di Paolo Deganello –
Il salone internazionale del mobile, che si svolgerà dal 17 al 24 aprile è un meritato vanto milanese, ma quali solo le voci nuove dentro questi saloni sempre più uguali dove si ripropone una merce arredo ormai sovraprodotta ed obsoleta? Di fronte ad una crisi che è anche crisi da sovraproduzione va riprogettato l’arredo a partire dalla “green economy” e da un radicale ripensamento del lavoro e non lasciando che l’innovazione sia promossa solo dal lavoro volontario di singoli o dall’iniziativa di qualche multinazionale.
E’ meritato vanto milanese il salone internazionale del mobile. Questa città è riuscita a dare ad una fiera riconosciuta legittimità culturale, magari anche mistificatoria, alle volte solo pulviscolo culturale sulla sua finalità economicistica, ma ha trasformato comunque la Fiera chiusa nel suo recinto a Rho in un evento urbano diffuso, giovane e molto partecipato da tutta la città.
Un dubbio: serve ancora la Fiera a Rho? Quale arricchimento per l’evento ma anche per la città potrebbe essere investire ogni anno tutti i soldi spesi per “i saloni” a Rho nel “Fuori salone”? Da anni, sempre di più, le innovazioni più significative si incontrano nel “Fuori salone”. Alla fabbrica del vapore, quest’anno Sandro Mendini, autore della “poltrona di Proust”, il prodotto di design più rigorosamente anti Moderno progettato nel lontano 1979, pezzo unico che usa l’arte per fare una poltrona, patrocinerà una mostra sull’autocostruzione, coinvolgendo i giovani di Recession Design e molti altri autoproduttori.
Il design autoprodotto è l’unica voce nuova dentro saloni sempre più uguali al precedente dove si ripropone una merce arredo ormai sovraprodotta ed obsoleta, ma o l’autoproduzione riesce a darsi una sua struttura distributiva, e sarà capace di pagare la ricchezza propositiva di quel lavoro ancora prevalentemente volontario, o anche questa unica radicale innovazione non avrà futuro perché non può vivere di mostre. Forse non è un caso che la Cassina, azienda che negli anni Settanta e Ottanta ha trainato l’innovazione del settore, continui da alcuni anni a promuovere, magari con qualche colore in più, i maestri del “passato” Moderno: Gio Ponti, Le Corbusier, Magistretti, Mackintosh, Ritveld, e si vanti (Corriere della sera 5 novembre 2011) di aver ricostruito in fabbrica “la bottega” dove, valorizzando anche nella produzione di una comunque serie limitata, la ” manualita”, si riattualizza il legno e i materiali naturali. E di fatto un giovane futuro non riusciamo ad incontrarlo in Cassina oggi, a meno che non ci si voglia far credere che il divano disegnato da Stark, un “capitonè” ottocentesco un tempo artigianale e oggi prodotto industrialmente sia l’unico futuro possibile.
E’ vero comunque che il prodotto piu innovativo “Hope” di Gomez e Rizzato per Luceplan è ancora un prodotto che rispetta i canoni del design Moderno, è un insieme di sottili lenti di Fresnell in policarbonato, stampate in grande serie, ed è la fisica e non l’arte di Mendini che viene usata per costruire la forma del prodotto, alla ricerca di quello sfavillio festoso, ricco di riflessi che finora era riuscito solo ai lampadari e alle cascate in vetro soffiato di Venini, e ai lampadari in cristallo di Boemia.
Ma se la poltrona Proust è un pezzo unico dipinto, e gli oggetti di “recession design” autoprodotti sono o pezzi unici o piccole serie prodotte in casa, anche la Hope tutta industriale è il risultato di una lunga ricerca nel laboratorio della azienda Luceplan,che non sarà una “bottega”, ma è un laboratorio che molto gli assomiglia.
“Hope” è un prodotto innovativo, di grande serie, industriale da tutti i punti di vista, ma l’azienda per avere futuro si è dovuta vendere nel 2011 alla multinazionale Philips. La ricerca e l’innovazione è un lusso che oggi solo l’arte si può permettere; o è lavoro volontario che, però, pochi giovani autoproduttori possono rischiare o è un lusso che solo le multinazionali possono finanziare.
Da alcuni anni, su iniziativa della rivista “Interni”, nel cortile della Statale, ogni anno si mostrano più o meno timidi e moderati tentativi di ripensare i prodotti di arredo in nome della “green economy”. Sul Corriere della sera del 31 marzo 2012 si leggeva che le vendite di auto sono calate questo mese del 40 % in Italia. Mi sembra una notizia ovvia, che senso ha continuare a cambiare una merce da anni sovraprodotta, il cui consumo si è incentivato in tutti i modi possibili e immaginabili per far sopravvivere un apparato produttivo, un’organizzazione del lavoro, la grande fabbrica, che produce merci ormai vecchie ed obsolete come è l’auto?
Questo vale anche per il settore dell’arredamento. Sembra che le mostre del “Fuori salone”, seppur timide proposte, comunque gridate, non si odano alla Fiera di Rho o, se sentite, producano solo innovazioni apparenti, un pò di riciclo, un pò più legno e materiali naturali, un pulviscolo di “verde” e di “naturale”, tutto verbale perché fa moda. Di fronte ad una crisi che è anche crisi da sovraproduzione va riprogettata tutta la merce e anche l’arredo a partire dalla “green economy” e da un radicale ripensamento del lavoro. Queste possono essere le due motivazioni forti che possono generare innovazione invece di continuare a ridisegnare il già prodotto, sperando di sopravvivere, riducendo ancora il costo del lavoro, marginalizzando l’innovazione a lavoro volontario o a compito dell’arte, o a innovazione tecnologica al servizio di qualche multinazionale.