di Rossella Aprea –
Il titolo di questo articolo è indicativo, citazione fin troppo scontata di un film che dal 16 marzo è presente nelle sale cinematografiche – Magnifica presenza – di Ferzan Ozpetek, con un cast decisamente interessante e ricco. Questo film ci offre lo spunto per riflettere brevemente su ciò che noi siamo, noi come individui, noi in relazione agli altri, noi come collettività.
La storia
Nel film Elio Germano è Pietro, un ragazzo siciliano, trasferitosi a Roma per realizzare il sogno di diventare attore, ma che al momento fa il pasticcere, preparando cornetti di notte. E’ un ragazzo sensibile, sognatore, che non riesce a vivere a pieno la sua omosessualità e a superare le proprie insicurezze e le proprie fragilità. Dopo un breve periodo di convivenza con la cugina, trova una casa d’epoca molto bella nel quartiere Monteverde vecchio e decide di trasferirvisi per cominciare la sua nuova vita. Dopo pochi giorni però scopre che ci sono strane presenze in quella casa enorme, che nasconde segreti, tradimenti e arte. Il gruppo di fantasmi che disturba la permanenza del giovane Pietro è la compagnia teatrale Apollonio, imprigionata in quella casa dal 1943 senza sapere perchè, che crede ancora di vivere in quegli anni e cerca aiuto in Pietro per poter finalmente uscire da quella casa, utilizzata come nascondiglio. In realtà c’è un mistero da scoprire.
Spunti di riflessione
Il film è stato oggetto di numerose critiche, basta scorrere le recensioni sui giornali o quelle sulle riviste online di cinema, per capire quali sensazioni ha suscitato. Devo ammettere che anch’io sono rimasta perplessa, non delusa, ma sorpresa direi, da un film che sfugge totalmente a qualunque definizione precisa di genere – non thriller, non commedia, non dramma – in cui si fatica a cogliere e a seguire una traccia unica e principale – ce ne sono tante, qualcuno ha detto anche troppe -, che si sostanzia di un obiettivo ambizioso, difficile da padroneggiare e modulare – muoversi sul sottilissimo confine tra realtà e finzione, senza sconfinare troppo nell’uno o nell’altro. Cosa accade agli spettatori in sala? Quello che accade è ben rappresentato dall’immagine di una sala piena, che mentre scorrono i titoli di coda, rimane immobile e muta, come alla ricerca conclusiva del bandolo di una matassa in cui molti sono i fili da avvolgere. Ecco, non so quale fosse l’obiettivo di Ozpetek, se era quello di disorientare, ci è riuscito. Questo spiega alcune critiche anche dure, anzi oserei dire spietate, che lo definiscono il peggior film del regista. Non è il peggior film del regista a mio avviso, è probabilmente il più complesso, il più enigmatico, anche il più ambizioso, in cui i piani della realtà e della finzione, della vita e della morte, della storia e dell’attualità dei singoli e di una nazione, del diverso e del normale si mescolano continuamente, mostrandoci una storia surreale, un pastiche pasticciato, come lo ha definito qualcuno, che non è altro, invece, che la rappresentazione di un intreccio tra la finzione e la realtà nella quale siamo tutti immersi e ci muoviamo quotidianamente.
Ecco i gesti consueti e ripetitivi del protagonista (il bagno, il sonno, il lavoro nella pasticceria, il caffè al bar), e gli incontri casuali e imprevisti (alcuni strani ma significativi), i semplici accadimenti della vita di ciascuno di noi, che fanno muovere la storia costantemente tra commedia e dramma, sfiorando a volte la tragedia. Certo non mancano citazioni letterarie e cinematografiche, ammiccamenti, qualche lentezza di troppo, ma nessun elemento sembra prevalere sugli altri, forse volutamente – né gli attori della compagnia, né i personaggi della storia, né gli eventi del film. Non si comprende bene e rimane oscillante come un pendolo divertito la stessa immagine della compagnia teatrale Apollonio, che è fatta di presenze misteriose, fantasmi, inconsapevoli della propria condizione, che agiscono come se fossero reali e che si sentono reali. La finzione è realtà e la realtà è finzione, rappresentata magistralmente quasi nel finale del film dall’incontro al bar tra il protagonista, sua cugina e il nuovo fidanzato medico di quest’ultima, in cui domina la finzione, la menzogna, perché costei, cercando la complicità dell’ingenuo e sensibile cugino, decide di tener nascosta al nuovo fidanzato la notizia di essere già incinta di un altro uomo per incastrarlo. E’ realtà, ma dominata dalla finzione, mentre la finzione delle presenze immaginarie a quel punto appare decisamente più reale di una realtà menzognera, perché basata sulla sincerità di un rapporto che il giovane protagonista, Elio Germano, è riuscito a costruire con questi personaggi.
Un rapporto fatto di sensibilità, di comprensione, di gioco, di condivisione delle reciproche paure, di conoscenza, in cui affiora il magnifico coraggio del protagonista, capace di calarsi nella storia di questo gruppo umano, rimasta sospesa per un evento tragico al 1943, e condurla alla sua naturale conclusione. Naturale conclusione che avviene in teatro, ma passa attraverso un’atroce presa di coscienza, della loro stessa morte, e della loro morte per tradimento… Non ne escono traumatizzati, anzi sollevati all’idea che uno di loro è sopravvissuto. Ma intanto, questa presa di coscienza, a cui li ha condotti Pietro, gli consente finalmente di chiudere la loro storia, realizzando una catarsi, così vengono ricondotti lì dove tutto si era interrotto – in teatro – e finalmente in pace col mondo, possono… andarsene.
Il protagonista, allo stesso tempo, giunge alla scoperta emozionante della sua capacità di affrontare, capire, convivere, superare, accettare se stesso e le sue paure, attraverso un percorso, una ricerca (ben rappresentata nel film) della verità di ciò che siamo, che inevitabilmente conduce ad un arricchimento personale, espresso con straordinaria intensità nella scena finale dal primissimo piano del volto di Elio Germano, che si emoziona fino a commuoversi, alla vista di quei personaggi che finalmente ritornano sul palcoscenico liberi di muoversi. Ecco la magnifica presenza! La magnifica presenza di noi stessi che si realizza dall’incontro con gli altri e che si svela e si compie davanti al nostro sguardo.
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