La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato
di Ermanno Rea –
“Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”. E’ uno dei passi dagli scritti di Caffè citati da Ermanno Rea nel suo racconto-inchiesta, pubblicato da Einaudi per la prima volta nel 1992. A venticinque anni dalla scomparsa dell’economista, LIB21 lo ricorda riproponendo un’intervista all’autore.
L’uomo che visse due volte
Intervista a Ermanno Rea che raccontò in un libro la scomparsa di Caffè
a cura di Rossella Rossini
Nel marzo del 2008 Ermanno Rea fu ospite del Romitorio di Amelia, la scuola di formazione sindacale della Fim Cisl, per una serata di discussione su Federico Caffè con gli allievi del corso, presenti anche due tra gli allievi prediletti dell’economista. Lo stesso Caffè aveva spesso insegnato in quel casale che gli piaceva tanto, al punto che poco prima di sparire chiese al direttore, Fausto Tortora, se per caso non avesse potuto fermarsi lì per qualche tempo. Anche lungo, aggiunse. Gli fu risposto che sì, era certamente possibile. Poi non se ne fece di nulla e quando Tortora voleva tornare a rinnovargli l’invito gli allievi di Caffè gli dissero di rinviare, che il maestro non stava bene, era turbato. Quella sera Rea aveva con sé le bozze della post-fazione per L’ultima lezione, di cui era imminente presso Einaudi una ristampa.
Rea, a cosa attribuisce la tenuta del libro, ristampato dopo 16 anni dalla prima pubblicazione?
Non attribuisco il merito alla qualità del libro, ma alla figura del personaggio e alla storia che lo accompagna. Con la sua scomparsa ha lasciato una scia di domande e interrogativi pregnanti. Il libro dura nel tempo perché dura nel tempo il mistero. Ma non solo: durano anche la forza e l’immagine del maestro che è stato Federico Caffè.
Nel suo libro lei ammette di avere continuamente preso tra le mani La scomparsa di Majorana di Sciascia, pubblicato nel 1975 e ristampato nell’85, due anni prima la scomparsa di Caffè nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1997. E’ stato un punto di riferimento?
Un punto di riferimento no. Io racconto che Caffè aveva letto quel libro, che era presente nella sua libreria e poi scompare, affacciando l’ipotesi del tutto romanzesca che abbia potuto portarlo con sé. Sono stato, con il parroco di Monte Mario, nel monastero calabrese di Serra San Bruno, per sperimentare di persona l’ipotesi del convento. Un viaggio sicuramente fatto in base a una suggestione dovuta alla storia di Majorana, con la quale ho visto un parallelo. L’elemento scatenante della scomparsa di Majorana è, almeno secondo Sciascia, la profonda inquietudine per aver partecipato alla costruzione di uno strumento di morte. Nel mio gioco letterario, attraverso le testimonianze, Caffè mi è parso un uomo suscettibile di essere visto in questa luce: il tormento di un economista di fronte a una scienza che coltiva il male e non la parola fondamentale che per lui è il bisogno degli uomini e soprattutto degli ultimi anelli della catena sociale.
Attraverso gli allievi e altri testimoni e la lettura degli scritti lei ha studiato non solo la persona, ma anche l’economista. C’è ancora un’attualità del pensiero economico del “riformista estremo” Federico Caffè?
Oggi più che mai. Un economista anomalo, soprattutto in quegli anni, a un certo punto decide di uscire di scena. Perché? Sicuramente c’era una forte delusione, professionale, politica, che investiva la società con gli sviluppi che aveva preso la vicenda politica nel mondo e nello specifico in Italia. Si sentiva un economista dalla voce sempre più flebile. Le idee vincenti non erano le sue, erano quelle del gioco in borsa, della Milano tutta da bere, l’esaltazione del denaro e della ricchezza. Se il suo controcanto era attuale allora, ancora di più lo sarebbe oggi affermare che il mondo deve svilupparsi secondo un governo della cosa pubblica. Nel doppio gioco del termine, la sua “ultima lezione” – non quella che ha voluto dare scegliendo l’uscita – è stata sull’economista Francesco Ferrara, strenuo liberista dell’ottocento, paladino del mercato, del laissez faire, dell’assenza dello Stato. L’attualità di Caffè è nelle cose.
L’“economista che visse due volte” è il titolo della sua post-fazione alla nuova edizione. Ci può spiegare questa espressione?
E’ quello che ho detto. Il fascino dell’uomo e dell’intellettuale, l’attualità del suo pensiero hanno tenuto in vita Caffè dopo la sua scomparsa, nei suoi allievi e nelle generazioni di giovani e studiosi che non lo hanno conosciuto.
“Via Po” – Supplemento culturale di “Conquiste del Lavoro” – 6 giugno 2009