Tornare a desiderare: una virtù civile necessaria

di Rossella Aprea

Cosa è diventata la società italiana? Una società in cui si manifestano comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi o arrangiatorii, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati ad un presente senza profondità, senza memoria e senza futuro. Così tutto frana verso il basso e si appiattisce. Gli individui vengono sempre più lasciati a se stessi, liberi di perseguire ciò che vogliono, ma senza più regole e afflitti dall’insicurezza. Il capitalismo con il suo meccanismo di offerta continua ha spento il desiderio, la curiosità, la passione, la determinazione a raggiungere degli obiettivi.

Cosa è diventata la società italiana?

Un invito, frutto di un’attenta analisi della società italiana, che emerge nel 44° rapporto sulla situazione sociale del Paese (2010), promosso dal Censis. L’introduzione assolutamente insolita di questo studio intende presentare i più significativi fenomeni socio-economici del Paese, ma anche interpretarne il significato più profondo. Cosa è diventata la società italiana? “Nell’attuale realtà italiana rimbalzano spesso sensazioni di fragilità sia personali che di massa, che fanno pensare ad una perdita di consistenza (anche morale e psichica) del sistema nel suo complesso. È frequente il riscontro di comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi o arrangiatorii, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro.

Con una rassegnazione implicita e diffusa non solo alla grande violenza della criminalità organizzata (“non c’è niente da fare”), ma anche alla insensatezza di molte insensatezze quotidiane (“siamo tutti un po’ matti”).”

Perché tutto frana verso il basso?

Perché? Tutto frana verso il basso: i principi alti e nobili della nostra vita sociale e sociopolitica, la consistenza dei legami e delle relazioni sociali a tutti i livelli, che condannano i singoli ad uno stato di isolamento, il primato del mercato e i riferimenti spazio-temporali della vita quotidiana. Tutto si appiattisce, vince solo una dimensione orizzontale, spesso vuota, tanto che è stato detto che il mondo globalizzato è “un campo di calcio senza neppure il rilievo delle porte dove indirizzare la palla”… una società “piatta” che appiattisce (fa franare) anche tutti i soggetti presenti in essa, e in particolare la loro capacità e il loro vigore soggettivi. Da questa situazione scaturiscono tre fenomeni: cresce l’indistinto (nella dialettica politica, nella comunicazione giornalistica, nella comunicazione televisiva, nelle responsabilità istituzionali, nel mercato del lavoro, in tutti gli ambiti); manca un sistema di regolazione (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori; e cresce la sregolazione delle pulsioni e dei comportamenti individuali.

L’insicurezza, il virus della realtà sociale di questi anni

Siamo una società in cui gli individui vengono sempre più lasciati a se stessi, liberi di perseguire ciò che più aggrada loro senza più il quotidiano controllo di norme di tipo generale o dettate dalle diverse appartenenze a sistemi intermedi. È l’insicurezza il vero virus che opera nella realtà sociale di questi anni. Ed è su di essa che occorre lavorare. Il ricorso alla promozione del merito e a più leggi e norme che diano maggiori sicurezze non bastano più. Per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita occorre spezzare il meccanismo dell’offerta continua, strategia vincente del capitalismo, che sicuramente ha giovato al tardo capitalismo, ma non alla gente comune.

Meglio il conflitto che l’apatia

Perciò bisogna “tornare a desiderare” ..perché solo il desiderio “impone l’altro” (oggetto, relazione, condizione che sia) distogliendoci dalla soggettività autoreferenziale; solo il desiderio non ci appiattisce al deserto tutto orizzontale su cui siamo via via franati; solo il desiderio ci fa alzare gli occhi da quelle reti orizzontali che ci impigliano nell’esistente…. Senza aver paura dei conflitti individuali, collettivi e istituzionali che un rinnovato vigore del desiderio può comportare: meglio il conflitto, oggi, che l’appiattimento, o l’apatia.