Da quando è nata poche settimane fa l’iniziativa delle “Sardine” ad opera di un piccolo gruppo di trentenni, che sorprendentemente sono riusciti a mobilitare decine di migliaia di cittadini e a farli ritrovare nelle varie piazze italiane, tutti, in particolare politici, politologi e giornalisti, cercano di definirli per poterli inquadrare, analizzare, gestire, contenere, depotenziare, disinnescare o utilizzare. Tutti ne reclamano una rapida strutturazione con tanto di programmi, leader e posizionamenti nello scacchiere politico.
Il fenomeno è interessante, soprattutto, perché, forse per la prima volta, nella storia della nostra democrazia rappresentativa da tempo malata, il “popolo” , che non riesce più a trovare né luoghi, né modi, nè interlocutori adeguati che sappiano raccoglierne ed esprimerne le istanze, intravedendo anche il rischio di pericolose derive violente e autoritarie, si mobilita, si unisce e si ritrova in piazza autonomamente. Lo fa semplicemente per rivendicare il rispetto di valori sociali, umani e umanitari che, in quanto tali, sono trasversali, universali, e che non hanno bisogno di bandiere di appartenenza, bandite dalle piazze per evitare l’insidiosa strumentalizzazione dell’iniziativa. Tutto lo spazio delle piazze è lasciato alla forza silenziosa e potentemente dirompente della presenza dei cittadini, né di destra, né di sinistra. Non più consumatori, elettori, utenti, ma finalmente e nuovamente solo cittadini.
Il loro silenzio e i loro slogan civili sono scomodi ed ingombranti. La diversità esce dall’alveo della pelosa e caritatevole dimensione di tolleranza, per diventare, addirittura, strumento di forza e di coesione. Orientamento sessuale, credo religioso, credo politico, razza, provenienza geografica, condizione economica e sociale, persino fede calcistica non costituiscono più motivi di divisione, restano sullo sfondo, costituiscono il campo in cui ognuno coltiva liberamente la propria individualità. Queste piazze sembra, dunque, che vogliano ricordarci che esiste un terreno comune da custodire e coltivare, e che le scelte individuali, tutte degne di realizzazione, non possono giungere a compimento senza salvaguardare una dimensione di appartenenza comune, di vita collettiva, di valori e diritti sociali, umani. Con la modernità il concetto di comunità è entrato in crisi, lasciando spazio ad un individualismo sfrenato, dove non ci sono più compagni di strada ma antagonisti, nemici da cui guardarsi. E questa narrazione è stata continuamente alimentata e sollecitata dai leader politici alla ricerca ansiosa, continua e instancabile di nemici da cui far sentire minacciati gli elettori, per poterne raccogliere meglio le paure a fini elettorali. Questo soggettivismo ha minato la certezza del diritto e ha creato un clima in cui l’unica certezza è diventata l‘incertezza.
In questo contesto, le Sardine cosa rappresentano? Si presentano come una forma di aggregazione semplice e, allo stesso tempo, potente di attiva partecipazione dei cittadini alla vita politica. Dopo tanto individualismo e indifferentismo che ha portato la nostra società ad un livello di frammentazione e disgregazione sempre più insostenibile le “Sardine” sono la reazione ad una democrazia sofferente. Provano a chiamare a raccolta tutti quei cittadini che avvertono il pericolo dell’affermazione di forze che stanno demolendo progressivamente diritti e valori democratici, e agiscono come dice Marco Revelli, né più né meno come fanno gli anticorpi in un organismo malato. Rappresentano le difese immunitarie che si sviluppano a seguito di un meccanismo spontaneo di contagio. Bisogna, dunque, lasciar agire le sardine, lasciarle nuotare liberamente, fare in modo che imparino a diventare tali davvero. Bisogna lasciarle fare ciò che sanno fare: muoversi in banchi, imparando a difendersi, nuotare dalle piazze delle grandi città a quelle dei piccoli centri e delle periferie. Non bisogna aspettarsi nell’immediato una loro trasformazione in movimento o organizzazione politica con istanze ben definite e con propri rappresentanti da presentare magari alla prossima tornata elettorale. Indubbiamente l’urgenza dell’affermazione di un nuovo soggetto politico che sappia incanalare le istanze che dal “popolo” emergono è forte, ma questo può essere costituito dalle Sardine? O le Sardine possono svolgere una funzione politica senza trasformarsi in soggetto politico? Attualmente le Sardine rappresentano solo un segnale di allarme (e non è poco) lanciato da una parte di cittadini a tutta la classe politica in merito alla modalità con cui si stanno trattando le questioni più importanti del Paese: istruzione, salute, sicurezza, lavoro, welfare.
Le sardine rappresentano uno dei più straordinari esempi di aggregazione nel mondo animale, una forma cooperativa in cui ogni individuo trova una precisa collocazione. In natura la vita delle sardine è una vita di relazioni. E non è forse questo il principale problema della nostra società? La perdita del senso di appartenenza ad una comunità? Quanto può essere importante imparare a riconoscere nuovamente la propria realizzazione nella partecipazione alla vita collettiva e alla costruzione del bene comune? Va, dunque, ricostruito un tessuto sociale, agendo sulla riaffermazione dei valori di uguaglianza vera tra i cittadini, di libertà, di solidarietà, di rispetto della dignità umana, della fraternità, ossia della capacità di far sbocciare azioni generose di aiuto disinteressato e di concreta solidarietà, presupponendo una parità tra individui al di là delle differenze.
Chissà che le Sardine, semplicemente nuotando, non ci aiutino a recuperare progressivamente il valore della forza insita nelle relazioni umane, nel senso di comunità che ci è indispensabile per vivere bene tutti insieme e ci portino finalmente a nuotare tutti più liberi in mare aperto.