Sono trascorsi 50 anni da quando il 27 ottobre 1962 morì a Bascapè nell’esplosione del suo aereo Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’Eni, protagonista con la sua visione politica e industriale della modernizzazione italiana. Ebbe il merito di far scoprire all’Italia, specialmente a quella politica, il peso dell’energia per la ricostruzione e lo sviluppo del paese a prezzi di mercato.
Eravamo infatti completamente dipendenti dall’estero e il carbone, ad esempio, al porto italiano costava cinque volte di più che al porto di Londra. Era un uomo che aveva un grande senso dello Stato e di servizio alla sua impresa, rigoroso in tutte le cose, inflessibile con tutti, a cominciare da se stesso e dalle persone che aveva scelto.
Mattei era un autodidatta. Aveva fatto fino alla VI elementare, poi dopo la Resistenza in qualche modo aveva preso un diploma di ragioniere. La sua cultura personale, tuttavia, crebbe rapidamente per merito della continua vicinanza con il prof. Boldrini che insegnava statistica alla Cattolica e all’epoca era Vicepresidente dell’Eni. Aveva una gran memoria per cose, fatti e persone e Boldrini assecondò al massimo queste sue doti. Diventò tre volte ingegnere Honoris Causa e poi dottore in Chimica ed Economia. Pur non essendo un eccezionale oratore, Mattei in tv sapeva essere assai efficace. Proverbiale è rimasta l’intervista del 1961 in cui per spiegare qual era la posizione dell’Eni, narrò l’ormai celebre “racconto del gattino” in cui paragonò l’Eni a un timido gattino e le società del cartello petrolifero (le “Sette sorelle”, come le chiamava) a un branco di cani famelici. Paladino dello statalismo, nemico delle Sette sorelle, fautore del dialogo con i russi e i cinesi, Mattei fu per la sua epoca un personaggio, se non scomodo, certamente difficile.
Si rivelò un uomo in controtendenza fin dall’inizio, quando fu mandato a liquidare l’Agip e non lo fece, perché era convinto – a ragione – che a Caviaga, nella Valle Padana, ci fosse il metano. Per poter pagare gli stipendi agli operai, poiché il Governo non voleva dare all’Agip i soldi per nuove ricerche, si fece prestare dalla Comit i primi 10 milioni di lire, dando in garanzia la propria azienda personale, la “Chimica lombarda”. In breve, garantì personalmente un’azienda di Stato. Mattei aveva capito l’importanza dell’industria di Stato che, se opera in un clima di rigore morale, ha orizzonti più ampi dell’industria privata, avendo un compito più alto nell’interesse comune. In pochissimo tempo creò un’impresa internazionale (continuava a ripetere che l’Agip doveva considerare l’Europa il mercato domestico), fortemente innovativa: dai rapporti con il personale – introdusse per primo in Italia la “job evaluation” per selezionare e remunerare i dipendenti in base ai risultati – all’utilizzo della tecnologia sempre più avanzata, fino alla ricerca scientifica, che era una delle sue idee fisse. Nella legge istitutiva del 1953, infatti, fece inserire l’obbligo per l’Eni di destinare alla ricerca il 20% dei profitti. Aveva, inoltre, una serie di piccole regole scritte e non scritte sui dirigenti: ad esempio l’età massima alla quale li nominava era di 35 anni.
Mattei conferì all’Eni il ruolo di industria di Stato che aveva in mente, avendo contro però larghi settori dell’industria nazionale e non solo. All’interno del suo partito, la Democrazia Cristiana, non tutti erano con lui, a cominciare da don Sturzo che considerava del tutto negativa la presenza dello Stato in economia. Nel 1953, già presidente dell’Eni e parlamentare DC (era stato eletto a Milano nel 1948), venne alla ribalta la polemica sulla sua incompatibilità a presiedere un’azienda statale e De Gasperi cedette e pregò Mattei di rinunciare alla carica di deputato e restare presidente dell’Eni: tralascio qualunque commento sulla diversa gestione operata nell’ultimo ventennio a proposito del conflitto d’interessi…. I suoi rapporti con la politica furono, comunque, controversi. Sicuramente Mattei dovette fronteggiare i pesanti tentativi d’ingerenza dei partiti nel lavoro dell’azienda. Una volta disse ad un proprio collaboratore: “Tu non sai che fatica faccio io a tenere la politica fuori dall’Eni”. Già allora, infatti, il virus dell’invadenza partitica aveva cominciato ad aggredire il paese. D’altro canto, però, è pur vero che Mattei per accrescere il potere politico dell’Eni usò la politica con l’arma della corruzione.
Luci e ombre
Un incorruttibile corruttore. Questa fu una delle accuse che gli venivano rivolte frequentemente, anche tirando fuori la sua infelice battuta sui partiti, paragonati a dei taxi ai quali si paga la corsa. Fecero scalpore le accuse rivoltegli nell’inchiesta di Indro Montanelli, pubblicata nel luglio del 1962 dal Corriere della Sera. Fu lo stesso Montanelli a raccontare l’origine dell’indagine che gli venne commissionata nel marzo del 1962 da Alfio Russo, direttore del Corriere della Sera.”Prima di dedicarmi a essa – raccontò – sollecitai al direttore una riunione con gli editori e gli amministratori. Chiesi a tutti quanto rendeva annualmente al Corriere la pubblicità dell’Eni. <<Settecento milioni>>, risposero. Domandai se fossero disposti a perderli, come probabilmente sarebbe avvenuto in seguito a quell’inchiesta, e di fatto avvenne. Mi dissero che vi erano preparati. Impiegai tre mesi per raccogliere gli elementi”. Il reportage uscì in cinque puntate tra il 13 e il 17 luglio 1962 ed ebbe molta risonanza a livello nazionale e internazionale. Montanelli sostenne, con abbondanza di elementi, che Mattei aveva in pugno le chiavi di un grande forziere italiano – il metano della Valle Padana –, che era un petroliere senza petrolio, che sostituendosi alla diplomazia andava di persona a trattare con i sovietici, che il Governo, il Parlamento e la Burocrazia non avevano mai esercitato un reale controllo sugli “oscuri” conti del gruppo da lui guidato. Mattei replicò con una lunga lettera di puntualizzazioni che venne pubblicata il 27 luglio, insieme alla controreplica di Montanelli che si dichiarò insoddisfatto delle risposte ricevute. L’inchiesta del Corriere della Sera non rappresentava un’eccezione. Sulla stampa ogni giorno Mattei era sottoposto a un tale martellamento contro di lui e le sue attività che decise di raccogliere gli articoli: realizzò così una serie di 35 volumi contenenti oltre 5.000 testi e 14.000 pagine.
La “politica estera” dell’Eni
Il fuoco incrociato di critiche e ostilità era causato dalle sue iniziative sia interne che internazionali. In Italia ad esempio la riduzione per tre volte del prezzo della benzina fino a renderlo nel 1962 il più basso d’Europa, di certo non rese felici le compagnie concorrenti. Le operazioni più dirompenti, però, le condusse all’estero. La più eclatante fu quella di far saltare il sistema delle royalties – la percentuale sugli utili corrisposta ai proprietari dei giacimenti per la cessione dei diritti di sfruttamento – versate ai paesi produttori dalle società del cartello petrolifero sulla base della spartizione 50/50, introducendo il sistema più favorevole ai paesi produttori del 75/25. Mattei aveva stabilito rapporti preferenziali con i paesi arabi, grazie ai rapporti personali che era riuscito a creare con i grandi Capi di Stato. Sin dalla metà degli anni ’50, infatti, era convinto che presto o tardi gli arabi e gli africani si sarebbero ripresi le proprie produzioni di greggio e di gas per venderle direttamente decidendone il prezzo, cosa che poi si verificò con lo shock petrolifero del 1973. Propose, perciò, ai paesi proprietari delle riserve di olio e gas un nuovo schema assolutamente rivoluzionario, cominciando nel 1956 dall’Iran dello Scià Reza Pahalavi con il quale Mattei aveva stabilito un rapporto quasi di amicizia. Per le società del cartello petrolifero il danno era enorme e le reazioni non tardarono. Le Sette sorelle sollecitarono un pesante intervento del presidente degli Stati Uniti Eisenhower e del suo ministro degli Esteri, Foster Dulles, sul governo italiano affinché Mattei non fosse riconfermato Presidente dell’Eni, ma l’esito fu negativo. Dal canto suo Mattei detestava profondamente gli americani, anche se li ammirava assai per la loro bravura e la notevole evoluzione tecnologica. Ad un suo assistente nel settembre del 1962 disse: “Stai attento agli americani, non ti fidare degli americani… pensa che pur conoscendo gli ottimi rapporti che noi abbiamo con gli algerini hanno avuto il coraggio di venirmi a proporre di fare un pozzo di perforazione deviato dal confine della Tunisia verso l’Algeria per andare a rubare il greggio che gli algerini hanno scoperto proprio sul confine”.
Per Mattei anche i confini geopolitici non costituivano un limite e lo dimostrò alla fine degli anni ’50 quando, in piena guerra fredda, mise a segno un’altra operazione dirompente per gli equilibri internazionali, che suscitò grandi proteste: l’acquisto di greggio dai sovietici. Quello con i russi fu un grande affare. Mattei pattuì un prezzo del greggio inferiore di quasi il 40% e avviò il primo grande scambio commerciale “petrolio contro merci” – guadagnandoci un ulteriore 25% – perché non pagò i russi in dollari, ma con prodotti delle industrie italiane pubbliche e private: motori marini della Fiat, tubi della Finsider, cavi della Pirelli, concimi chimici dell’Anic. In altre parole, negli anni ’50 Mattei sdoganò l’industria petrolifera e del gas sovietica, avviando i rapporti che l’Eni mantiene con i russi da quasi sessant’anni.
Il dovere di essere visionari
La storia di Mattei e dell’Eni degli anni ’50 non si può certo racchiudere in poche righe. Per conoscere un po’ di più le vicende, suggerisco a chi fosse interessato di vedere l’eccellente film di Francesco Rosi del 1972 “Il caso Mattei”, magari cercandolo su youtube. Perché, però, ho deciso di raccontare questa storia del passato? Perché mi sembra istruttiva per il nostro avvenire: occorrerà lavorare tanto ed essere visionari. Scommettere il proprio patrimonio per sviluppare una azienda pubblica, pretendere gli investimenti nella ricerca per legge, opporsi alle decisioni improvvide del Governo, nominare dirigenti che hanno non più di 35 anni, tenere testa alle interferenze politiche, opporsi ai blocchi di potere consolidati nel settore petrolifero, aprire a nuove soluzioni come l’accordo commerciale con i russi in piena guerra fredda… La ricostruzione del nostro paese nel dopoguerra è passata attraverso sforzi enormi, compresi quelli di immaginazione per approdare a soluzioni non scontate. In una vecchia intervista di un quarto di secolo fa un collaboratore di Mattei, Italo Pietra, disse: “Negli anni ’50 ci sono stati due soli uomini in Italia che hanno fabbricato uomini, che hanno sentito proprio la passione di fabbricare uomini: uno era Adriano Olivetti e l’altro era appunto Enrico Mattei”. Negli anni del dopoguerra, della ricostruzione, del miracolo economico a Mattei, come ad Adriano Olivetti, non interessava il passato, ma il futuro. Proprio la visione che oggi sembra completamente assente nello scenario italiano. Nessuno possiede miracolose ricette politiche, economiche e sociali, siamo nel cuore di una intricata foresta e dovremo aprirci a fatica una nuova strada. Se, però, qualcuno vuole continuare a credere che per rimettersi in piedi a questo paese basteranno le ricette inique e vetuste propinate fino a oggi e propagandate con il sostegno di larga parte dei mezzi d’informazione, si accomodi pure…