di Salvatore Aprea –
In soltanto sei ore i deserti ricevono più energia dal Sole di quanto gli esseri umani consumano in un anno. Da questa stima nasce “Desertec”, un progetto che mira a fornire all’Europa il 15% dell’energia elettrica entro il 2050 attraverso una vasta rete di parchi solari ed eolici, estesa al Nord Africa e al Medio Oriente. Al programma partecipano numerose grandi aziende europee e coinvolgerà anche l’Italia. Quest’anno ci saranno i primi passi in Marocco.
La domanda mondiale di elettricità può essere soddisfatta attraverso l’energia solare. La stima fu effettuata per la prima volta nel 1986 da un fisico delle particelle tedesco, Gerhard Knies, che arrivò ad una conclusione notevole: in appena sei ore i deserti ricevono più energia dal Sole di quanto gli esseri umani consumano in un anno. Una zona di deserto sahariano delle dimensioni del Galles potrebbe, in teoria, fornire energia elettrica a tutta l’Europa. Nel corso dei successivi due decenni, Knies ha lavorato per divulgare la sua idea. Il culmine dei suoi sforzi è “Desertec”, un’iniziativa in gran parte a guida tedesca che mira a fornire all’Europa il 15% dell’energia elettrica entro il 2050 attraverso una vasta rete di parchi solari (a concentrazione e fotovoltaici) ed eolici, estesa nella regione del MENA (Middle East e North Africa). Tale rete sarà collegata all’Europa attraverso cavi speciali ad alta tensione che dissipano solo il 3% dell’energia elettrica trasportata ogni 1.000 km, già usati sia nei collegamenti sottomarini tra Italia e Sardegna, Norvegia e Olanda, sia per le linee di trasmissione aeree in Congo, Cina, Brasile. Il braccio operativo del progetto è stato costituito nel 2009 con il Consorzio DII (Desertec Industrial Initiative), di cui sono soci 21 imprese europee (tra cui giganti come E. ON, Munich Re, Abb, Siemens, Deutsche Bank, Saint Gobain Solar, e le italiane Enel Green Power, Terna, Unicredit.), con circa altri 30 “partners associati”, tra cui Intesa San Paolo e Italgen, per un investimento complessivo di 400 miliardi di euro. Nel novembre scorso DII ha confermato l’inizio della prima fase del progetto Desertec in Marocco nel 2012 con la costruzione di una fattoria solare da 500 megaWatt – 400 megaWatt di solare termico e 100 megaWatt di fotovoltaico – nel deserto nei pressi della città di Ouarzazate. Scopo del progetto è anche essere un modello per convincere gli investitori e i politici che fattorie simili possono essere ripetute in tutto il MENA nei prossimi anni. La scelta del Marocco come sede del primo impianto del Consorzio tiene conto del fatto che tra gli Stati nordafricani è uno di quelli politicamente più stabili, oltre che già orientato a sviluppare le fonti rinnovabili. Inoltre il Paese già dispone di una buona interconnessione con l’Europa grazie a due cavi sottomarini (da 400 e 1.000 megaWatt) che, attraverso lo Stretto di Gibilterra, raggiungono la Spagna, dove arriverà Il primo chilowattora del Desertec nel 2014. Altri collegamenti potrebbero interessare proprio l’Italia. Attualmente sono in fase di negoziazione le connessioni della Sicilia e della Sardegna con la Tunisia, il prossimo Paese interessato dalla realizzazione di campi solari a concentrazione. Paesi come l’Egitto, la Siria, la Libia e l’Arabia Saudita dovrebbero partecipare alla fase successiva a partire dal 2020. Il progetto prevede che i cavi di trasmissione vengano posati in tutto il Mediterraneo e attraverso la Turchia, con l’intera impresa diventata finanziariamente autosufficiente entro il 2035.
Criticità del Piano Solare
Molti osservatori, finora, hanno anche sollevato parecchi dubbi su Desertec, visto come poco più di un miraggio nella sabbia. In particolare, gli analisti di Bloomberg New Energy hanno rilevato il ritardo che sta accusando Desertec anche per le difficoltà di accesso al credito a causa della crisi del debito pubblico europeo. A fronte di questa rallentamento – osservano – stanno invece marciando speditamente alcuni progetti rinnovabili avviati autonomamente dagli Stati del Nord Africa, come Algeria ed Egitto. Per di più, chi pagherà per Desertec? Si parla di prestiti di istituzioni come la Banca mondiale (la soluzione adottata per il Marocco), ma la presenza delle banche tedesche lascia pensare che possano anche diventare i finanziatori chiave. C’è anche l’ipotesi che gran parte dell’onere possa ricadere sui contribuenti europei, attraverso sussidi UE o tariffe aggiunte alle bollette energetiche.
Il progetto, inoltre, prevede che sarà esportata in Europa solo la parte eccedente dell’energia prodotta, mentre la parte principale sarà immessa nelle reti locali. Ma ciò è anche l’obiettivo dei partner MENA? Obaid Amrane, membro del consiglio dell’Agenzia marocchina per l’energia solare, che sovrintende il primo impianto Desertec, afferma che il suo paese ha i propri piani per l’energia elettrica prodotta presso l’impianto e per gli altri quattro che seguiranno entro il 2020 e non include necessariamente la vendita in Europa. “Entro il 2020 ci aspettiamo un raddoppio del consumo di elettricità in Marocco per la crescita della popolazione e del suo tenore di vita. Al momento, il paese dipende per il 97% dall’energia straniera. Ma ora stiamo puntando a raggiungere il 42% della capacità di produzione elettrica da rinnovabili entro il 2020”. Ciò pone un’altra sfida per Desertec: come garantire che l’energia elettrica sia inviata in Europa e non solo consumata localmente? E come i paesi MENA possono giustificare la vendita di energia elettrica in Europa – dove il prezzo dell’elettricità al dettaglio può essere superiore fino a 20 volte – se la popolazione locale convive con i blackout?
Critiche sono state espresse anche riguardo alla vulnerabilità dei sistemi rinnovabili ad attacchi terroristici. Questo aspetto, per la verità, è comune anche a gasdotti, oleodotti, centrali elettriche e ferrovie. Peraltro gli impianti saranno grandi wind farm o parchi solari di estese dimensioni, difficili quindi da colpire in modo rilevante rispetto alle centrali tradizionali, e la sempre maggiore interconnessione della rete a nord e a sud limiterà il rischio di black out.
Non mancano poi le questioni tecniche. Per la Flagsol, la società specializzata nella costruzione di impianti solari a concentrazione (CSP) nei deserti degli Stati Uniti, Spagna e ora Egitto, tenere puliti gli specchi è la sfida principale. A causa delle condizioni polverose, ogni giorno le prestazioni degli specchi diminuiscono di circa il 2%, quindi occorre pulirli quotidianamente. Ogni giorno per pulire tutto il sito occorrono circa 39 metri cubi di acqua demineralizzata. Il CSP in condizioni normali ha bisogno di una pulizia settimanale rispetto ai pannelli fotovoltaici che hanno bisogno di una pulizia mensile. Le tecnologie di “lavaggio a secco” sono in fase di sviluppo, ma riducono l’efficienza di generazione. In aggiunta, il fluido termovettore riscaldato richiede il raffreddamento prima del riutilizzo e, come con la pulizia, l’acqua è il mezzo più economico e semplice per farlo. Fino a quando le tecnologie di “raffreddamento a secco” non saranno più avanzate, i parchi solari nel deserto forse potranno insediarsi solo vicino alle grandi sorgenti di acqua.
Un’opportunità per tutto il Mediterraneo
Le perplessità, insomma, non mancano. Compresa la critica al carattere “neocoloniale” dell’approccio iniziale, volto chiaramente a sfruttare le preziose risorse solari dei paesi del sud a profitto esclusivo del nord. Una critica certo motivata, tuttavia quest’iniziativa potrebbe anche rivelarsi un’occasione per facilitare la cooperazione con i governi locali. Anzi, sono molte le ragioni per cui i paesi a sud del Mediterraneo sono interessati a sviluppare le fonti rinnovabili, oltre al loro ovvio contributo per replicare alla rapida crescita della domanda interna di energia elettrica. Basti pensare alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e allo sviluppo economico-industriale (green economy). Inoltre, nei prossimi anni i costi potrebbero scendere fino a 10 centesimi di euro al kiloWattora, cioè molto vicini ai prezzi dell’attuale mercato elettrico, raggiungendo la cosiddetta grid parity. Il costo complessivo dell’opera (capitale, esercizio, perdite) impatterà per circa 1-2 centesimi di euro per kiloWattora trasportato su una linea di 1.500 chilometri. In sostanza il progetto potrebbe rivelarsi una grande occasione per tutta l’area del Mediterraneo.
Nell’estate del 1913, a sud del Cairo, sulla riva orientale del Nilo, un ingegnere americano, Frank Shuman, mostrò un esperimento all’élite coloniale in Egitto. Dietro di lui si stendevano file di specchi curvi che riflettevano i raggi del sole verso un sottile tubo di vetro contenente acqua. L’acqua ormai surriscaldata si trasformava in vapore, in grado di attivare le pompe utilizzate per irrigare i campi circostanti dove era cresciuta la redditizia coltivazione del cotone. “La razza umana deve finalmente utilizzare energia diretta del sole, oppure tornare alla barbarie”, scrisse Shuman in una lettera a una Rivista Scientifica americana l’anno successivo. Da allora è passato quasi un secolo: i tempi ormai sono maturi.