Ritratto di una nuova generazione di…sciamani
di Dafne Chanaz –
Una riflessione in controtendenza sul mondo giovanile che la televisione non ci propone, ma che per chi ha occhi per guardare come Dafne Chanaz è interessante considerare. La silenziosa e attiva critica di molti giovani potrebbe colpire veramente al cuore il sistema nel quale ci troviamo immersi? Forse voltare le spalle ad un progresso inarrestabile e disumano e ricostruire la propria speranza sulla scorta di ciò che riesce ancora ad illuminare il proprio quotidiano potrebbe essere una risposta.
Questa mattina ci accingevamo ad una tarda colazione al bar con una mia amica svedese che è venuta per le feste, quando ecco passare un giovane rasta: “non avevo mai visto un rasta stressato!”, commenta Patricia. Vorrei iniziare il 2013 con una riflessione sulle giovani generazioni. Perché in pentola bolle anche il nostro futuro, per mano loro.
Ho risposto alla mia amica con un aneddoto: un paio di mesi fa ho distribuito una ventina di studenti universitari statunitensi in alcune fattorie. L’età media degli agricoltori in Italia è di 60 anni, quindi la maggior parte delle fattorie ospitanti erano tenute da coppie di mezza età con figli o anziani con figli già grandi. In tutti questi casi, complice la pioggia, avere ospiti è stata un’occasione per rallentare il ritmo e stare vicino al fuoco a scambiarsi delle idee. La vita di campagna sa essere generosa in questo senso e soprattutto d’inverno offre del bel tempo libero.
Una delle fattorie ospitanti invece era costituita da una piccola comunità di ventenni sotto forma di eco villaggio. Una decina di abitanti organizzati in modo comunitario con amache, cuscini, chitarre, capelli rasta, abiti hippy, vino proprio in abbondanza ed erba da fumare. Ma il grosso choc per i miei studenti è consistito nel fatto che lì, si lavorava 12 ore al giorno! La pioggia aveva smottato della terra, e tutti quanti si son tuffati come forsennati con degli stivaloni ed il fango fino alle anche a scavare un fossato. Era appena passato il periodo intenso della vendemmia (c’è una grossa produzione di ottimo vino biologico), ma si era subito ripartiti con la raccolta delle olive e con l’olio. Nessuno si concedeva mai di fermarsi per più tempo di quanto fosse strettamente necessario a riprendere il fiato.
Questi ragazzi sono guidati dalla passione e dalla speranza in un futuro migliore costruito a mani nude e con l’orgoglio anarchico del contadino. Sono spronati dalla cocente consapevolezza della crisi e della disoccupazione, uno spettro che ogni ventenne ha interiorizzato fino al midollo. Si danno senza riserve, coscienti che non è affatto scontato che ce la facciano a vivere, a tirar su dei figlie ed a resistere. Ecco altri rasta stressati!
Io vedo la crisi come sintomo di un limite strutturale ed ecologico allo sviluppo, e leggo il benessere degli anni ‘60-’80 come effetto climax di un’economia dopata dalle energie fossili. In questo contesto, la generazione che oggi ha 50-70 anni, ragionava su delle premesse falsate, dava per scontato che la “macchina” economica continuasse a carburare, e si poneva obiettivi professionali coerenti entro questo sistema di coordinate. Ma soprattutto, aveva la vita parecchio più facile e poteva scegliere ove posizionarsi come si sceglie un piatto da un menù.
Mentre per i giovani, il piatto va coltivato, inventato e cucinato da zero. Se poi parliamo di politica, il discorso si ripropone. Il potere reale è slittato al livello sovranazionale, sfuggendo dalla sfera della politica verso la sfera dell’economia, in cui i governi si interrogano sul loro ruolo in relazione a questi strapoteri, e poco ci manca che le lobby e le multinazionali abbiano eserciti propri (Bill Gates siede ai tavoli del FMI al pari di un governo). È un grosso errore pensare che le giovani generazioni si siano disinteressate della politica, dell’ambiente e di ciò che li circonda. Piuttosto, attraverso medium molto diversi (internet, social media ed esperienze dirette), puntano il proprio telescopio su questo immenso e complesso mondo che li circonda, che li fa sentire inermi ed impotenti, ma anche, spesso, indignati e dissociati.
Non hanno soluzioni, né personali né collettive. Di fronte al collasso, voltano le spalle a tutti i valori del progresso, siano essi socialisti o capitalisti. E ricostruiscono la propria speranza sulla scorta di ciò che riesce ancora ad illuminare il loro quotidiano, a farli sognare. Cercano ambiti nei quali possano di nuovo sentirsi utili. E questi ambiti sono i seguenti:
la creatività, senza alcuna connotazione particolare (leggi musica hip-hop, leggi video virali, leggi centri sociali ecc ecc.), una creatività spesso condivisa attraverso i nuovi strumenti mediatici, che prende prima forma in modo giocoso e gratuito per poi trasformarsi in un mestiere più artigianale che artistico (fare magliette e venderle ad esempio, riparar computer o cucinare)
la ricerca di un’armonia perduta con la natura attraverso l’adozione di stili di vita pre-agricoli (si diffonde la moda di abitare in tende yurte, coltivare la terra senza ararla attraverso la permacultura, mangiare solo cibi crudi e costruirsi stufe a legna)
Questi giovani all’apparenza un po’ borderline in realtà hanno la capacità e la volontà di spendersi senza riserve. Lavorano, anche se e quando nessuno li remunera. E sanno quello che fanno. Questi giovani stanno costruendo la transizione. Per ora si distinguono più per ciò che non fanno che per ciò che fanno: non inquinano, non consumano molto, cercano di guardarsi dentro invece di cercar di coprire con la loro voce od immagine quella degli altri, sono reticenti ad inserirsi nel contesto del mercato e ancor di più in quello delle istituzioni. La loro critica al sistema è molto profonda ed interiore più che esteriore. Fanno ciò che da loro risultati concreti e soddisfazioni, cercano la strada per sbarcare il lunario e spesso la trovano in modi e luoghi insoliti. Quando la trovano lavorano il doppio, il triplo rispetto ai loro genitori. E quando lavorano, costruiscono sistemi ad energia alternativa, fattorie biologiche, biciclette, software liberi e via dicendo. Questi giovani si lasciano scivolare addosso le critiche, continuano nonostante i genitori non li capiscano, poi quando la TV gli da ragione, anni dopo, ecco che il resto del mondo riconosce il loro come reale. È buffo e paradossale: ormai una cosa diventa vera solo quando la si vede in TV. La televisione è la realtà reale per la maggior parte della gente. Per gli innovatori e per i giovani invece, la realtà è da riscoprire e da riabbracciare. Il loro lavoro lo possiamo apprezzare se usciamo da davanti agli schermi di casa ed ufficio e scendiamo, appunto, nel mondo reale. Non usano marketing perché giudicano stupido sprecare tempo e risorse: un bravo artigiano non ha bisogno di pubblicità.
Se questa non è politica…