solo dei figli, a cui nessuno concede il diritto e il rispetto di diventare grandi. Non ci siamo per l’economia, per il governo, per gli altri, per chi un lavoro ce l’ha, forse persino per i nostri genitori, che ci mantengono. Non ci siamo né come singoli, né come entità, come categoria. Non ci siamo quando si parla di diritti e di tutele e non ci siamo nemmeno quando si parla di abusi e sfruttamento. Assistiamo alla nostra realtà immersi in una serie di assenze che dovremmo percepire come intollerabili, ma delle quali non siamo ormai neanche più consapevoli. Assenze, mentre questo è un tempo per esserci. Assenza di fiducia, assenza di futuro, assenza di opportunità, assenza di rispetto, assenza di cultura, assenza di civiltà. Assenza di vita. E in tutta questa assenza ci sentiamo soli. Noi siamo soli. Così, soli e confusi, ancor più rassegnati, ci accontentiamo di sopravvivere e non di vivere, ci accontentiamo del poco che ci viene concesso senza pretendere, senza costruire per ottenere di più di quello che ci permettono in questa vita.
E invece quanto mi piacerebbe smentire, sorprendere, far ammutolire quanti hanno saputo usare solo parole critiche e offensive nei nostri confronti, specie in questi giorni. Quanto mi piacerebbe vederli cambiare atteggiamento passando dalle offese alle blandizie, perché siamo diventati degli interlocutori reali, forti e risoluti. Quanto mi piacerebbe che tutti noi ci rendessimo conto di quanto sia insensato e stupido perseguire solo i nostri piccoli interessi, lasciando che sopravvivano particolarismi e frammentazioni, che ci rendono solo deboli e inconsistenti. E quanto mi piacerebbe non sentirmi più così sola, ed essere parte di un grande movimento collettivo, che riaccenda la speranza nel presente e nel futuro. Come mi piacerebbe, perciò, che ogni singolo precario, e tutta la miriade di organizzazioni settoriali di precari, grandi e piccole, rispondessero a questo appello con una sola frase. IO CI STO! Ecco, questo diventerebbe il nostro tempo per esserci, e non saremmo più soli, confusi, avviliti, derisi e sfruttati, ma ci saremmo anche noi in questa società. Un grande movimento sociale, che potrebbe cominciare a cambiare la realtà. Ci si salva solo a patto che lo si faccia insieme, io non vedo altro. E dalle labbra di coloro che pronunciano solo prevedibili parole di sfiducia, vorrei potessero venire parole come quelle di Aldo Capitini: “Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto” e ancora convincersi e convincere gli altri che “Non è detto che sia immutabile la realtà dove il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Chi accetta questo mondo, non ne diviene forse responsabile? Io non lo accetto e voglio esserci. Questo è il mio tempo e tutto comincia da ciascuno di noi, perciò prima di chiedere a voi, comincio io a rispondere a questo appello, per creare una grande rete di uomini e donne precari, che sfruttando la rete virtuale, riescano finalmente a costruire insieme iniziative concrete per cambiare. IO CI STO! E tu?
Una precaria
E’ un appello. Il mio. Ma potrebbe essere di chiunque, di chiunque si trovi o si troverà in questa condizione. La mia scelta (la nostra scelta come Lib21) di partecipare al mondo precario è una scelta di civiltà, di giustizia, di onestà morale e intellettuale. Ci schieriamo dalla parte dei più deboli, in un mondo che sceglie i forti e i vincenti e si identifica solo con quelli (vedi Riforma del lavoro: ma dove sono i precari? e l’inchiesta Vita da precario). Lo lanciamo come un messaggio in una bottiglia in mare aperto, consapevoli che potrebbe anche restare inascoltato. Ma non importa. Il messaggio deve essere lanciato, perché “è meglio aver provato e fallito, almeno avremo fatto qualcosa”. Così ho deciso di scrivere io. Sono stata precaria e potrei ritornare ad esserlo. Potremmo tutti ritornare ad esserlo, non dimentichiamolo. Oggi più che mai la condizione dei precari è un problema che ci riguarda. Quel precario che viene sfruttato e non ha alcuna tutela potrei essere io, potresti essere tu. E se riuscissimo solo a pensarlo per un attimo, tutto sarebbe diverso. Immagino io, dunque, questo appello di un precario. Lo immagino per chi non crede più in sé stesso, minato nella fiducia e nella speranza. Lo immagino per chi non crede più negli altri, colpito come vittima dell’indifferenza e dell’egoismo altrui, e ne subisce spesso silenziosamente e penosamente ogni forma di ricatto e sfruttamento. Come si può riuscire a guardare le cose da un altro punto di vista, per cercare una vita migliore, per costruirla insieme con gli altri, se non si ha tempo per pensare a null’altro che a come sbarcare il lunario? L’individualismo ci ha condannati alla solitudine, all’infelicità dell’animo, al fallimento.
Quante centinaia di chilometri dividono la parola “io” dalla parola “noi”? Quanti ne dovremmo riuscire a percorrere per ricostruire ciò che abbiamo perso: il bene comune, l’interesse di tutti? Spesso, salvando e lottando per l’interesse comune, salviamo e lottiamo anche per il nostro, ma oggi non riusciamo più a vedere questa opportunità, esiste solo ciò che ci riguarda unicamente in prima persona. Esisto solo io. Rimarrà un messaggio nella bottiglia o qualche imbarcazione di passaggio lo raccoglierà, rispondendo all’appello? Non facciamo anche noi lo stesso errore, che, nel timore che la nostra azione non abbia adeguatamente seguito, restiamo fermi alla ricerca di qualche idea migliore. L’immobilismo non ha mai prodotto nulla, le idee nascono e si trovano cercando, a volte anche per caso o sbagliando, ma agendo, facendo, provando. E così io ci provo.
Chi vuole, dunque, risponda, riprenda questo messaggio, gli dia ali, voce, fiato, gambe e anima. Buona fortuna e fa un buon viaggio… perché, come diceva il poeta Kostantinos Kavafis, “quando ti metterai in viaggio… fa che la strada sia lunga”. Io ti auguro soprattutto questo, che la tua strada sia lunga, amico messaggio… e amico precario.