di Rossella Aprea –
Un interessante articolo di Davide Gianluca Bianchi pubblicato sul numero 2 de Il Mulino di quest’anno ripropone un tema di grande attualità e di particolare significato per l’efficace funzionamento di un sistema veramente democratico: la revoca degli eletti. La partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica si può esercitare sostanzialmente nella sola fase di elezione dei propri rappresentanti? Esprimi la tua opinione, votando il sondaggio nella colonna qui accanto.
In inglese si chiama “recall“: la revoca degli eletti. L’atto che fa da contraltare (contrarius act) alle elezioni politiche. E’ uno strumento mediante il quale gli elettori possono rimuovere un funzionario pubblico prima della scadenza del mandato, presumibilmente a causa della disapprovazione delle politiche da lui perseguite.
Il politologo americano Joseph F. Zimmerman ha trattato l’argomento in una monografia di grande interesse del 1997 “The Recall. Tribunal of the People”. Si tratta di un istituto tipicamente americano (ma non esclusivamente), introdotto nel 1903 in California nella città di Los Angeles a livello locale e applicato nell’Oregon nel 1908 per la prima volta agli eletti a cariche statali. E’ attualmente presente in 15 Stati, oltre al Distretto di Columbia, che riguarda gli eletti a cariche statali e locali. 21 Stati permettono il recall solo a livello locale, mentre altri 15 lo consentono solo a determinate condizioni. Quindi, non esiste Stato americano che non preveda, a qualche livello, la revoca dei propri public officers elettivi.
Nato all’inizio del secolo scorso per contrastare l’eccessiva arrendevolezza degli eletti alle lobby organizzate, il recall appare come uno strumento finalizzato a sanzionare i rappresentanti del popolo per qualche responsabilità individuale, consentendo di riportare l’assetto dell’azione pubblica sull’interesse generale.
Il recall, infatti, è l’esaltazione del principio democratico di rappresentatività tra elettori ed eletti e di partecipazione, che non dovrebbe potersi esprimere solo nel momento dell’elezione, ma anche durante l’esercizio del mandato da parte dell’eletto attraverso il controllo sul corretto svolgimento delle sue funzioni al fine di stimolarne responsabilità e senso del dovere.
Sconosciuto in Italia, il recall, oltre che negli Stati Uniti, dove opera soprattutto a livello locale, è utilizzato anche in altri paesi di cultura anglosassone come il Canada. Se ne registrano diverse applicazioni in altre parti del mondo e in altre epoche: dall’esperienza della Comune di Parigi del 1871 alla Costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche del 1947 (art. 142), fino all’istituto della revoca in alcuni cantoni elvetici e nei länder della Repubblica Federale Tedesca. In quest’ultimo caso soggetti a revoca non sono i singoli eletti, ma l’intero collegio rappresentativo del livello di governo interessato.
Oggi i liberaldemocratici stanno sostenendo anche in Gran Bretagna l’introduzione del recall, che ha iniziato il suo percorso parlamentare nel dicembre del 2011 attraverso la redazione di un white paper, base per l’approvazione di un Recall Bill.
La diffusione della revoca nei Paesi di lingua anglosassone è stata possibile in virtù dell’assenza, in Costituzione, del divieto di mandato imperativo, presente nella maggioranza delle Costituzioni europee e anche in quella italiana (art. 67).
Anche in alcuni paesi dell’America Latina è stato introdotto il recall proprio per sviluppare e rafforzare le diverse forme di democrazia diretta e di partecipazione politica. In Venezuela e Bolivia, i presidenti Hugo Chavez ed Evo Morales, rispettivamente nel 2004 e nel 2008, sono usciti indenni da due procedure di recall, respinte dal voto popolare, che hanno in definitiva rafforzato il loro potere. Nel caso venezuelano le modalità di svolgimento della consultazione sono state oggetto di accese controversie tra Chavez e i suoi oppositori. In effetti il recall può prestare il fianco a strumentalizzazioni che possono metterne in discussione il significato partecipativo e democratico.
Come avviene la revoca?
Il procedimento di revoca popolare si articola in più fasi:
1- deposito presso un ufficio statale di una petizione che individua il funzionario da revocare e indica i motivi della proposta di revoca;
2- raccolta delle firme richieste dalla Costituzione;
3- nel caso si raggiunga il numero delle firme necessario, le alternative possono essere due: a- dimissioni del funzionario in questione (per poi procedere a nuove elezioni); b- se il funzionario resiste, allora si procede al voto;
4- Il voto per recall può essere effettuato secondo tre diverse modalità: a- voto secco per destituire il funzionario; b- combinazione della revoca con l’elezione del successore; c- elezione anticipata per designare il titolare dell’ufficio di cui si intende rimuovere il funzionario sottoposto a revoca.
Negli Stati Uniti la procedura per revocare gli eletti richiede, innanzitutto, la sottoscrizione di una petizione popolare firmata, di norma, da non meno del 20-25% dei votanti effettivi dell’ultima tornata elettorale. La procedura, per essere attivata, non richiede il riferimento a fatti di natura penale. La sua valenza è più politica che procedurale, più democratica che processuale. Può essere finalizzata solo alla votazione per revoca, oppure come accade in California, alla elezione contestuale di colui che prenderà il posto dell’eletto revocato. Si sono avute solo due revoche fino ad oggi negli Stati Uniti: nel 1921 in North Dakota Lynn Frazier e nel 2003 in California Gray Davis, sostituito da Arnold Schwarzenegger.
“Recall is the power of the electors to remove an elective officer” (art. 2, sec. 13 Costituzione della California). In questo caso l’applicazione è ampia, può interessare anche i componenti degli organi esecutivi e legislativi, anche la stessa magistratura, che negli Stati Uniti è elettiva.
Il principio interpretativo alla base del recall consente che anche tutti i funzionari pubblici possano essere soggetti alla revoca, per la particolare funzione che essi svolgono e la loro collocazione rispetto alla comunità beneficiaria dei servizi pubblici.
Il ritorno della revoca
La democrazia secondo Bernard Manin, autore di Principi del governo rappresentativo (2011) ha vissuto tre stagioni di rappresentanza politica:
1- il parlamentarismo
2- la democrazia dei partiti
3- la democrazia del pubblico.
Il parlamentarismo ottocentesco di stampo aristocratico era espressione di una finta democrazia, in cui solo i notabili sedevano in parlamento con mandato libero, cioè senza dover rendere conto agli elettori del proprio operato.
La democrazia dei partiti, figlia del suffragio universale e della Grande guerra, ha visto la luce con i primi partiti di massa e la responsabilità degli eletti si spostava dagli elettori verso il partito e la sua ideologia.
La democrazia del pubblico è quella in cui viviamo oggi, i cui connotati risultano ancora imprecisi, anche se si differenzia rispetto alle forme precedenti. La personalizzazione del potere ne costituisce il fulcro e l’elemento fiduciario diventa essenziale, ridimensionando l’importanza dei partiti e dei loro programmi. I media hanno contribuito in maniera rilevante all’irruzione delle varie personalità politiche nella vita pubblica.
Il rapporto sempre più complicato tra elettori ed eletti e la carenza di fiducia nei confronti dei governanti nelle democrazie avanzate spiegano l’attualità del recall e la rinascita di interesse per la sua utilizzazione. Diventerebbe uno strumento nelle mani dei cittadini per richiamare i propri rappresentanti al rispetto del patto fiduciario stipulato al momento dell’elezione.
Il recall potrebbe contribuire probabilmente ad una democrazia più “democratica”, anche se con il rischio di renderla meno partecipativa.
Infatti, il peso che hanno assunto oggi gli organi d’informazione ha favorito negli Stati Uniti un incremento delle revoche a livello locale. I mass media sono stati utilizzati, infatti, per avviare campagne diffamatorie nei confronti di politici sgraditi, esponendoli a possibili petizioni di revoca, sostenute dai mezzi di comunicazione. Questo è uno degli aspetti su cui bisognerebbe maggiormente riflettere.
Il clamoroso caso della revoca in California di Gray Davis nel 2003, a cui venne addossata la responsabilità dell’ingente debito pubblico accumulato dallo Stato, fu sostenuto a livello finanziario e organizzativo da Darrell Issa, deputato Repubblicano al Congresso. L’imponente macchina organizzativa messa in campo fece in modo che venisse raggiunta la quota di firme necessarie per l’avvio del procedimento contro Davis. La pronuncia popolare sul conto del governatore si tenne nell’autunno del 2003. I californiani si recarono alle urne per esprimersi sia sull’opportunità di destituire Davis, sia sulla personalità che avrebbe dovuto eventualmente sostituirlo. A favore del recall votò poco più del 55% degli elettori, mentre il Repubblicano Arnold Schwarzenegger fu colui che venne scelto come nuovo governatore dalla maggioranza relativa dei californiani.
In questo caso il recall è stato attivato dalla forza politica di opposizione, piuttosto che da gruppi organizzati della cittadinanza attiva e il successo è stato possibile grazie alla mobilitazione di ingenti risorse economiche.
Indubbiamente l’efficacia del recall nel sanzionare gli amministratori pubblici accusati di gravi negligenze è stata confermata, ma è anche apparso evidente come esso possa essere utilizzato dall’opposizione politica e da influenti gruppi di interesse nel perseguimento di fini particolaristici.
Un recall in Italia?
Una possibile applicazione del recall alla realtà italiana, sia a livello parlamentare che regionale, andrebbe attentamente studiata e verificata su un piano di legittimità costituzionale alla luce del principio del libero mandato parlamentare (art. 67), che indubbiamente sembrerebbe escludere l’utilizzo del recall a tutti i livelli (ad esempio, bisognerebbe verificarne la possibilità di applicazione non al livello di singolo officer eletto, ma di intero organo legislativo-rappresentativo, per determinarne una cessazione anticipata). Pur trattandosi di un meccanismo estraneo alla nostra storia costituzionale, potrebbe costituire un istituto di controllo tutt’altro che inutile a disposizione dei cittadini.
Nel caso in cui fosse utilizzabile, bisognerebbe attenersi ad alcuni elementi di opportunità e di metodo, che lo possano rendere efficace e non strumentalizzabile. Solo in questo caso potrebbe costituire un utile elemento di equilibrio della nostra forma di governo, in particolare a livello regionale e locale.
Dovrebbe, innanzitutto, essere attivabile solo dai governati nei confronti dei governanti, un’arma a disposizione della società civile e non utilizzato (magari strumentalmente) da un gruppo politico contro gli organi elettivi.
Dovrebbe, in realtà, rappresentare un rimedio di ultima istanza, una sorta di estrema ratio da attivare nei casi di particolare gravità, in modo da evitarne un uso distorto che possa inquinare ulteriormente il clima politico del nostro Paese.
Dovrebbe, infine, essere valutato e utilizzato come una semplice procedura di controllo sui governanti. Questo strumento, in effetti, utilizzato in maniera calibrata potrebbe svolgere una funzione sanzionatoria nei confronti dei governanti indegni, ma allo stesso tempo aprire nuovi e quanto mai opportuni canali di dialogo tra il ceto politico e l’opinione pubblica, di cui oggi nel nostro Paese si sente sempre più urgente bisogno. Inoltre, la possibilità di far valere la propria opinione non solo al momento dell’elezione potrebbe indurre i cittadini a comportamenti più partecipativi e più vigili, con il conseguente miglioramento del processo democratico.
Approfondire questi temi ed esplorare queste possibilità ci sembra un modo costruttivo e valido per pensare a costruire una democrazia più viva e più “democratica” nel nostro Paese.