di Salvatore Aprea –
La raccolta differenziata è nata nella Napoli borbonica del XIX secolo. Un decreto del maggio 1832 regolamentava la situazione igienica dei rifiuti napoletani e un’ordinanza della prefettura prescriveva i dettagli dello spazzamento delle strade, imponendo agli abitanti di accumulare davanti ai palazzi e alle botteghe i frammenti di vetro. Non è una boutade, anche se la notizia può apparire sorprendente, alla luce della drammatica situazione attuale seguita con preoccupazione anche al livello europeo. La direzione Ambiente della Commissione europea, infatti, a gennaio ha affidato alla società parigina “Bio Intelligence Service” il compito di analizzare l’emergenza rifiuti della Campania, oltre ad alcune aree critiche in Grecia, Slovacchia e Portogallo. I primi risultati del Rapporto francese rappresenteranno il supporto per le decisioni che la Commissione dovrà prendere in merito a una nuova procedura di infrazione, dopo quella avviata nel 2007 e conclusa il 4 marzo 2010 quando la Corte di giustizia europea del Lussemburgo ha condannato l’Italia per non aver saputo gestire I’emergenza rifiuti in Campania.
L’inusuale ricorso al parere dell’organizzazione ambientale francese è indicativo della scarsa considerazione che la Commissione ha della capacità italiana di risolvere in proprio la questione. Per giunta, se la posizione assai critica dell’Europa avesse avuto bisogno di essere rafforzata, quasi contemporaneamente il Parlamento italiano approvava un decreto legge che – nei fatti – dichiara conclusa l’emergenza e stabilisce il ritorno alla normalità, poiché contiene disposizioni relative al subentro delle amministrazioni locali nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti.
Le responsabilità politiche
Che a monte vi sia un’incapacità politica è lampante e prova ne sia che l’assessore all’Ambiente della Giunta regionale presieduta da Antonio Bassolino era Walter Ganapini, ritenuto il maggior esperto italiano del settore, già assessore al Comune di Milano che nel 1995 aveva risolto l’emergenza rifiuti della città lombarda in modo brillante. Per soprammercato, qualora occorresse una controprova, da 15 anni a questa parte gli attori istituzionali in maniera stupefacente ogni volta annunciano con toni trionfalistici che entro breve tempo – giorni, settimane o mesi – il problema rifiuti sarà definitivamente risolto e invece, trascorse le scadenze, nulla cambia.
Secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta del 2007 “la struttura commissariale si è dimostrata nel tempo inadeguata a far fronte agli obiettivi che presiedettero alla sua istituzione” e “l’emergenza nell’emergenza – cioè la vera emergenza, quella determinata dall’esaurimento delle discariche a disposizione – ha, sempre con maggiore frequenza, imposto soluzioni di brevissimo periodo”. Il quadro in cui ci si è mossi, infatti, è sempre stato quello dell’emergenza, introdotta nel 1994 dal Governo Ciampi con la nomina del primo Commissario di Governo con poteri straordinari. Da allora si sono avvicendati dieci Commissari e diversi governi, ma è stata proprio la gestione commissariale che ha creato l’attuale, per molti versi incontrollabile, situazione di perenne criticità. Eppure, nonostante negli ultimi anni la gestione del problema rifiuti in Campania sia passata nelle mani del governo nazionale, quando si affronta il discorso delle responsabilità per la catastrofe ambientale che ha pesantemente minato l’immagine e il tessuto economico di una regione già più di altre prostrata dalla crisi economica, le responsabilità sono tutte attribuite al contesto locale.
Di certo non sono mancate le risorse. Da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza il costo del servizio rifiuti in Campania è più che triplicato – come rilevato della Sezione Regionale per la Campania della Corte dei Conti – passando da una media non superiore a 10 centesimi di euro per chilogrammo nel 1995 – ad un costo superiore, a 30 centesimi per chilogrammo nel 2008, rispetto alla media nazionale pari a circa 24 centesimi di euro. Per converso, la congiuntura del sistema rifiuti, anziché avviarsi a soluzione, si è progressivamente aggravata:
– la Campania produce ogni anno oltre 2,7 milioni di tonnellate di rifiuti (nel 2008, dati Apat), mentre le discariche esistenti sono in via di saturazione, con autonomie che non si misurano più in anni ma in mesi, a cominciare da quella di Chiaiano;
– nei siti di stoccaggio (stir, piazzole, impianti di compostaggio) sarebbero conservate centinaia di migliaia di tonnellate di FOS (Frazione Organica Stabilizzata);
– il termovalorizzatore di Acerra funziona quasi sempre a regime ridotto e comunque – a giudizio degli esperti- non è in condizione di bruciare gli oltre 6 milioni di tonnellate di ecoballe attualmente stoccati sul territorio campano;
– la raccolta differenziata non decolla (19 per cento contro il 30 per cento della media nazionale e il 45 per cento delle regioni del Nord, dati Apat).
L’opportunità di grossi guadagni nel trattamento rifiuti – soprattutto di quelli speciali – è stata sicuramente rilevante per la massiccia presenza nel settore della criminalità organizzata. Secondo l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) le più grandi discariche abusive sono nelle aree dei litorali Vesuviano, Domizio-Flegreo e Agro Aversano, che da soli si estendono su 340.609 ettari di terra e acque. La presenza della camorra, tuttavia – come ha osservato la citata Commissione d’inchiesta – non é la causa ma la conseguenza dell’assenza di un ciclo integrato dei rifiuti che ha fatto sì che le discariche divenissero, da elemento accessorio, nodo assolutamente centrale nello smaltimento dei rifiuti e la ricerca delle discariche è un elemento che facilità la commistione con la criminalità organizzata.
La via maestra della raccolta differenziata
Il problema chiave di un ottimale ciclo dei rifiuti è rappresentato da una efficiente raccolta differenziata. Spesso si sono lette e ascoltate, specialmente nel Nord Italia, dissertazioni sull’assenza di senso civico dei cittadini campani e in particolare napoletani, che porterebbero al rifiuto di differenziare i rifiuti. Eppure nel 2008 I’introduzione della raccolta differenziata porta a porta in alcuni quartieri della città di Napoli aveva dato risultati incoraggianti. I quartieri erano per lo più appartenenti alla periferia napoletana, Bagnoli, Ponticelli, Centro Direzionale, Chiaiano, Colli Aminei, Rione Alto, San Giovanni a Teduccio. La popolazione interessata -130.000 abitanti- rappresenta il 15 per cento della popolazione complessiva e, come scrive il WWF, in questi quartieri il 66 per cento dei rifiuti non va in discarica, ma viene avviato al recupero.
L’Azienda servizi igiene ambientale (Asia), la società di proprietà del Comune che gestisce i rifiuti a Napoli, ora è presieduta da Raphael Rossi, giovane esperto di raccolta differenziata porta a porta che ha lavorato nell’azienda municipalizzata di Torino, l’Amiat, dove ha denunciato un tentativo di corruzione finalizzato all’acquisto di macchinari inutili facendo risparmiare ai cittadini 4,2 milioni di euro, con i responsabili sotto processo grazie alla sua denuncia. Dal primo gennaio 2012 l’Asia dovrà coprire l’intero territorio cittadino, rimpiazzando le due ditte private che curano lo spazzamento e la raccolta dei rifiuti in una parte della città di Napoli, con un prevedibile aumento e migliore uso della pianta organica dell’azienda. L’obiettivo del neo-sindaco è di raggiungere entro sei mesi cifre di raccolta differenziata superiori al 50 per cento, rompendo catene di interessi oramai consolidati. Le resistenze sono notevoli – i roghi pilotati di questi giorni sono lì a dimostrarlo – e l’inattività del governo sta rendendo la situazione drammatica anche sul piano sanitario, ma a Napoli occorre rimboccarsi le maniche perché finalmente adda passà a’ nuttata….