Un Paese votato alla ricchezza del bello, soffocato da brutto e dalla propria insipienza
di Rossella Aprea –
1) Con la cultura non si mangia?
2) L’Italia, un museo a cielo aperto
3) All’estero chi l’ha capito investe
4) Un’Italia sempre più brutta e senza futuro
1) Forse non avevamo bisogno che il rapporto “Arte, turismo culturale e indotto economico” presentato nel 2009 da Confcultura e dalla Commissione Turismo e Cultura di Federturismo Confindustria e commissionato a PriceWaterhouseCoopers ci informasse sulla ricchezza del nostro patrimonio artistico-culturale. Lo sapevamo. Sorprenderà qualcuno, invece, sapere che questo patrimonio potrebbe essere una fonte di notevole ricchezza per l’intera economia italiana. Qualcuno, e in particolare i nostri esponenti politici, se arrivano ad affermare che “con la cultura non si mangia”. La dichiarazione del Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è un segno preoccupante di quell’insipienza culturale dilagante, che sta portando all’abbandono e alla progressiva distruzione del nostro patrimonio artistico e culturale (il crollo della Domus Gladiatorii a Pompei nel mese di novembre dello scorso anno ne è una chiara testimonianza). 2) Il nostro Paese è un immenso museo a cielo aperto, possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.000 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco. Ha una vocazione naturale al bello, al punto tale da suscitare attrazione in tutto il mondo. Eppure qualcosa non va, perché nonostante questo primato assoluto a livello mondiale, gli Stati Uniti, che dispongono della metà dei siti rispetto all’Italia hanno un ritorno commerciale 7 volte superiore al nostro (160 milioni di Euro contro i nostri 21 milioni). Non sarebbe il caso di interrogarsi? 3) Il settore culturale e creativo in Italia raggiunge appena il 2,6% del PIL nazionale (pari a circa 40 miliardi di Euro), rispetto al 3,8% di UK (circa 73 miliardi di Euro) e 3,4% della Francia (circa 64 miliardi di Euro). Siamo fanalino di coda europeo, perché? C’è un evidente gap competitivo, dovuto alla scarsa capacità di sviluppare il potenziale del nostro Paese. Lo dimostra anche l’insoddisfacente rapporto fra industria turistica e patrimonio artistico e culturale, che ci vede ancora dietro a Spagna, Regno Unito e Francia. Le soluzioni esistono, come dimostrano gli altri Paesi, meno “dotati” di noi, ma dovrebbero essere applicate e perseguite. Il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha messo a punto, di recente, in un documento strategie per investire nella cultura e nella creatività per rilanciare la sua città e farla assurgere nuovamente a capitale della cultura mondiale. Il documento identifica le relazioni benefiche che intercorrono tra le industrie creative e le attività commerciali. Tutte cose niente affatto banali, che hanno ricadute molto precise sul PIL della metropoli inglese. Da notare che nel documento nessuna città italiana compare nella lista di quelle con cui Londra sente di doversi confrontare, eccetto Roma. Un bel primato negativo.)E l’Italia? L’Italia taglia continuamente fondi alla cultura, considerandoli spese inutili, invece di preziosi e fruttuosi investimenti. Non si potrebbe procedere ad un diverso impiego delle risorse istituzionali e finanziarie, pubbliche e private, in un’ ottica di Public and Private Partnership, che consenta di innescare un processo virtuoso con ricadute positive, anche in settori sinergici quali infrastrutture, artigianato, industria ed altri servizi? L’Italia ha una vocazione al “bello”, e nel “bello” dovrebbe far risiedere la propria ricchezza e il proprio futuro. Il nostro Paese, invece, annega nel brutto, nel volgare, nel mediocre e nella miseria che a tutto questo è legata. Avremmo enormi potenzialità di crescita, che ad oggi non sono ancora sfruttate e proprio il settore culturale potrebbe riservare notevoli sorprese nell’ambito della ripresa economica. Questo richiederebbe, però, una maturità sociale e istituzionale ancora assente o troppo debole per scatenare quella rivoluzione economico-culturale di cui avremmo, oggi più che mai, un disperato bisogno. Con la cultura si mangia. Eccome! Gli altri Paesi lo sanno bene.”