Alcuni giorni fa nella casella di posta elettronica di LIB21 è arrivato un messaggio, che, richiamandosi ad un articolo di Salvatore Aprea, pubblicato sul nostro sito “A che servono questi partiti?” , poneva alla nostra attenzione un tema collegato: la questione del “voto ponderato o pesato”. Alla base del ragionamento su questo tema si pone un quesito: è giusto che votino tutti? O, meglio, è giusto che il voto di chi non segue minimamente la politica del proprio Paese abbia lo stesso valore del voto di chi, invece, si ritiene un cittadino attivo e partecipe? L’autore del messaggio ci ha mandato una sua riflessione ed un progetto, che, nello spirito di confronto che anima LIB21, pubblichiamo volentieri, presentandoli in due articoli: “Quanto pesa il mio voto? – Una riflessione” e “Quanto pesa il mio voto ? – Un progetto“, anche perché ci offre uno spunto molto interessante per affrontare il tema del funzionamento del meccanismo democratico e della partecipazione di tutti alla vita politica. Seguirà un commento di Salvatore Aprea nel terzo articolo “Quanto pesa il mio voto ? – Un commento”.
Sull’argomento del “voto ponderato o pesato”, che pare avere attualmente molte attenzioni da parte di commentatori politici e di semplici cittadini ho letto moltissimi interventi, alcuni pro, altri contro e sono giunto al mio risultato dopo aver affrontato anche altri temi collegati e più ampi, tra i quali : ”Le leggi elettorali”, “I diritti”, “Propaganda, percezione, coscienza “, ”Diverse modalità di misurazione”, “attuare la Costituzione”, ”Argomenti pro e contro il voto ponderato”.
Questo diffuso interesse è il naturale prodotto del venir meno di quella attività di intermediazione che la Costituzione, riconoscendoli, aveva affidato ai partiti.
Premetto che ci si può approcciare all’argomento, (che fa riferimento all’ art. 48 della Costituzione, ma anche all’art. 3), in due modi diversi con due esiti antitetici.
Il primo, essenzialmente conservatore, non importa se di destra o di sinistra, è caratterizzato da modalità estremamente formali e burocratiche di lettura testuale della Costituzione intesa come le tavole di Mosè. Ad esso pare interessare più un suo rispetto imbalsamato piuttosto che una valutazione di tutte le potenzialità per un maggior sviluppo democratico che contiene nei suoi valori fondanti. Tale atteggiamento, inoltre, considererebbe non opportuno o non ipotizzabile nel futuro neppure una diversa valutazione sull’argomento, da parte di una rivisitazione costituzionale; e si ferma lì – come dire – questo è lo status quo, e basta.
Il secondo modo vuole trovare nella Costituzione attuale, pur senza modificarla nei suoi valori e principi, una chiave di lettura piu’ aggiornata per far fronte all’invecchiamento ed erosione, nei fatti e nei non-fatti, della pratica democratica. In questo secondo modo possono distinguersi due esiti : quello di leggere il testo esistente della Costituzione interpretandolo in forma evolutiva, e quello di una vera e propria modifica costituzionale riscrivendo l’art. 48 e introducendo inequivocabilmente la figura del “voto pesato o ponderato”.
Il modo più importante, però, è quello di affrontare l’argomento senza pregiudizi di carattere politico o culturale : l’unico concesso, anzi, dovuto, è quello in favore di un avanzamento di una democrazia più reale e cosciente nel solco antifascista; cercando anche di capire se tutta la proposta è da buttare o, trovandovi elementi positivi, si può migliorarla per renderla ancora più sicura. Tutti gli interventi che ho letto, sulla carta e sul web, compresi post e commenti, rivelano che i più refrattari a questa nuova ipotesi siano coloro che possiedono una mentalità decisamente conservatrice, sia a destra che a sinistra; senza giustificare il perché o facendolo con pseudomotivazioni banali o risibili. Per taluni il pericolo sarebbe di introdurre il virus dell’ epistocrazia nella democrazia ( o nello Stato?), confondendo l’epistocrazia (sistema di governo) con una maggior consapevolezza diffusa.
A loro dire sarebbero incompatibili come il diavolo e l’acqua santa : come dire che la democrazia (o lo Stato?) deve essere stupida. Secondo questa visione “democrazia ed epistocrazia” sarebbero simili a due blocchi di granito, di dimensioni fisse, con confini perfettamente squadrati, assolutamente non compenetrabili. Costoro, però, rimangono senza risposta quando si tocca l’argomento delle cognizioni e capacità politiche indispensabili per gli eletti che si troverebbero da un giorno all’ altro, prima senza alcun obbligo cognitivo e informativo, poi invece col dover esser esperti. Non solo ci deve essere una schiera di idraulici bravi per rifarmi il bagno (bravi poltiici), ma anche io (elettore che vuol essere cosciente) che ne scelgo uno, devo avere sufficienti strumenti per farlo con cognizione, e non solo l’elenco telefonico.
L’epistocrazia come base pervasiva di una forma di governo è certamente antitetica alla democrazia, ma uno Stato del quale quest’ultima è principio fondativo, non puo’ far a meno di una quota di quella. Dobbiamo parlare, quindi, più che di epistocrazia in senso tecnico, di maggior consapevolezza generale.
L’accattivante slogan “una testa un voto” non significa che i voti debbano essere tutti eguali, e tantomeno eguali ad uno, anzi……essendo nota la diversità delle teste…….. Non parliamo poi di argomenti sul voto come “diritto tout-court”, nonché delle “caste dei sapienti”, ecc. : sciocchezze!!. Si potrebbe continuare a smontare una per una le obiezioni dei contrari al voto ponderato.
Siamo approdati, quindi, al convincimento della necessità di un voto pesato, ma nel contempo di non eliminare il suffragio universale (come invece vorrebbero certi interventi radicali-): ciò non per un banale “cerchiobottismo” (tra il “tutto come ora “ ed il cambiamento a 360°), ma principalmente per non eliminare quello che, una volta unito alla consapevolezza, rimane il fine ultimo di un processo erga omnes. Ciò per una realizzazione, nella concretezza della Costituzione senza toccarne i valori fondamentali, non ingabbiandola in burocratiche e anguste letture.
Così, contrariamente a quanto alcuni detrattori troppo superficialmente ipotizzano, non si formerebbe alcuna casta ( “i sapienti”per sempre contro gli incolti, bollati a vita) né verrebbe tolto alcun diritto a nessuno, semmai chi lo volesse avrebbe tutto da guadagnare. Basterebbe avere informazioni sulle regole basilari della contesa elettorale. Anche nei giochi occorre conoscere le loro regole. Si può tifare per la Juve o il Canicattì, ma tutti i giocatori sanno che solo il portiere può usare le mani. Per brevità, nel documento non ho toccato alcuni argomenti di applicazione pratica (tipo : chi decide le domande ? di quali domande si tratterà? come si fa a giudicare?ecc. ecc.) la cui soluzione abbastanza semplice avrei già in mente e che sarebbe molto più oggettiva e non discrezionale di quella per molti concorsi pubblici. Ma, comunque, tutto ciò sarebbe ininfluente per l’impostazione generale. Generalmente sono anche domande di quel tipo che vengono artatamente (ma invano) poste per mettere in difficoltà la controparte.
Ho ritenuto necessario terminare il documento (che sarà pubblicato prossimamente) con un riferimento a tutte le azioni che dovrebbero svolgere tutti i soggetti politici, sociali e culturali per rendere il progetto realizzabile. Può darsi che l’impostazione e l’esito prospettati possano sembrare a qualcuno un pò provocatori; non è stata assolutamente questa l’intenzione non è stata neppure l’intenzione di compiacere a qualche partito politico (pensiamo anzi che nessuno lo appoggerebbe ) bensì quello di coniugare la ragione e le esigenze di svecchiamento di certe pratiche democratiche per risolvere un problema, quello di un voto consapevole per uno Stato democratico efficiente a fronte di un diffuso analfabetismo funzionale.
Segue “Quanto pesa il mio voto ? – Un progetto“