S.O.S. mamma: genitori che non educano
di Marta Boneschi –
In una scuola di Milano un ragazzo un po’ cretino si diverte a prendere di mira una compagna che ha orrore degli insetti. Il provvidenziale cellulare le consente di chiamare in aiuto i genitori, che accorrono con altri familiari per difenderla. Una vicenda esile, ma non inconsueta nella vita quotidiana delle scuole italiane, dove famiglie vacue e adolescenze vuote in una società confusa mostrano la propria incapacità ad educare e ad essere educati alla vita.
Nella noiosa mattinata di calura, un insetto entra dalla finestra in un’aula dell’Istituto Conti, a Milano, nella zona di San Siro. Un ragazzo scherza sullo strano visitatore, se la prende con una compagna. La ragazza sostiene di essere stata insultata con l’epiteto di “zecca” e “schifezza”. Ha paura, non è la prima volta che si sente aggredita verbalmente, quindi chiama i genitori in soccorso. Arrivano dieci persone tra papà, mamma, zii e cugini, che aspettano al varco, alle porte dell’istituto, lo studente ritenuto responsabile degli insulti. Una “missione punitiva”, la definisce il Corriere della sera, che dà notizia dell’episodio il 1° giugno scorso.
Il ragazzo viene messo in salvo dai compagni di scuola del vicino liceo Vittorio Veneto. Poteva finire peggio, ma nelle scuole medie superiori di Milano, per fortuna, se si trovano ragazze che non riescono a crescere, si trovano anche ragazzi che sanno reagire a nervi saldi.
Questa vicenda, forse non troppo inconsueta nella vita quotidiana delle scuole italiane, nelle adolescenze vuote, nelle famiglie vacue e nella società confusa, potrebbe far ridere, se recitata da Alberto Sordi con la regia di Mario Monicelli.
Invece no. Siamo troppo preoccupati – per la crisi, per i giovani senza futuro, per lo scarsa presa dell’istruzione, per lo schiacciamento delle individualità – e non possiamo prenderla alla leggera. Inoltre, nel giorno della commemorazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il ministro della pubblica istruzione Francesco Profumo ha assicurato pubblicamente che «la scuola italiana educa alla legalità» e questo dovrebbe tranquillizzarci.
L’episodio milanese confina soltanto con la legalità: poteva finire in una rissa, qualcuno poteva restare malconcio. Confina anche con il voto di condotta: gli allievi dovrebbero attenersi a un comportamento non aggressivo. E’ vicino al distrubo emotivo: possibile che una studentessa di scuola superiore, quasi maggiorenne o forse già maggiorenne, debba appellarsi a mamma e papà per uno scherzo, anche se pesante?
Visto in queste sfaccettature, l’episodio milanese diventa più interessante. Proviamo a raccontarlo in un altro modo, forse un po’ fantastico (e restiamo pronti all’accertamento della verità, se qualcuno è in grado di arrichire la veloce cronaca del quotidiano milanese).
Un ragazzo un po’ cretino si diverte a prendere di mira una compagna che ha orrore degli insetti. Lei si impaurisce, perché nessuno le ha insegnato il coraggio; che bisogno ha una donna di essere capace di reagire, visto che la sua vocazione è la sottomissione? Come tutti gli adolescenti, dispone di un provvidenziale cellulare e, piangendo, chiama la mamma, che spegne il fuoco sotto la pentola dell’acqua calda, toglie il grembiule e infila le scarpe. Nello stesso tempo compone il numero del marito, il quale lascia il lavoro, sale in automobile e – speriamo prima di avviare il motore e arrivare al semaforo, perché non si deve usare il telefono mentre si è alla guida, anche se lo fanno tutti, senza sanzioni – avverte i fratelli e i rispettivi figli dell’accaduto. All’arrembaggio, miei prodi.
Quando suona la campanella della “fine lezioni”, la truppa è già schierata. L’onore offeso della fanciulla sarà difeso da quell’unico baluardo che regge la società italiana: la famiglia con la “F” maiuscola, che procura reddito e consumi, piace al Papa, supplisce alle carenze delle forze dell’ordine e dei servizi sociali.
Così non va. A scuola si fanno scherzi cretini, ma sperimentare la cretineria propria e altrui è un privilegio della tenera età: in questa fase della vita si cominciano a prendere le misure per se stessi e per gli altri, si impara a comunicare, si sperimenta sulla propria pelle fin dove arriva il bene e dove comincia il male. In caso contrario non si diventa grandi, si resta bambini. Il ragazzo del presunto insulto perciò non è il personaggio più indecente di questa stupida storia.
E’ da compiangere invece la compagna di scuola, che appare ignara di tutto, salvo che dell’uso del cellulare “sos mammina”. Un gesto normale per una bambina di quattro-cinque anni, ancora dipendente dai genitori sotto il profilo pratico ed emotivo, abnorme per un’adolescente che sta sperimentando non soltanto studi più ardui ma anche le relazioni con i coetanei e con gli adulti. Dovrebbe essere in grado di reagire da sé, e invece rimane vittima della paura.
Totalmente assenti sembrano purtroppo gli insegnanti. Non compaiono sulla scena, dove sono? Sono scappati, presi anche loro dal terrore (dell’insetto o dalla truppa dei prodi)? Il regolamento non prevede che siano in classe? Il regolamento concede una pausa caffé (o cellulare per accertarsi che il rispettivo bambino di sedici-diciotto anni non abbia bisogno di aiuto)? Chi lo sa.
Ma la “palma d’oro” dell’imbecillità spetta alla famiglia di lei, baluardo della società e supplente dello Stato, forse sì, ma incapace di far fronte ai propri compiti educativi. Che sarebbero quelli, sempre che abbiamo capito bene i fatti, di addestrare la figlia a far fronte alle difficoltà, a crescere, insomma, a essere sicura di sé, a entrare in relazione pacifica con i compagni, a spegnere nell’ironia ogni forma di violenza.
Il ministro ha assicurato che la scuola italiana insegna la legalità, ed è vero (magari con l’aiuto di Gherardo Colombo, che da anni viaggia nelle scuole per incrementare questo insegnamento). Purtroppo l’addestramento alla legalità comincia ben prima della scuola: nella capacità di distinguere un insulto da uno scherzo, nella lucidità di rispondere con pacatezza all’aggressione, nell’intelligenza di cavarsela presto e senza danni per nessuno. A tutto questo la giovane milanese non era preparata.
Quindi la scuola continui pure a insegnare la legalità, ma che cosa facciamo con i genitori che non educano a niente, salvo che a digitare un numero di cellulare, comperato alla figlia senza ricordarsi di spiegarle a che cosa serve? Purtroppo le riunioni di classe o di istituto, con genitori, studenti e docenti, finiscono di solito come le assemblee di condominio, cioè in rissa. Non è in questo modo che si rieducano i genitori discoli. Il fatto è che viviamo da quasi settant’anni in regime democratico, ma abbiamo ancora da sperimentare la democrazia fin dal più basso livello, che è quello della convivenza di aula, di condominio, di quartiere, di città. La democrazia respirata e vissuta è gradevole come un refolo nell’afa estiva, provare per credere. La famiglia tuttofare è una truffa, mentre giova se si limita a far crescere i bambini (non a colpi di merendine, ma di solida e allegra convivenza).