In un momento politico in cui ancora non si è riaperta la discussione sui Decreti sicurezza, le due note e controverse leggi approvate dallo scorso governo in materia di immigrazione, sostenute soprattutto dall’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, vogliamo raccontarvi la storia di chi si impegna silenziosamente perché si sente chiamato dalla propria umanità ad essere solidale con gli altri. Vi raccontiamo i progetti, i pensieri, le speranze, la positività, la leggerezza e la gentilezza di Gaia Spera.
Positività, leggerezza, gentilezza. E’ questo lo spirito con cui da anni Gaia Spera Lipari porta avanti instancabilmente iniziative e progetti di solidarietà e di collaborazione in Italia e in Africa: FattiMail, Song-Taaba, il testo teatrale Distanze.
Nel 2006 Gaia dà vita a FattiMail, una comunità virtuale, una rete solidale, che in Italia si espande rapidamente fino a raggiungere tremila adesioni. Il progetto nasce, per caso, da un’idea semplice e dall’istinto che la guida, dai segnali che raccoglie. Gaia si trova al centro di un flusso di richieste “di aiuto” provenienti dal suo mondo di conoscenze in merito a questioni di ogni genere e forma. Il flusso diventa sempre più consistente, così pensa di rendere questo suo impegno non occasionale, ma sistematico, sfruttando le potenzialità di Internet per favorire l’incontro tra le persone allo scopo di rendere possibile forme di sostegno reciproco in momenti di difficoltà. Nasce così la newsletter di FattiMail che raccoglie e diffonde richieste “di aiuto”, lasciando alla disponibilità, volontà e possibilità dei singoli di trovare il modo di soddisfarle in uno spirito di fiducia reciproca e di generosa solidarietà.
Nel 2008 Gaia crea anche l’associazione onlus Song-Taaba. Questa volta è l’incontro con un religioso missionario del Burkina Faso, padre Jean Ilboudo e di una coraggiosa dottoressa che vive e opera in Congo, Chiara Castellani a spingerla a raccogliere intorno a sé un gruppo di persone amiche per sostenere i loro progetti, le loro difficoltà, le loro sfide per realizzare in questi due Paesi spazi di dignità, di solidarietà e di futuro per le persone che ci abitano. Il nome dell’Associazione Song-Taaba deriva da due termini che in lingua burkinabè significano: aiutarsi l’un l’altro. E’ questo che vuole fare l’associazione: mettere insieme persone che si aiutano reciprocamente. L’impegno di Gaia e di tutti coloro che partecipano all’associazione è rivolto alla promozione, al sostegno e alla realizzazione di progetti di formazione scolastica, professionale, medica. In questi Paesi la formazione è l’unica possibilità di futuro che si può offrire a chi ci vive. Il Burkina Faso è agli ultimi posti al mondo per tasso di analfabetismo. Ecco che nella zona rurale di Ziniarè viene creato grazie a Song-Taaba un polo scolastico per ragazzi, ma vengono incoraggiate e sostenute – insieme alle donne delle varie comunità – anche forme di microartiginato per valorizzare la produzione locale e combattere la povertà. In Congo grazie al generoso e coraggioso impegno della dott.ssa Castellani viene fornito supporto per l’approvvigionamento di materiale sanitario e medico e percorsi di formazione professionale presso la scuola infermieri di Kimbau.
Quando incontro Gaia mi risulta naturale scambiare con lei alcune considerazioni sul tema dell’immigrazione, sia per il suo impegno nell’Associazione, sia per l’altra iniziativa di cui è stata autrice: Distanze. Nel 2013, infatti, Gaia scrive Distanze, un testo teatrale che nasce a seguito della tragedia avvenuta il 3 ottobre 2013 a Lampedusa. In quella notte ad un miglio dalla costa morirono annegati 368 immigrati, 368 persone. Gaia quella notte rimase colpita dal rincorrersi delle notizie: il valore di ogni singola persona morta sostituito dall’enfatizzazione dell’eccezionale incremento delle cifre.
Fu così che decise inizialmente di scrivere un’editoriale per Fatti Mail e, successivamente, di farlo diventare un vero e proprio testo (edito da A.P.N.) gemmato dall’originale testo teatrale, che, in forma di reading è stato portato ovunque, spesso nelle scuole, con l’obiettivo di provare a restituire dignità ai “numeri” e voce e storie a chi, quella notte, aveva perso per sempre entrambe. I numeri possono aiutare a quantificare l’entità di certi eventi e fenomeni, ma non possono farci sentire le voci, le vite, i sogni, le speranze di coloro che sono morti in mare. Persone come noi. Allora come raccontare, come diffondere i numeri, i dati, le analisi reali sull’immigrazione e sull’integrazione elaborati ogni anno da realtà come il centro studi IDOS? Soprattutto come far comprendere che i numeri, i dati e le analisi ci consegnano una realtà decisamente diversa da quella quotidianamente presentata? Distanze è un testo lirico, fatto di storie e di racconti di viaggio. Tutte le voci presenti sono femminili; l’unico personaggio maschile rappresenta coloro che sono morti in mare. Pochi dati numerici e statistici vengono riportati che si intrecciano con le storie e i racconti. Racconti di viaggi e traversate nel deserto e nel Mediterraneo, racconti di vita nei centri d’accoglienza, per far entrare ogni spettatore in contatto con gli stati d’animo di chi si trova ad essere “migrante”, suo malgrado. Far sentire la vicinanza con uomini e donne che hanno speranze, preoccupazioni, paure e attese, che sono identiche ad ogni latitudine, quando la vita ti espone a condizioni, rischi e pericoli che noi fortunatamente non conosciamo.
Gaia avverte il peso della responsabilità, innanzitutto, personale di non restare indifferente di fronte a ciò che accade a uomini e donne che vivono al di là del Mediterraneo e che cercano solo una vita migliore. Niente di più e niente di meno di quello che facciamo anche noi nella nostra lotta quotidiana, ma noi abbiamo di più ed è naturale ciò che dovremmo fare. Me lo spiega con assoluta semplicità:
“L’immigrazione è una questione umanitaria. C’è una dimensione in cui si attiva la nostra capacità etica di fare scelte che possono moltiplicare vita intorno a noi o spegnerla. I miei punti di riferimento sono quelle persone che non avevano bisogno di parlare. Le loro azioni hanno parlato per loro, mostrando una capacità di coerenza assoluta. Su questa terra ci sono diritti e doveri. Diritti fondamentali senza i quali la dignità dell’uomo è compromessa. I diritti devono essere di tutti, altrimenti si trasformano in privilegi. Ci sono delle persone che si muovono e abbandonano le loro terre perché vivono in condizioni estremamente critiche. Non possiamo soffermarci solo a considerare le cause, perché è innanzitutto urgente risolvere le conseguenze, che fanno vivere queste persone in condizioni di emergenza. L’eliminazione delle cause della povertà, della desertificazione di certe aree, della diffusione di malattie gravissime, della persecuzione, delle guerre richiedono tempi lunghi. Le persone non possono attendere. L’ipocrisia assoluta di questo nostro tempo è che i nostri governi inviano aiuti economici in quelle aree pari ad un terzo di quelli che garantiscono le rimesse degli immigrati che arrivano nel nostro Paese. E’ evidente che le persone siano costrette a muoversi, cercando approdo in Europa. Se una persona riesce ad arrivare in Europa, in Occidente non salva solo se stesso, ma l’intera piccola comunità a cui appartiene. Cos’altro dovrebbero fare, se non li aiutiamo noi ?
<Bisogna dare di più> e contemporaneamente creare delle politiche di accoglienza. Ogni persona è un pericolo non per quello che è, ma semmai per quello che fa. Se giudichiamo le persone per quello che sono, siamo razzisti e mettiamo in atto comportamenti persecutori. Oggi l’Italia ha bisogno fortissimamente dei migranti, questo non viene raccontato: l’80% dei braccianti agricoli è straniero, anche in determinati settori industriali e manifatturieri gli immigrati stanno diventando una risorsa essenziale. E’ la nostra economia che ne ha bisogno. Nella nostra società i lavoratori stanno vedendo sempre di più assottigliarsi i propri diritti e gli immigrati sono quelli che ne subiscono le peggiori conseguenze, perché si trovano spesso ad occupare il gradino più basso della filiera produttiva. Sono vittime più degli altri, non certo responsabili di un modello economico che sta creando diseguaglianze sociali ed economiche sempre più forti.
Viviamo un tempo complesso, che viene gestito con una semplificazione assoluta. Un mondo indecoroso ed indecente, in cui ci si sta abituando alla bruttezza, all’ignoranza, alla falsità.
Il diritto di ogni essere umano è riuscire a poter esprimere la dignità della propria persona. Se sei nato in un luogo che ti consente di farlo, questo dono implica una responsabilità. Se divampa un incendio, la mia casa brucia e la tua no, io penso che, quanto meno, avendo tu avuto la fortuna di godere ancora della tua casa, ed essendo io il tuo vicino, mi darai ospitalità per qualche giorno. Solo chi non ha il problema può fare qualcosa verso chi il problema ce l’ha.
Il livello generale di sicurezza non viene garantito, abbandonando le persone immigrate, presenti nel nostro Paese, e confinandole nell’illegalità, ma proprio, invece, regolarizzandole, registrando l’indirizzo presso cui rintracciarle e rilasciando i documenti con cui identificarle.
I dati degli ultimi 5 anni raccontano nel nostro Paese una realtà diversa da quella che viene narrata, le condizioni di sicurezza non si sono aggravate. Siamo figli di una serie di messaggi sbagliati. Non dobbiamo adagiarci sulla narrazione del tempo in cui viviamo. Ci vuole il coraggio dei cominciamenti. La rassegnazione è la più alta forma di complicità. Quando la gente tocca con mano la ricchezza che deriva dall’incontro con persone di cultura diversa, le cose cambiano.
E’ preoccupante, invece, la degenerazione del tessuto sociale, il degrado di tipo squadrista a cui assistiamo. Il tema è culturale e sociale. Se in un tempo manca qualcosa, ognuno di noi deve fare tutto quello che può per colmare questa mancanza con azioni di gentilezza civile, piccole azioni di bene condiviso, diffuso e gratuito, che possono rappresentare parentesi positive. Raccontiamo la bellezza di quello che si fa.
Bisogna imparare a fare cose che non si sono mai fatte.
Il mio sogno, ad esempio, non è ricevere più soldi per i miei progetti, ma sentire la gente che si domanda perché ho sempre il sorriso sul mio viso. La risposta è semplice: io ho un’esperienza associativa che mi ricarica tantissimo, che mi dà entusiasmo, allegria. Bisogna usare registri narrativi inediti, inusuali.
Le esperienze costruttive non vengono raccontate.
Io, ad esempio, ho fiducia nelle esperienze di condivisione che i giovani stanno facendo in Europa e in varie parti del mondo. I ragazzi europei si ritrovano, il sovranismo si può portare avanti in un Paese ignorante e provinciale. Il mondo è di tutti. L’Europa dei giovani è meravigliosa. Io affido a loro le migliori speranze. La verità è che noi siamo un continente vecchio, pieno di paure, di chiusure. Quando sei vecchio, hai meno coraggio e un atteggiamento meno costruttivo. Ci sono tantissime esperienze belle e globali, che stanno nascendo, che non vengono raccontate. Dovremmo imparare a guardare a quelle. Tante persone lavorano, lavorano. Il lievito c’è, speriamo che riesca a fare il suo lavoro. Coltiviamo, perciò, un atteggiamento di fiducia. La mia esperienza è assolutamente positiva. Bisogna creare positività e leggerezza senza dimenticarci che c’è del bello in ognuno di noi. La sfida è creare le condizioni che facciano venir fuori questa bellezza che è stata mortificata da tanta bruttezza intorno a noi.”
Gaia racconta un altro mondo, il suo mondo, un mondo che esiste e che non occupa le prime pagine dei giornali, non urla, non distrugge, non divide, non semina odio e rancore ma che accoglie, unisce, condivide, semina speranza e positività con leggerezza e gentilezza. Questo mondo esiste ed è possibile. E allora in quale mondo vogliamo vivere e a quale mondo vogliamo appartenere? Possiamo scegliere e la scelta è, innanzitutto, nostra.