Una ricetta per rilanciare le imprese minori del Nord-est
Il mitico Nord est dell’impresa diffusa, molecolare e proliferante non esiste più nella sua antropologia economica delle 3C: campanile-comunità-capannone. La metamorfosi territoriale rimanda al consolidamento delle imprese a reti lunghe che vanno oltre lo spazio di posizione locale, ma anche all’intelligenza sociale diffusa, ai saperi progettuali e terziari che sono cresciuti e ragionano sul destino del Nord est che verrà.
Da tempo sostengo che il mitico Nord est dell’impresa diffusa, molecolare e proliferante non esiste più nella sua antropologia economica delle 3C: campanile-comunità-capannone.
La metamorfosi territoriale rimanda al consolidamento delle imprese a reti lunghe che vanno oltre lo spazio di posizione locale (ricordiamo che secondo una ricerca della Fondazione Nord Est del 2012 oltre il 33% delle imprese nordestine è internazionalizzato in modo stabile e strutturato) ma anche all’intelligenza sociale diffusa, ai saperi progettuali e terziari che sono cresciuti e ragionano sul destino e sulla rappresentazione del Nord est che verrà.
Ne ho avuto un esempio recente partecipando al festival “Comodamente” a Vittorio Veneto. Si era partiti anni fa ponendo il tema, anticipando la crisi, del riuso e della riprogettazione dei capannoni abbandonati, per poi passare al riprogettare l’abitare e il vivere la pedemontana veneta come asse di un’area in divenire, nel suo configurarsi in geocomunità con meno capannoni, centri commerciali, villette a schiera e più manutenzione dei centri storici e della qualità della vita. Nell’ultima edizione l’animatore della manifestazione, il giovane architetto Claudio Bertorelli, ha destrutturato la formula festival (nomi noti, una piazza o un teatro e via andare, che mi pare abbia fatto il suo tempo con la sua maieutica dall’alto). Partendo dallo slogan di resilienza “la terra non mente”, ha distribuito in una miriade di micro eventi, chiamando a partecipare tutta la città, giornate di saperi interroganti sul come portare i fondamentali, la terra e il territorio, nell’ipermodernità che avanza anche col passo pesante della crisi. La traccia da seguire era il come costruire un territorio sostenibile, intelligente, inclusivo: un’idea di smart land presentata da Roberto Masiero in un intreccio operoso tra università, la piccola Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo e il territorio. Una manna concettuale per me che sostengo che anche un dramma tutto fordista come l’Ilva di Taranto si può affrontare solo con logiche di smart area, e utile in tempi in cui l’Europa matrigna dei parametri finanziari pare essere sensibile al tema delle smart city. Qui si è riproposto e riletto con la metafora smart land l’adagio braudeliano città ricca-campagna florida e le polarità della modernità città-contado, crescita-sviluppo. Partendo da parole chiave che intrecciano i fondamenti, la storia, le tradizioni con la metamorfosi che avanza. La cittadinanza che parte dai luoghi e si fa attiva con forme di partecipazione e condivisione dal basso di progetti di sviluppo in interazione con amministrazioni e forze locali. Uno sviluppo che incorpora il sapere diffuso e condiviso che le imprese possono utilizzare per aumentare la competitività e creare nuova occupazione. Delineando così un’alleanza non più solo tra produttori ma tra manifattura e smanettoni. La gestione dell’energia diffusa e articolata promuovendo azioni di cogenerazione e di generazione distribuita facilitando investimenti nelle energie rinnovabili. Una mobilità basata su una logistica soft non per chiudersi ma per aprirsi verso le aree limitrofe e con le reti della grande mobilità extraurbana. L’economia con al centro l’impresa e il territorio con un sistema della formazione di sostegno alla creatività, alle start up e a laboratori di idee. L’identità, tema non da poco nel nord est, diventa pluridentità territoriale ambientale economica paesaggistica e produttiva, resiliente ma aperta al mondo. I saperi, la conoscenza e la cultura sono nodi di reti che alimentano una nuova composizione sociale terziaria sui territori, diffusa nelle attività produttive, nell’artigianato coinvolgendo l’alta formazione presente sul territorio. Si tratteggia così un paesaggio sociale in grado di incorporare anche il paesaggio e la bellezza del territorio, non solo come conservazione ma puntando al risparmio di suolo, sin troppo mangiato dai capannoni, la bonifica delle aree dismesse e la loro riprogettazione. Ho pensato a questa mia puntata a Nord est di fronte ad un interrogativo che un lettore attento dei microcosmi, uno dei tanti giovani italiani che si è realizzato altrove, Stefano Arnaldi direttore della cultura per il territorio della Loire en Rhône-Alpes, mi pone in merito al processo di riposizionamento dei territori, delle regioni, delle città in un orizzonte 2040, aggiungendomi che in Francia, spesso presentato come un paese incapace di adattarsi alla mondializzazione a causa del peso della sua amministrazione centrale, è sempre più importante il fiorire e il moltiplicarsi delle marche territoriali. Queste marche oggi guidano le politiche di città come Lione, di regioni come la Bretagna o di territori come il Nord Pas de Calais. Così Lille si propone come punto di riferimento e polo della cultura, il Nord Pas de Calais si sta costituendo come terra delle energie rinnovabili, così ancora la Bretagna mette in bella mostra la propria identità attraverso tutte le produzioni locali. Il tutto accompagnato da uno studio (2012) realizzato dalla DATAR (Delegazione Interministeriale alla Pianificazione del territorio e all’attrattività regionale) intitolato “Territories 2040”. Non posso che rispondere che in Italia non sarà certo una programmazione dall’alto a ridisegnare l’Italia 2040. Sono anni che si discute di federalismo, di nuovi spazi di posizione territoriale, di ruolo delle Provincie e delle Regioni. Come sempre è dal basso, dai territori, dalla loro fibrillazione, dal loro sognare smart land che vengono tracce di speranza per affrontare la metamorfosi che porterà anche noi al 2040.
Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 ore, 15 settembre 2013