Le macroregioni nuove opportunità per le imprese

Ridisegnare l’Europa delle imprese e del lavoro

di Aldo Bonomi –

Tempo di elezioni. I territori diventano piazza per il consenso più che spazio del racconto. Le Regioni sono importanti non tanto per i processi reali che le attraversano ma per i calcoli del “maledetto-benedetto” premio per il Senato. Nel rumore di fondo fa capolino la proposta leghista della macroregione.

Valutata come l’ennesima boutade dei “barbari sognanti” a supporto del piatto forte del 75% delle tasse che devono restare in Lombardia. Infatti si discute aspramente del dito dell’imposizione fiscale dimenticandoci della luna. Che è ben delineata nel libro “Il grande nord” del candidato studioso Bruno Galli. Si parte dalla carta di Chivasso, dall’analisi della crisi dello stato nazione di Gianfranco Miglio e passando per le macroregioni italiane della Fondazione Agnelli si arriva alla macroregione europea. Si disegna un cerchio attorno alla Svizzera che partendo dallo spazio alpino e andando giù verso le pianure va dalla Lombardia verso la Slovenia l’Austria la Baviera e l’Alsazia per tornare verso il Rodano-Alpi e il Limonte (Liguria-Piemonte). Appare uno spazio di posizione la cui rappresentazione è ben lontana e altro dall’antieuropeismo d’accatto alla Borghezio.

Quando le dinamiche territoriali vengono quotate nei flussi della politica, quando si fanno slogan per il consenso, è buona cosa non sottovalutarli, ma sottoporli alla critica verificando il sentire, e la vibratilità del margine e dei microcosmi territoriali. Poschiavo, borgo di confine del Canton Grigioni con l’alta Lombardia. Ci passa il rosso trenino del Bernina che porta a vedere il parco a tema di St Moritz e a Davos. Su iniziativa svizzera è stata aperta un’università del legno che specializza nella filiera che va dal bosco al design. L’iniziativa del cantone svizzero è riconosciuta anche dalla regione Lombardia e sostenuta da un importante contributo tecnologico e finanziario dalla nostra impresa leader nelle macchine per il legno, la Scm di Rimini. Sul confine si dice che forse potevamo essere noi gli ideatori dell’iniziativa. Conta nulla in tempi di Erasmus. Ai giovani valtellinesi che vorranno basterà attraversare il confine avendo chiaro che green economy significa anche rivitalizzazione e manutenzione dei boschi.

Se dall’università transfrontaliera di Poschiavo si passa alle dinamiche delle imprese alla ricerca delle opportunità di tassazione, servizi e costo del lavoro la musica cambia. Si conferma la tesi dello storico Hobsbawm che le differenze sono più al centro delle nazioni che sulla frontiera. Come documenta l’inchiesta di Laura Cavestri (si veda Il Sole 24 Ore del 30 gennaio).
È un dettagliato elenco di agenzie di attrazione di imprese e investimenti sulla frontiera: Copernico per il Ticino, Aba-invest in Austria, Erai del Rodano-Alpi sino alla Slovenia. Documentano l’esodo oltre frontiera delle nostre imprese alla ricerca della tassazione del 20% in Ticino, delle autorizzazioni in sette giorni per nuovi impianti in parchi industriali in Austria, del credito di imposta che detassa sino al 50% gli investimenti in ricerca e sviluppo del Rodano-Alpi sino al costo del lavoro in Slovenia -15% con detrazioni fiscali per le imprese fino al 40%. Piccolo elenco che sembra l’eden sul confine.

Basta aver percorso i territori da Torino a Pordenone e oltre, passando per la Lombardia, per capire che lo spazio di posizione e di rappresentazione degli imprenditori piccoli e medi fa apparire Lubiana, Vienna, Monaco, Lione e Strasburgo. Quelli che hanno un po’ di reti lunghe guardano a questo spazio europeo come uno spazio da percorrere prima di guardare alla Cina e al Brasile. Sono le avanguardie agenti di un confronto vero di un’Europa manifatturiera in metamorfosi dentro la crisi. Al di là dello spread il confronto tra politiche industriali è all’ordine del giorno.

Senza queste avanguardie l’Italia rischia di non essere più il secondo paese manifatturiero d’Europa ma, confrontandosi con i tedeschi, si dice chiaramente che se noi non ce la faremo loro non potranno più essere tranquillamente i primi. Sui confini ci si interroga, come ha ricordato Romano Prodi, sull’uscita dalla crisi che non può essere solo finanziaria ma presuppone un ridisegno del modello industriale europeo: riprogettare un’Europa delle imprese e del lavoro. Questi processi reali, queste fibrillazioni territoriali e transfrontaliere di tutto hanno bisogno tranne che di ritrovarsi a breve raccontati solo in una logica di macroregione europea che sta a nord e il resto d’Italia che sta a sud. Sarà bene ricordare che la Commissione Europea negli anni ’90 lanciando i progetti per le euroregioni delineò non solo lo spazio alpino ma, solo per citarne una, la macroregione danubiana che guardava a sud verso la Turchia o lo spazio geoeconomico euromediterraneo. Farne una rappresentazione politica istituzionale di secessione dolce in nome dell’Europa guardando solo alle posizioni localistiche del partito di Haider in Carinzia, alla Lega Ticinese e alla Lega Nord mi pare una forzatura che tiene conto solo di ciò che avviene sulla frontiera e trascura lo spazio da costruire delle politiche industriali europee. Molto dipenderà da quanto si saprà rilanciare l’Europa come progetto politico. Sarà importante e auspicabile mettere questi temi nell’agenda politica del dopo elezioni. I rettori del politecnico di Milano e Torino e i rettori delle università milanesi hanno recentemente disegnato un ruolo trainante per Milano come città globale del sistema paese in uno spazio euromediterraneo.

Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2013