La fine di un gioiello archeologico
di Rossella Aprea –
Speriamo di no. E che non si dica “non lo sapevamo”, perché gli allarmi si ripetono e si intensificano da oltre un decennio. Quello che nemmeno il Vesuvio potè con la sua spaventosa potenza distruttiva, stanno compiendo gli uomini lentamente e progressivamente in pochi decenni: cancellare Pompei e la sua memoria definitivamente.
Sono arrivati davvero gli ultimi giorni di Pompei? L’antica città romana nell’autunno del 79 d.C., sopravvissuta ad una pioggia micidiale di cenere e lapilli, è rimersa dopo circa 1700 anni, riportata alla luce per volere di Carlo di Borbone a partire dal 1738. Gli scavi archeologici e gli interventi di valorizzazione compiuti nell’arco di due secoli lo hanno reso il sito archeologico più famoso al mondo, oggi patrimonio dell’Unesco, visitato da circa due milioni e mezzo di persone ogni anno. La considerazione del suo inestimabile valore culturale ed economico, però, non gli ha garantito negli ultimi decenni quell’attenzione e quella manutenzione che sarebbe stata indispensabile, culminata nel crollo della Domus Gladiatorii nel novembre 2010 e nella successiva chiusura parziale o totale di altre 12 Domus.
Tagli, ri”tagli” ed emergenze
“La situazione entro cinque anni non sarà più gestibile”, causando addirittura la chiusura degli scavi secondo la nuova Soprintendente per i beni archeologici di Pompei e Napoli, Teresa Elena Cinquantaquattro. Mancano fondi e soprattutto un piano di manutenzione ordinaria e di valorizzazione. Responsabilità? Politiche e amministrative:
– il dirottamento dei fondi e degli incassi di Pompei (circa 25 milioni di euro all’anno) ad altri siti e beni culturali (es. 300.000 euro per il restauro del castello di Baia) a causa dell’accorpamento delle due Soprintendenze per i beni archeologici di Napoli e Pompei voluta nel 2008 dal Ministro Francesco Rutelli;
– una gestione in continua emergenza (nel 2009 commissariamento della gestione degli scavi e stanziamento urgente di circa 79 milioni di euro);
– tagli continui e ritardi negli stanziamenti e negli interventi (dopo il crollo della Domus Gladiatorii nel novembre 2010 il Consiglio dei Ministri ha varato una norma, ovviamente straordinaria, solo alla fine di Marzo del 2011);
– riduzione del personale e mancato impiego di adeguate professionalità;
– mancanza di una gestione manageriale delle risorse.
Con Pompei non solo perdiamo la nostra memoria, ma una risorsa di indubbio e altissimo valore economico, un pezzo di PIL, che dilapidiamo con assoluta stoltezza e insipienza.
Eppure in Italia e all’estero non mancano esempi eccezionali di business culturale (Paul Getty Museum), in cui il contributo dei privati potrebbe risultare virtuoso.
Pompei o il ponte sullo stretto? Come impiegare meglio i nostri soldi?
Di cosa ha bisogno Pompei?
– un progetto di manutenzione, restauro e valorizzazione a lungo respiro (20-25 anni);
– un investimento non inferiore a 500 milioni di euro (secondo il famoso archeologo Antonio Irlando)
– una gestione manageriale per favorire lo sviluppo anche dell’indotto economico, creando infrastrutture adeguate, attività correlate e posti di lavoro, che determinino uno sviluppo dell’intera area vesuviana.
La normativa esiste (L. 352/1997 e L. 449/1997) per pianificare e prevedere interventi e sostegni di privati, ma rinviare invece di prevenire rischierà di rendere inutile anche il disperato intervento in emergenza, lasciandoci solo con un mucchio di macerie tra le mani, come nel crollo della Domus Gladiatorii.
Se consideriamo che per il ponte sullo Stretto di Messina, ancora in fase progettuale, i cui i vantaggi economici e le cui prospettive di effettiva realizzazione sono fortemente dubbi, sono stati già spesi più di 500 milioni di euro in poco più di due anni, è lecito domandarsi se il vero problema di questo Paese siano le risorse economiche o piuttosto il modo in cui vengono impiegate.