Il ritorno dell’artigiano
Artigiani+Designer+web fanno una nuova azienda. Giulio Iacchetti, designer milanese, in stretta collaborazione con alcuni artigiani, prevalentemente della Brianza, progettano e realizzano prototipi di prodotti di arredamento che vendono su www.internoitaliano.com.
Sul sito si possono vedere prototipi, possibili varianti, dimensioni, colori e prezzi. All’ordine diventano prodotti, e vengono consegnati entro un mese. …… “Epónimo” studio professionale milanese fondato da Federico Carandini, ex art director dell’azienda Cerutti Baleri e da Alberto Colzani architetto e designer di Meda, specializzato nell’ingegnerizzazione del prodotto di arredamento, hanno esposto all’ultimo salone del Mobile in Via Brera 9 sei prototipi di progetti inediti, ricchi di innovazioni tecnico-costruttive, e si propongono a architetti, designer, aziende e terzisti, quali tecnici in grado di sviluppare fino alla produzione, appaltata a artigiani di loro fiducia, progetti di altri o progetti a loro commissionati. Fanno il prototipo in stretta collaborazione con artigiani e terzisti prevalentemente brianzoli e ne garanticono a prezzo concordato la produzione in serie. La modalitá di vendita è diversa per le diverse committenze, i sei prodotti esposti al salone sono dimostrazione della loro professionalità
“finiti, prezzati e pronti per la produzione “ come si legge nel sito:http://eponimo.it/. Con “interno italiano” l’azienda viene sostituita integralmente, con “Epónimo” viene svuotata di alcune funzione fondamentali che vanno dal progetto alla produzione.
Negli anni sessanta-settanta le industrie dell’arredamento italiane, design oriented, sognavano la grande serie: la Fiat delle sedie e dei divani era la grande illusione, poi negli anni ottanta cominciarono ad espellere via via le loro funzioni produttive diventando sempre piu degli editori che producevano scaricando su terzisti italici ma anche cinesi e tailandesi, e altri dell’emisfero della fame, il piú possibile produzione, ricerca sul progetto e sul prodotto. Oggi ci pensa una struttura di servizio come Eponimo a realizzare la loro strategia di “editori” e di fronte ad una sovraproduzione di settore, sempre piú pesante, che nessun iperconsumo riesce a risolvere, si cerca sempre di piú di riterritorializzare tutta la filiera, di produrre solo su ordinazione elevando, come fa Eponimo, la qualità tecnica di progetto e di costruzione. Si usano inoltre materiali prevalentemente naturali come cuoio, legno, marmo, tessuti, risorsa da rivalutare dei nostri settori tradizionali e il tutto viene fatto con contenuto rischio di lavoro e bassissimo rischio di capitale. Scompare allora sempre piú il magazzino e la fabbrica che produce, si realizzano prototipi e si produce in piu o meno piccoli laboratori artigiani e si crea cosi una sempre piú stretta “collaborazione” tra progettista e artigiano terzista-costruttore, sia del prototipo che del prodotto, che finalmente viene riconosciuto “coautore” della merce messa nel mercato.
Se sommiamo questa tendenza in atto con l’iniziativa “Recession Design” già nel salone del 2009, promossa da giovani designer e artigiani, autori di un manuale di progetti esposti come prototipi che qualunque consumatore puó realizzarsi a casa con la logica del “fai da te” e poi, nei successivi saloni, con la promozione dell’autoproduzione del prodotto artigianale, dalla piccola serie al pezzo unico fino al prodotto firmato venduto nelle gallerie d’arte, possiamo dire che “l’uomo artigiano” di Richard Sennet (Ed. Feltrinelli, 2008) nel tempo della centralità dell’abitare ritorna o forse diventa, almeno nella produzione delle merci della domesticità, la figura emblematica di un fare dove progetto e produzione e anche vendita ridiventano un tutt’uno inscindibile. Un tutto inscindibile d’altra parte già sperimentato, con successo da anni, dai G.A.S di tutto il mondo………….La Provel S.r.l. di Pinerolo (TO) con trenta operai e una estesa attrezzatura di stampanti dell’americana 3D Systems e macchine a controllo numerico, costruisce e vende prototipi per Ferrari, Gucci, Italdesign di Volkswagen, Luxottica, Elextrolux ecc.ecc. realizzati in resine diverse o leghe di metallo, o altri materiali.
Sono prototipi perfetti che generano stampi per la produzione di serie di diverse dimensioni, pezzi unici o preserie sperimentali, quasi mai comunque prodotti di serie da commercializzare. Come ad ogni innovazione l’eccitazione è grande e c’è chi fantastica l’iPad stampato in 3D, di fatto l’iPad lo produce una fabbrica fordista, la Foxconn, di 300.000 operai che allineati su catene di montaggio, ormai veri e propri robot umani, sono disposti a garantire ancora ….. ma non si sa per quanto, produttività più vantaggiose di qualsiasi robot meccanico. Analogamente la sedia di grande serie, la sedia uguale per tutti della grande utopia del Movimento Moderno, l’IKEA la continua a vendere, a prezzi incredibili e a produrre nei territori della fame di tutto il modo. Il 3D non elimina certo la grande fabbrica, ma le stampanti a 3D hanno ormai un costo accessibile anche ad un attrezzato laboratorio artigiano. Inoltre anche in Europa ed Italia (ad Amsterdam, Barcellona, ecc. Torino, Reggio Emilia e forse Milano e Rimini) si organizzano quei FabLab
già operanti da anni in California, dove l’artigiano, e l’autoproduttore che non ha i soldi per i macchinari a controllo numerico, può usare, pagando un tanto a ora, quei macchinari, stampanti in 3D compresi………. Tutti gli economisti ci ricordano che le 510 mila imprese con meno di 9 addetti, 84% del totale, e un altro 15% tra 10 e 49 addetti (e tra queste la Provel S.r.l.) sono la nostra disgrazia che insieme alla nostra prevalenza di aziende nei settori tradizionali, segna l’arretratezza del nostro apparato produttivo (G. Marcon, M. Pianta, “sbilanciamo l’economia”, Ed.Laterza 2013). L’uomo artigiano” di Sennet in questi territori dell’arretratezza ha resistito, erede della nostra tradizione nobile, delle arti minori, rinomata in tutto il mondo, oggi sempre piu si incontra con una cultura di progetto che liberata dal mito della grande serie cerca quella stretta collaborazione, quel coworking, che può riinventare il progetto. Possiamo pensare che in questi territori dell’arretratezza possano localizzarsi i FabLab
e le aziende di 30 dipendenti tipo Provel. Possiamo allora trasformare questa nostra disgrazia in una “fabbrica diffusa”, tecnologicamente aggiornata, che può contare in una sempre piu stretta, intensa collaborazione tra progetto e “saper fare”?. È questo un saper dar forma ai materiali tradizionali, potenzialmente meno inquinanti, che può garantire un’alta qualitá estetica del suo saper produrre, usa la qualità estetica della sua merce per promuovere la riterritorializzazione della produzione e con la sua sapienza estetica genera consenso su quella riconversione ecologica che è la rivendicazione prima di una nuova era costruita sulla centralità dell’abitare.