di Lapo Berti –
“Senza un sano controllo democratico il capitalismo diventa corrotto. Questa corruzione non si risolve sopprimendo il mercato, ma rendendo il mercato più trasparente, più competitivo, più… vero mercato”. Lo afferma Luigi Zingales, uno degli esponenti di spicco del neo-liberalismo italiano, docente all’Università di Chicago. Un segnale importante, anche se, apparentemente, senza sbocchi possibili
L’occasione per questa riflessione allarmata è data dall’ennesimo scandalo che sta scuotendo il mondo, e la credibilità della finanza internazionale, quello del Libor, oggetto sconosciuto ai più, ma di grande importanza per il funzionamento del mercato finanziario globale. Il Libor (London Interbank Offer Rate) è per il dollaro quello che l’Euribor è per l’area euro: il tasso di interesse di riferimento cui sono indicizzati i mutui immobiliari e i prestiti che le banche fanno alle imprese. Al Libor sono ancorati anche molti prodotti derivati. Il totale di contratti derivati legati al Libor ammonta a circa 350.000 miliardi di dollari. Questo significa che anche un solo punto base di differenza (ovvero un centesimo di punto percentuale) nel Libor si traduce in 35 miliardi di dollari l’anno.
Il Libor viene fissato a Londra dall’Associazione bancaria britannica, che ogni mattina, poco prima delle 11, raccoglie le quotazioni di un pool di 18 banche di primaria importanza, scarta le tre valutazioni più alte e le tre più basse e poi fa la medi. Il risultato è quello che diviene il tasso di riferimento. Ora, un’indagine svolta congiuntamente dalle autorità statunitensi e britanniche ha rivelato che le banche si accordavano per fissare il Libor ai livelli che più gli convenivano. Barclays è stata la prima banca ad ammettere la manipolazione e a pagare una sanzione. Toccherà anche ad altre.
Zingales, di fronte a questi fatti di cui riconosce l’inaudita gravità perché minano la fiducia nel funzionamento di un’economia di mercato, si consola osservando che, dopotutto, il Libor non è un prezzo di mercato, ma il risultato di opinioni che si prestano per loro natura a essere manipolate. Resta da chiedersi, e Zingales se lo chiede, “perché un indicatore tanto importante è calcolato in modo così poco serio”. La risposta è decisa e fulminante, ma apre più problemi di quanti ne risolva: “questioni di potere. L’Abb e i suoi associati vogliono mantenerne il controllo. Per questo hanno ostacolato qualsiasi cambiamento. Il mercato, con le regole giuste, funziona. Ma chi ha l’interesse che le regole siano giuste? Non le grandi banche, che guadagnano dalle inefficienze, né i regolatori, che hanno preferito ignorare il problema”. E allora? La vera domanda ce la poniamo noi: come si fa a impedire che si formino queste aggregazioni di potere capaci di stravolgere il funzionamento dei mercati, di assoggettare i governi e di condizionare la politica distorcendo il processo democratico? Chi e come assicura che il capitalismo, e in particolare il capitalismo finanziario globale, funzioni secondo regole compatibili con un regime democratico. Chi e come instillerà nel capitalismo il principio del limite e sarà in grado di farlo rispettare? “Serve un controllo democratico”, dice Zingales, e per dare forza all’affermazione aggiunge: “Lo dico da liberista”. Ma è una risposta al limite dell’ingenuità e dell’impotenza, perché non si dice e non si sa come questo controllo si potrebbe esercitare. Allora bisogna dire con chiarezza che è l’intera cornice istituzionale entro cui dovrebbe funzionare il capitalismo che va ripensata radicalmente e, naturalmente, a livello. Questa è la vera sfida degli anni che vengono. E solo così si può pensare di uscire dal mondo delle crisi che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, prodotte da un capitalismo irresponsabile.