di Rossella Aprea –
Un nuovo crollo a Pompei qualche giorno fa, restituisce tristemente attualità ad un articolo, che esattamente due mesi fa avevamo pubblicato, quando un silenzio preoccupante aveva avvolto la vicenda di Pompei. Tutto faceva presagire l’aggravamento della situazione con conseguenti nuovi crolli: fondi dirottati a Capodimonte e tutte le promesse fatte rimaste sulla carta, progetti avviati e nuove assunzioni bloccate. L’UNESCO aveva concluso con 19 dure raccomandazioni allo Stato italiano il suo rapporto sulla situazione di Pompei presentato all’inizio del 2011 per sottrarre Pompei ad una terribile e ingiusta agonia. Non siamo veramente degni di gestire questo patrimonio.
Fondi dirottati a Capodimonte, è di nuovo emergenza a Pompei
Bisognava intervenire con urgenza, pochi ne parlano in questi giorni e ricordano ancora il crollo della Domus Gladiatorii a Pompei nel mese di Novembre dello scorso anno, mentre è bene che l’attenzione resti alta. Bisognava intervenire con urgenza, si diceva, e invece non sono ancora arrivati né soldi, né personale, né finanziatori, solo promesse. Quelle sì, tante e persino un decreto “salvacultura” (N. 34 del 31 marzo 2011), che avrebbe dovuto rimpinguare i magri bilanci del Ministero dei beni culturali e sostenere Pompei.
Peccato che nel comma 8, interamente destinato e dedicato a Pompei, è stata inserita una pericolosa insidia, la possibilità cioè che il ministero autorizzi eventuali “trasferimenti di risorse tra le disponibilità delle Soprintendenze”. Una clausola, anche condivisibile in linea di principio, ma un’arma letale se mal gestita. E così circa 5 milioni di euro dello stanziamento per la Soprintendenza di Roma, e 5 milioni di euro per Pompei (circa il 25% di quanto era stato previsto per il sito archeologico in emergenza) recentemente e in corso d’opera (cioè con il conseguente stop a progetti già deliberati, blocco di attività di tutela in corso, possibili danni al patrimonio) sono stati sottratti e destinati al Polo museale napoletano, che gestisce il museo di Capodimonte. Un’assegnazione che ha suscitato non poche polemiche proprio perché il denaro è stato destinato ad un ente sprecone, che sta affondando in un mare di debiti (12 milioni di euro) accumulati in pochi anni. Un “carrozzone”, come viene definito, creato nel 2003 per garantire poltrone prestigiose e stipendi gonfiati. Questa decisione, tra l’altro, rischia di trascinare nella rovina anche la meravigliosa esperienza di Ercolano, perché mette in discussione la prosecuzione del Conservation Herculaneum Project, il progetto finanziato dalla Fondazione Packard, considerato un modello di eccellenza a livello internazionale e pressoché ignorato in Italia. Gli americani contribuiscono alla gestione, alla manutenzione e al risanamento del sito archeologico di Ercolano con un euro per ogni euro speso dal ministero e l’idea di vedere che alcune centinaia di migliaia di euro stanziate dal Ministero non verranno più impiegate, potrebbe non essere gradito.
Parole, parole, parole…
Oltre ai 20 milioni stanziati (e già decurtati) erano stati previsti altri 105 milioni da utilizzare prelevandoli dai fondi Fas per le aree sottosviluppate, nonché nuove assunzioni di personale. Tutto è rimasto sulla carta. Il piano straordinario – piano Cecchi – che era stato approntato per impiegare i 105 milioni di euro ha suscitato molte contestazioni perché in antitesi con quanto indicato all’inizio del 2011 nel rapporto dell’UNESCO, pressoché ignorato dal MIbac e stilato a seguito di una serie di sopralluoghi compiuti da ispettori ed esperti inviati dell’organizzazione internazionale.
La relazione dell’UNESCO critica duramente l’operato di Marcello Fiori, il commissario straordinario voluto dal precedente Ministro dei beni culturali, Bondi, per non aver garantito alcuna forma di manutenzione e conservazione a Pompei, e per aver promosso alcuni lavori inutili e insensati (tra cui il rifacimento del teatro nuovo). Il documento si conclude con 19 dure raccomandazioni allo Stato italiano, oltre all’impegno che gli ispettori torneranno a supervisionare il sito archeologico nel 2013.
La spaventoso stato di abbandono in cui versa Pompei ha spinto, tra l’altro, gli ispettori dell’Unesco a contattare alcune fondazioni internazionali, come la Fondazione Défense, costituita da una cordata di imprenditori che godono di agevolazioni fiscali per investimenti in cultura in tutta Europa, che sarebbe intenzionata a contribuire con 200 milioni di euro, ma di fronte a un taglio di budget così consistente e improvviso operato dal Ministero e a un progetto di pianificazione così indefinito potrebbe decidere di tirarsi indietro.
Diciannove raccomandazioni ignorate
A tutto ciò si aggiunga l’ombra della speculazione che minaccia l’area di questo meraviglioso gioiello archeologico, perché un’altra cordata di imprenditori napoletani si è fatta avanti con l’obiettivo di realizzare, a pagamento questa volta, una serie di infrastrutture ricettive (alberghi, ristoranti, centri commerciali, etc.) in deroga alla pianificazione urbanistica nel perimetro esterno alle aree archeologiche, che il decreto “salvacultura” consentirebbe. Per Pompei una terribile e ingiusta agonia, alla quale l’Unesco sta cercando di sottrarla. Le 19 raccomandazioni non sono altro che un condensato di buon senso, riconoscimento e rispetto di un patrimonio di inestimabile valore, e l’espressione di serietà e competenza. Si fa riferimento, infatti, al riconoscimento della priorità nella programmazione dei lavori per le aree a rischio, alla creazione di efficaci sistemi di drenaggio, alla competenza specifica che andrà richiesta a chi dovrà eseguire i lavori, alla pianificazione della gestione e manutenzione da realizzarsi di concerto tra Soprintendenza e Ministero della cultura, all’aumento del personale (inclusi i custodi), all’aggiornamento del sito internet con notizie e informazioni di rilievo per valorizzare, monitorare e far conoscere questo patrimonio, realizzando una cooperazione per lo sviluppo di standard comuni di informazioni e aggiornamento tra tutti i siti del patrimonio archeologico dell’area vesuviana.
Che si possa gestire in maniera eccellente un patrimonio di tale portata universale lo dimostra ampiamente la vicenda di Ercolano, che si sappia o si voglia fare questo è tutto un altro discorso.