Tra le varie ipotesi che si stanno avanzando sui fattori che avrebbero contributo alla diffusione del virus nelle ultime settimane ha preso corpo quella del 5G. E’ vero che molte sono le perplessità e le criticità sull’uso del 5G, soprattutto perchè si servirebbe di inesplorate radiofrequenze senza studi preliminari sul rischio per la salute della popolazione, ma la sua influenza sulla propagazione del virus sembra, al momento, priva di fondamento. Vi è stata un’impennata di ordinanze no-5G da parte di molti comuni durante i mesi della pandemia. Queste decisioni, al di là di una diretta influenza del 5G sulla diffusione del virus, potrebbero essere state conseguenza della particolare sensibilità dell’opinione pubblica alle tematiche ambientali in questa fase.
E’, però, indubbio che il 5G ci esporrà a irradiazioni di campi elettromagnetici a microonde millimetriche da antenne installate sui lampioni della luce, nei tombini dei marciapiedi, sui balconi dei palazzi e persino dentro le case, oltre che col Wi-Fi dallo spazio da satelliti in orbita e droni nel cielo in modo da coprire il 98% del territorio nazionale di radiofrequenze e servire il 99% della popolazione con il wireless di quinta generazione.
Milioni di nuove mini-antenne che inevitabilmente andranno a sommarsi alle già esistenti circa 70 mila Stazioni Radio Base per telefonia mobile 2G, 3G, 4G e alle decine di migliaia di Wi-Fi pubblici attivi. Questo determinerà un’esposizione massiccia della popolazione all’inquinamento elettromagnetico con un innalzamento delle soglie limite per i valori di irradiazione, dalla cautelativa media attuale dei 6 V/m, fino a 61 V/m (ovvero 110 volte più di oggi!).
In un articolo del 30 dicembre 2019 pubblicato sulla rivista l’Internazionale si racconta cosa sta accadendo nel paesino lombardo di Crotta d’Adda, che, come altri piccoli centri, è nella lista dei 120 comuni per i quali l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha previsto nel maggio 2018 la sperimentazione del 5G. Tra i 120 comuni si annoverano anche grandi città: Milano, Bari, Prato, L’Aquila e Matera per cominciare. Grazie a un’asta che in 4 anni porterà 6,5 miliardi nelle casse dello Stato, i principali operatori telefonici: Vodafone, Telecom, Wind Tre, Fastweb, Iliad nell’ottobre 2018 hanno comprato le frequenze del pacchetto 5G.
La nuova tecnologia 5G consentirà di disporre di prestazioni e velocità superiori, portandoci a realizzare l’internet delle cose, come programmare la lavatrice dall’ufficio o avvisare se un bambino è bagnato grazie ad un microchip nel pannolino.
Eppure la sperimentazione del wireless di quinta generazione parte senza studi preliminari sul rischio per la salute pubblica.
Il sindaco di Crotta D’Adda, che non intende rilasciare alcun permesso per piazzare le antenne senza avere garanzie, ha scritto al Ministero della salute, all’Istituto superiore di sanità (Iss) e alle istituzioni locali per avere informazioni e rassicurazioni sul possibile “inquinamento elettromagnetico” della nuova tecnologia, senza ricevere risposta.
Non si tratta di una battaglia contro l’innovazione ma di una battaglia per la nostra salute.
A Bologna l’Istituto Ramazzini, secondo al mondo, dopo l’americano National toxicology program (Ntp), per la quantità di materiali potenzialmente cancerogeni che vengono studiati, ha sottoposto 2.500 ratti del ceppo Sprague-Dawley – con un dna molto simile a quello umano – per 19 ore al giorno, sette giorni su sette, a radiofrequenze (1.800 mhz), simili a quelle cui è esposto chi vive vicino a un’antenna radio base della telefonia mobile, dunque a una fonte di onde elettromagnetiche. L’Ntp ha condotto un esperimento simile negli Stati Uniti con esposizioni sui ratti a frequenze diverse (1.900 e 900 mhz) per un periodo più breve di tempo rispetto a quello testato dal Ramazzini (106 settimane contro l’osservazione fino a morte spontanea).
I due studi si sono concentrati su due diverse fonti di radiazioni: Ramazzini ha studiato gli effetti di un’esposizione a un’antenna, campo lontano; mentre l’Ntp si è occupato delle radiazioni emesse dai telefoni portatili, campo vicino.
Le conclusioni, però, sono simili: in entrambi i casi l’esposizione determina un rischio relativo dello sviluppo di gliomi nel cervello – gruppo di neoplasie maligne del sistema nervoso centrale – e di schwannomi maligni, ovvero tumori delle cellule nervose del cuore, dette di Schwann.
In Italia, l’analisi del Ramazzini ha permesso di notare che l’esposizione al 2G e 3G ha già dato risultati preoccupanti. Il 5G richiederà milioni di stazioni radio base, 20mila satelliti e 200 miliardi di trasmittenti, saremo costantemente sotto l’influenza di campi elettromagnetici.
I sostenitori del 5G affermano il contrario, ovvero che maggiore è la frequenza e minore è la penetrazione delle onde nel corpo umano, ma è sufficiente che sia colpito il sistema elettrico-nervoso e vascolare superficiale per arrecare potenziali danni alla salute, specialmente se questo avviene 24 ore su 24. Parte dei risultati dello studio preliminare del Ramazzini sono già stati pubblicati su diverse riviste scientifiche, una sintesi sugli effetti su cervello e cuore è uscita su Environmental Research nel mese di marzo 2018.
Lo studio del Ramazzini conferma e rafforza i risultati del National toxicologic program americano. Per questo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dovrebbe rivedere la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute possibili cancerogeni, per definirle probabili cancerogeni.
Anche se i risultati delle ricerche sui ratti non significano necessariamente che ciò sia vero anche per gli esseri umani, questi risultati costituiscono un segnale importante, un campanello d’allarme per continuare ad indagare.
Nell’ottobre 2019 il National toxicologic program ha aggiornato lo studio sui roditori, sostenendo che l’esposizione a onde elettromagnetiche non solo ha fatto sviluppare tumori cerebrali nei ratti maschi, ma avrebbe anche causato danni al dna.
In Italia l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha assunto una posizione completamente diversa. Nel rapporto Istisan, infatti, essa ha affermato che “l’uso comune del cellulare non sia associato all’incremento del rischio di alcun tipo di tumore cerebrale”. L’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde) ha chiesto all’Iss di “ritirare” il suo ultimo dossier sul rapporto tra telefoni e cancro, e di “rielaborarlo considerando in maniera adeguata tutte le evidenze scientifiche disponibili”.
L’Isde ha pubblicato a settembre in collaborazione con l’European consumers un Rapporto indipendente sui campi elettromagnetici, sottolineando come “la maggior parte degli studi rassicuranti in termini di rischio per la salute su cui si basano le posizioni dell’Oms (e dell’Iss ndr), hanno ricevuto finanziamenti da soggetti privati, fra cui gli stessi gestori della telefonia mobile” e che “i risultati disponibili circa l’esistenza di effetti biologici da esposizione a campi elettromagnetici – compreso il 5G – sono sufficienti per invocare il principio di precauzione, definire i soggetti esposti come potenzialmente vulnerabili e rivedere i limiti esistenti”.
Ci sono, dunque, opinioni contrastanti, anche perché la partita degli interessi economici è elevatissima.
In ogni caso, tutti gli scienziati sono concordi sul fatto che non esistono sufficienti studi epidemiologici sugli effetti del 5G sulla salute umana e ciò dovrebbe costituire un motivo in più per applicare il principio di precauzione, ovvero non installare questa tecnologica fino a quando non si avranno certezze sugli effetti.
Il Defensor del pueblo, organo istituzionale spagnolo ha intimato che il “Plan y proyectos piloto 5G” sia sottoposto a valutazione; l’appello è stato già firmato da 253 scienziati e medici, che mettono in guardia l’Unione europea “a causa dei gravi potenziali effetti sulla salute derivanti da questa nuova tecnologia”. In Belgio l’ex ministra regionale per l’ambiente Celine Frémault ha bloccato la sperimentazione a Bruxelles sostenendo che i suoi cittadini “non sono dei ratti da laboratorio la cui salute si può vendere a scopo di lucro”.
I governi dovrebbero, dunque, prendere tempo in attesa di valutazioni accurate sulla pericolosità di questa tecnologia innovativa. I favorevoli al 5G in Italia a livello parlamentare sono molti. Gli oppositori sono accusati di “luddismo antitecnologico” come la parlamentare del gruppo misto Sara Cunial, che, il 7 ottobre 2019, ha tentato di mettere in guardia sui rischi della nuova tecnologia, ma la sua mozione è stata respinta.
Accanto agli aspetti legati alla salute e ai possibili impatti sull’ambiente (taglio degli alberi, strane morie di uccelli e di api in prossimità delle antenne più potenti) vi è però un’altra questione che inquieta non poco gli oppositori del 5G: la sua imposizione alla cittadinanza senza nessuna consultazione e senza nessun reale controllo preventivo. Per qualsiasi prodotto che si pensa possa avere anche solo ipotetici impatti sulla salute vi sono, a livello mondiale e nazionale, normative da rispettare che obbligano le industrie a produrre studi aggiornati sulle valutazioni del rischio (ad es. industria chimica ma, industria automobilistica).
in Italia, invece, il settore della telefonia è una sorta di zona franca e non è stato richiesto nulla di tutto ciò. È risultata sufficiente la delibera dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e, da gennaio sono state impiantate le prime antenne. A Roma sono già in corso di installazione 200.000 lampioni wireless predisposti anche per tale tecnologia. Il governo pensa ad incassare i soldi della concessione delle frequenze alle varie compagnie (meno della metà di quanto lo Stato incassò nel 2000 per il 3G: 13,6 miliardi). E l’Italia appare sempre più come una sorta di “Paese-laboratorio” dell’Occidente, dove testare nuovi sistemi e tecnologie.
i cittadini dovranno organizzarsi sempre di più per vigilare sul rispetto, non solo dei parametri minimi di sicurezza, ma anche su quei valori di democrazia e trasparenza su cui si fonda la nostra Repubblica.
La società civile si sta effettivamente mobilitando attraverso una rete di piccole realtà che si occupano di disturbi come la sensibilità chimica multipla (Mcs) o l’ipersensibilità ai campi elettromagnetici (Ehs). Da APPLE ellettrosmog – guidata da Laura Masiero e Angelo Gino Levis – a Stop 5g e Amica, che fanno capo ai giornalisti Maurizio Martucci e Francesca Romano Orlando. Si tratta, però, di piccole realtà, prive di finanziamenti, che vanno ognuna per conto proprio in assenza di un coordinamento effettivo.
Dovremmo pretendere per la nostra salute più attenzione, più prudenza e più informazione corretta, perché, a quanto pare, la pandemia non ha insegnato niente ai nostri governanti.