di Rossella Rossini –
L’Italia è sempre più povera e cresce, in particolare, la povertà fra i giovani. Ma gli italiani sono soprattutto “Poveri di diritti”, come dice il titolo del Rapporto annuale della Caritas, presentato nei giorni scorsi a Roma. Il peso della povertà si è progressivamente allargato, ma non tutti sono poveri allo stesso modo. Ci sono i poveri in assoluto e quelli che sono a rischio di diventarlo. Le ingenti risorse destinate ad affrontare il problema non sembrano in grado di ridurlo in maniera significativa. Ma quella che più colpisce è che i poveri, ancora oggi, sono soprattutto privi di diritti, a cominciare da quello fondamentale di poter sperare in una vita migliore per sé e per i propri figli, di sapere che è possibile uscire dalla povertà perché lo vuole il patto costituzionale.
E’ aumentato del 19,8% (69,3% nel Sud Italia) il numero delle persone che negli ultimi quattro anni (2007-2010) si sono rivolte ai Centri di Ascolto delle Caritas Diocesiane, prevalentemente con richieste di aiuto economico, cresciute dell’80,8%. Per quanto gli stranieri, con circa il 70% del totale, rappresentino la fascia di popolazione più consistente, l’incremento maggiore si è registrato fra gli italiani (+42,5%, a fronte di un incremento del 13,9% tra gli immigrati). In crescita anche i nuovi poveri (+13,8%) e i giovani, con il 20% di persone ascoltate dai CdA di età inferiore a 35 anni.
Sono alcuni dei dati emersi dall’XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale, curato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan, presentato a Roma con il titolo emblematico “Poveri di diritti”. Diritti negati, a cominciare da quello di poter sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli. Ma prevale una cultura diffusa secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello Stato sono una “cura di mantenimento”, esclusivamente sotto forma di sussidio monetario, per situazioni di povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire. Ricordando l’ultima rilevazione Istat, che fissa in 8.272.000 le persone povere nel 2010 (13,9% della popolazione, erano il 13,1% nel 2009) e registra un lieve incremento delle famiglie in condizioni di povertà (da 2,657 milioni, pari al 10,8%, a 2,734 milioni, pari all’11%), il Rapporto denuncia una sostanziale difformità tra i dati statistici ufficiali e la realtà del paese. Le situazioni di povertà materiale incontrate dalla Caritas negli ultimi anni sono costantemente e fortemente aumentate. Nel 2010, i problemi riconducibili a bisogni di carattere primario e strutturale (economici, abitativi, sanitari, alimentari, ecc.) hanno rappresentato l’81,9% delle richieste di aiuto, quando erano il 75% sei anni prima; mentre le problematiche post-materiali (disagio psicologico, dipendenze, difficoltà relazionali) scivolano su valori più bassi, dal 25 al 18,1%. In particolare, se al primo posto figurano sempre le difficoltà economiche, con le richieste di sussidi aumentate dell’80,8% in quattro anni, e al secondo quelle occupazionali, la questione abitativa nello stesso periodo di tempo è diventata una vera e propria emergenza, con un aumento del 23,6%. Aumentano anche i giovani che chiedono aiuto ai centri: +59,6%, di cui il 76,1% non studia e non lavora. Sono i cosiddetti Neet (Non in Education, Employment or Training), sui quali si è soffermato il direttore di Caritas Italiana, mons. Vittorio Nozza: i nuovi poveri di domani, persone in età attiva che non ricevono un’istruzione, non hanno un impiego e non cercano un’occupazione, oggi stimati in più di due milioni. Questo fenomeno s’inserisce nel più generale cambiamento del volto e del raggio di azione della povertà. Un raggio di azione che si va progressivamente allargando – rileva il Rapporto – coinvolgendo persone che risiedono in una dimora stabile, sono in possesso di un lavoro e vivono all’interno di un nucleo familiare. Sono i nuovi poveri, aumentati del 13,8% in quattro anni con significative differenze nelle diverse macroregioni italiane, fino a registrare una crescita del 74% nel Mezzogiorno. Persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno, per le quali la povertà non è sempre cronica, ma “rappresenta una situazione episodica del proprio percorso di vita: non dunque il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavoro, le relazioni familiari e l’insufficienza di un sistema di welfare. Le nuove situazioni di povertà che si affacciano ai centri coinvolgono l’intero nucleo familiare, anche se le donne e le nuove generazioni si trovano a pagare il prezzo più elevato”. Un fenomeno, quello delle nuove povertà, spesso aggravato dall’incapacità di rinunciare a determinati livelli di consumo, come ha sottolineato mons. Mariano Crociata,segretario generale della Cei.
Intanto i soldi pubblici spesi per contrastare la povertà sono “spesi male e danno scarsi risultati”. E’ una ulteriore denuncia del Rapporto che, osservando come la crescita della povertà sia “al netto” dei sussidi, sollecita un’integrazione dei metodi di rilevazione statistica con soluzioni più sensibili ai cambiamenti. Ma soprattutto sollecita un cambiamento di rotta, perché “la politica dei trasferimenti monetari è fallita”. La questione della povertà “può e deve essere affrontata all’interno dei livelli essenziali di assistenza sociale. Solo così il contrasto alla povertà può diventare obiettivo strutturato e condiviso dei sistemi regionali di welfare” – si legge ancora nel Rapporto, che in questa chiave analizza i casi di quattro regioni (Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Sardegna) alle quali dedica una specifica sezione.
“Conquiste del Lavoro” – 18 ottobre 2010