di Joseph Stiglitz –
Di chi è la colpa della crisi? Dei governi? Governi che hanno facilitato l’acquisto della casa e creato rigidità nei salari: alcuni sostengono che se solo i lavoratori fossero “flessibili” nelle loro richieste salariali, si potrebbe rimettere in moto il mondo del lavoro. Ma può essere questa la soluzione? Salari più bassi renderanno più difficile per i lavoratori ripagare i loro debiti, aggravando il disagio sociale e aumentando l’agitazione di mercati finanziari già molto instabili.
Ogni sistema economico deve essere giudicato in base alla sua capacità di garantire miglioramenti sostenibili di benessere al maggior numero di cittadini possibile.
Alle classi più povere degli Usa era stato detto di non preoccuparsi della diminuzione dei loro redditi, ma di mantenere i loro standard di vita prendendo a prestito del denaro. Questa politica ha funzionato nel breve periodo, ma era chiaramente insostenibile nel lungo. E ora? Sarà difficile ripristinare un robusto e sostenibile livello di consumi senza ridurre le disuguaglianze.
Forme diverse di economia di mercato esistevano anche prima della crisi attuale, e ad esse erano associati differenti modelli di policy. Per molti aspetti il “modello nordico” – quello dei paesi del Nord Europa – è riuscito a ottenere nel lungo periodo risultati migliori rispetto ai modelli alternativi, incluso quello americano, e il dibattito di politica economica si è chiesto se il “modello nordico” potesse essere applicato a paesi con condizioni differenti: potrebbe funzionare anche altrove e portare ad alti livelli di innovazione per un lungo periodo di tempo?
La crisi ha messo in dubbio i punti di forza e di debolezza dei vari modelli, e i criteri con i quali valutiamo i quadri alternativi di policy. Alcuni paesi hanno resistito meglio di altri alla tempesta, altri hanno avuto gravi responsabilità nel crearla. Alcune politiche, a lungo difese dai mercati finanziari e dalle istituzioni finanziarie internazionali, hanno contribuito alla diffusione della crisi in tutto il mondo.
C’è stato un momento in cui ogni economista era diventato keynesiano e un altro in cui Alan Greenspan ha messo in dubbio la capacità dei mercati di autoregolarsi. Ora tutto questo è passato. I mercati finanziari stanno spingendo per un ritorno alle vecchie maniere e, visto l’elevato debito pubblico, per il consolidamento dei bilanci degli stati – il che quasi sempre significa tagliare i servizi essenziali per i lavoratori e le lavoratrici. In un mondo già segnato da alti livelli di disoccupazione, le politiche di austerità pretese dai mercati porteranno a livelli di disoccupazione anche maggiori; e questo, a sua volta, provocherà una pressione verso il basso sui salari. Ma i conservatori negli Usa hanno continuato con il loro ritornello: la colpa della crisi sarebbe del governo che ha facilitato l’acquisto della casa e che ha creato rigidità nei salari: se solo i lavoratori fossero “flessibili” nelle loro richieste salariali, potremmo rimettere il mondo al lavoro.
Ogni sistema economico deve essere giudicato in base alla sua capacità di garantire miglioramenti sostenibili di benessere al maggior numero di cittadini possibile: questo è il messaggio chiave della Commissione internazionale per la misurazione delle performance economiche e del progresso sociale. In anni recenti, il sistema economico americano non ha ottenuto buoni risultati, anche prima della crisi. La classe media americana ha visto il suo reddito ristagnare o diminuire. Oggi la maggior parte degli americani sta peggio di quanto non stesse un decennio fa – e il saldo non considera la crescente insicurezza dovuta al rischio di disoccupazione e di perdita della copertura sanitaria, viste le inadeguate protezioni sociali Usa.
La crescente disuguaglianza negli Usa e in molti altri paesi è legata – secondo una Commissione di esperti dell’Onu – all’insufficienza della domanda aggregata globale, che a sua volta è al centro della crisi attuale. In un certo senso, alle classi più povere degli Usa è stato detto di non preoccuparsi della diminuzione dei loro redditi, ma di mantenere i loro standard di vita prendendo a prestito del denaro. Questa politica ha funzionato nel breve periodo, ma era chiaramente insostenibile nel lungo. E sarà difficile ripristinare un robusto e sostenibile livello di consumi senza ridurre le disuguaglianze. Sfortunatamente, le pressioni verso il basso sui salari causate dalla disoccupazione ci portano su una strada opposta, uno degli aspetti che dimostrano che i mercati di per sè non sono stabili.
Per la stessa ragione, gli appelli a una maggiore flessibilità dei salari – che nascondono una riduzione dei salari per i più vulnerabili – finiranno per indebolire la domanda aggregata ed essere controproducenti. Queste richieste sono particolarmente insensate quando siamo di fronte ad una moltitudine di contratti di debito che non sono indicizzati. Salari più bassi renderanno più difficile per i lavoratori ripagare i loro debiti, aggravando il disagio sociale e aggravando l’agitazione di mercati finanziari già molto instabili.
Non sorprende che alcuni paesi con migliori sistemi di protezione sociale abbiano fatto meglio dei paesi che hanno sistemi inadeguati, anche quando hanno affrontato shock esterni decisamente più consistenti. Negli ultimi decenni le cosiddette riforme hanno avuto l’effetto involontario di indebolire gli stabilizzatori automatici dell’economia, diminuendo la sua capacità di recupero. La maggior parte dell’aumento del debito pubblico in molti paesi industrializzati all’indomani della crisi è il risultato del funzionamento di questi stabilizzatori automatici, e sarebbe un errore ridurli. [Continua la prossima settimana].
[tratto da: www.sbilanciamoci.info]