di Rossella Aprea –
Si tratta di un interrogativo che più o meno velatamente si è affacciato nella mente di molti di noi, ammettiamolo. Le vicende degli ultimi anni hanno suscitato nei più attenti e lucidi osservatori tra noi non poche domande. Un interrogativo che sicuramente nella maggior parte dei casi ha preceduto di gran lunga tutti gli altri.
Perché emergono i peggiori? Un quesito che ad un certo punto si è trasformato per molti italiani in una rassegnata affermazione. Tentiamo qui di analizzare il fenomeno e di trovare una chiave di lettura, che ci possa guidare nell’osservazione e nella valutazione anche futura della classe politica.
La mancanza di scrupoli è senz’altro, a ben vedere, un requisito quasi indispensabile per intraprendere una carriera, il cui reale obiettivo resti non il bene pubblico, ma sostanzialmente il raggiungimento del potere.
Non stupisce, dunque, che il maggiore successo lo riscuotano proprio le persone prive di scrupoli che, posti di fronte alla scelta, se fallire o non curarsi della morale comune, optano senza ombra di dubbio per la seconda. Un leader, che intenda dominare la scena politica allo scopo precipuo di esercitare la propria brama di potere e di affermazione, dovrà raccogliere intorno a sé un gruppo di persone disposte a sottomettersi volontariamente ad una “disciplina” e a delle “regole” che essi stessi, a loro volta, dovranno riuscire ad imporre al resto della popolazione. Per affermarsi un leader di questo tipo non deve preoccuparsi di capire su cosa la maggioranza della popolazione è d’accordo, ma piuttosto riuscire ad individuare quale sia il singolo gruppo più numeroso i cui componenti siano d’accordo quel tanto che basta per consentire una direzione unificata di tutte le possibili questioni.
Esistono tre ragioni principali che spiegano perché un simile gruppo numeroso, che condivida opinioni abbastanza omogenee, molto probabilmente non sarà formato dai migliori elementi di una società, ma piuttosto dai peggiori.
La prima ragione è che quanto più l’educazione e l’intelligenza degli individui aumentano, tanto più i loro gusti e le loro opinioni si differenziano. Se si vuole trovare un grado elevato di uniformità nel modo di vedere le cose, si deve scendere ai gradini più bassi degli standard morali e intellettuali, dove prevalgono gli istinti più primitivi. Forse qualcuno non faticherà a ravvisare qualche somiglianza con la situazione, che ha afflitto il nostro Paese nell’ultimo ventennio, e dalla quale stiamo tentando faticosamente di uscire. Non intendiamo confortarvi nelle vostre perplessità, il nostro è un discorso assolutamente generale, ma vi lasciamo procedere liberamente e serenamente alle vostre considerazioni se delle affinità apparissero per voi evidenti.
Questa prima considerazione non si traduce nella conclusione fin troppo facile che la maggior parte degli uomini ha standard morali bassi; vuol dire semplicemente che la maggioranza di coloro che hanno in comune valori molto simili è composta da persone con bassi standard morali.
La seconda ragione che porta i peggiori ad emergere è da ravvisare nella necessità, per un tale leader, di ampliare il più possibile la base del consenso, dal momento che questo gruppo non è abbastanza numeroso da conferire agli sforzi del leader sufficiente autorevolezza. Il numero dei suoi aderenti dovrà crescere con la conversione allo stesso semplice credo di altri individui. Perciò, un tale leader dovrà ottenere l’appoggio delle persone docili e credulone, quelle che non hanno forti convinzioni personali, ma sono disposte ad accettare un sistema di valori preconfezionato, solo se questo viene ossessivamente ripetuto alle loro orecchie abbastanza spesso e con sufficiente forza.
Saranno i soggetti dalle idee vaghe e non compiutamente formate, quelli che possono essere facilmente influenzati e in cui le passioni e le emozioni vengono rapidamente risvegliate, che andranno a ingrossare le fila del partito.
La terza ragione di un tale successo per questo leader si deve basare sul tentativo efficace di assemblare saldamente una schiera di sostenitori che mantengano una propria coesione, facendo leva su una debolezza umana molto diffusa. Infatti, sembra più facile ottenere l’adesione della gente a un programma negativo – basato sull’odio nei confronti del nemico, o sull’invida per quanti se la passano meglio – piuttosto che non a un programma positivo. La contrapposizione tra “noi” e “loro” viene di conseguenza sempre impiegata da coloro che cercano la devozione di vaste masse. Il nemico può essere interno o esterno. In entrambi i casi questa tecnica presenta il grande vantaggio di lasciare al leader una maggiore libertà di azione rispetto a quella consentita da quasi tutti i programmi positivi.
La carriera nell’ambito di un gruppo o di un partito del genere dipende in gran misura dalla disponibilità a compiere azioni immorali. Il principio che il fine giustifica i mezzi, principio che in un’etica individualista viene considerato la negazione di ogni valore morale, in un’etica “edonistico-personalistica” diventa necessariamente la regola suprema. Non esiste letteralmente niente che uomini politici del genere, convertiti a questo credo, non siano preparati a fare, dichiarandolo utile “al bene della collettività”, unico criterio che essi assumono o affermano di assumere per valutare ciò che deve essere fatto. Per diventare un utile collaboratore nella gestione di un sistema guidato da un tale leader, un uomo deve essere pronto a infrangere ogni regola morale di cui sia a conoscenza, se questo sembra necessario al raggiungimento dell’obiettivo che gli è stato assegnato.
A questo punto occorre fare un’altra precisazione: il tipo di sistema politico che s’instaurerà segnerà la fine della verità. Per far funzionare in modo efficiente un sistema del genere, infatti, non è sufficiente che tutti gli individui siano costretti a lavorare per gli obiettivi selezionati da quanti detengono il controllo; è essenziale che essi si convincano che questi obiettivi sono anche i loro. Di questo si occupano la propaganda e il controllo completo di tutte le fonti di informazione.
Il modo più efficace per far sì che il popolo accetti la validità di valori che deve servire è quello di persuaderlo che si tratta in fondo degli stessi valori che ha sempre sostenuto, solo che in precedenza questi non erano compresi o riconosciuti correttamente. E la tecnica più efficace per raggiungere questo scopo è quella di utilizzare la vecchia terminologia cambiandone il significato. Pochi aspetti di tali regimi sono tanto disorientanti agli occhi di un osservatore superficiale, eppure al tempo stesso tanto caratteristici dell’intero clima intellettuale, quanto questo totale pervertimento del linguaggio.
Il termine che più ne risente è “libertà”. Si faccia attenzione all’uso e all’abuso che viene fatto di questo termine. Libertà è una parola usata in questi sistemi politici con la stessa assiduità di altrove. A dire il vero, si potrebbe quasi affermare che dovunque la libertà, quale noi la intendiamo, è stata distrutta, questo è stato fatto nel nome di qualche nuova libertà promessa al popolo. La “libertà” in questo caso non è la libertà dei singoli componenti della società, ma la libertà senza limiti che il leader si arroga di fare della società quello che più gli aggrada. E’ questa la confusione tra libertà e potere portata all’estremo.
Non è difficile privare del pensiero indipendente la stragrande maggioranza della gente. Ma anche la minoranza che conserva un’inclinazione a muovere critiche deve essere ridotta al silenzio. Il controllo si estende anche a soggetti che non sembrano avere alcuna rilevanza politica. L’intolleranza nei confronti del pensiero dissidente viene apertamente elogiata. L’affermazione di questo “clima culturale” modifica il sistema dei valori morali e fa perdere spessore all’indipendenza e alla fiducia in se stessi, all’iniziativa individuale e alla responsabilità locale, al fare assegnamento con successo sull’attività volontaria, alla non-interferenza nei confronti del proprio vicino, alla tolleranza del diverso, e a una salutare diffidenza nei confronti del potere e dell’autorità.
A pochi giorni dalle dimissioni di Silvio Berlusconi e al declino, forse irreversibile, di un sistema sociale, politico e culturale che non possiamo negare ha pesantemente inciso sulla società italiana degli ultimi venti anni, condizionandola nelle scelte, negli orientamenti, nei valori, sembrerebbe fin troppo facile ritenere che questa riflessione si riferisca all’era berlusconiana.
Le modalità di affermazione, di sviluppo, di gestione del sistema politico cui abbiamo fatto riferimento, sembrerebbero calzare perfettamente con questo sistema di potere, messo al tappeto solo negli ultimi giorni dalla finanza internazionale. Eppure, il testo che abbiamo sin qui riportato, rispettandone rigorosamente i contenuti, con solo qualche piccola omissione e qualche opportuno adattamento, per non renderne immediatamente visibile la paternità, non ci appartiene e certamente non è stato concepito ed elaborato, pensando al berlusconismo. Si tratta di un testo di quasi settant’anni fa, scritto da Von Hayek – illustre economista e fiero sostenitore della destra politica americana, che negli anni Quaranta del secolo scorso così analizzava e demonizzava il tanto vituperato comunismo nel testo “The road to serfdom” (La via della schiavitù). Noi abbiamo compiuto una semplice operazione di riproposizione e riattualizzazione, in cui appare ancora più stridente e grottesca l’analogia tra i due sistemi.
Il Berlusconismo che ha dominato la scena politica italiana per due decenni si è nutrito e alimentato, facendo leva sulle stesse logiche comportamentali, sulle quali è cresciuto e si è consolidato il comunismo. Quel comunismo più volte attaccato e condannato dallo stesso Cavaliere e dai vari esponenti del popolo della Libertà, agitato come uno spauracchio e stigmatizzato come la vera, autentica minaccia per il popolo italiano alla sua libertà. Mutatis mutandis i due sistemi politici hanno più punti di contatto di quanto non si sarebbe potuto immaginare. Ecco perché avere memoria, conoscere la storia e saper ravvisare le tracce delle esperienze passate nel presente è un esercizio fondamentale, vitale per lo sviluppo di ogni società sana, perché ogni aggregazione umana, ogni individuo possa continuare ad essere libero, salvaguardando la sua libertà. In una parola per non ripetere gli stessi errori e sapendo così immediatamente cogliere quando “emergono i peggiori”.