L’avanzata cinese nei porti europei e mediterranei
di Sergio Bologna –
Sono al 49% ma ci sono, i cinesi. Dove? A Le Havre, a Marsiglia, a Dunkerque, a Malta e in una decina di altri porti. Ci sono entrati, mediante la società pubblica China Merchants Holding International (CMHI), rilevando il 49% delle azioni del capitale di Terminal Link, la società che fa capo alla compagnia di navigazione franco-turca CMA CGM.
E’ la società nella quale l’armatore ha fatto confluire tutte le sue partecipazioni nelle società concessionarie di terminal portuali in giro per il mondo, da Miami a Busan. Perché lo ha fatto? Per alleggerire i 5 miliardi di dollari di debito che ha verso le banche. Curioso: la CMA CGM è tra le prime 20 compagnie al mondo del traffico container quella che risulta essere messa peggio e necessita di nuovi soci disposti a finanziarla (il Presidente Hollande naturalmente non si tira indietro). Ed è anche la compagnia che prima di tutte e più di tutte ha puntato sulle navi giganti. Da poche settimane ha messo in servizio l’ultimo mammouth, la più grande nave full container del mondo, battezzata “Marco Polo”, grande come una portaerei americana. E’ in servizio sulla rotta Cina-Nordeuropa. Curioso: una delle compagnie messe meglio è invece Hamburg Süd, guarda caso proprio quella che nella sua flotta non ha nessuna nave gigante, anzi, le sue due navi più grandi sono la metà della “Marco Polo”, hanno una capacità di carico di 7.800 Teu mentre la “Marco Polo” ne ha 16.020. Pochi hanno notato questa correlazione, tanto più grandi le navi di una flotta tanto peggiore la situazione finanziaria dell’armatore che le gestisce, tanto più piccole le navi tanto migliore il conto economico di chi le gestisce. Uno potrebbe pensare che la “Marco Polo” fa un servizio eccezionale al cliente, in termini di costo e di tempo. Macché: il nolo è lo stesso di una nave assai più piccola ed il transit time dal Nordeuropea alla Cina, porto di Ningbo, nella Cina settentrionale, unico porto toccato, è di 43 giorni. Significa che se un esportatore di macchinari tedesco imbarca la sua merce a Amburgo o a Rotterdam per farla arrivare a Shanghai o nella Cina meridionale, deve aspettare quasi due mesi, perché a Ningbo deve essere trasbordata su un’altra nave. E perché questo? Perché questi giganti del mare, gioielli della tecnica e del design fin che si vuole, debbono andare pianino se non vogliono consumare troppo carburante, perché il bunker costa, rappresenta più del 50% dei costi operativi. Tanto pianino che qualche analista ha cominciato a scrivere che i loro motori rischiano di guastarsi se la velocità di crociera è molto al di sotto di quella massima prevista (che è di 24 nodi ma le fanno andare a 14/16 nodi). Che cosa rispondono gli armatori? “Ma noi siamo ecologisti, noi pensiamo all’ambiente, le nostre emissioni di CO2 sono diminuite del…!” E giù percentuali a casaccio. Pensassero almeno ai c… loro invece di pensare all’ambiente! Ci avrebbero al momento opportuno, qualche anno fa, pensato due volte prima di ordinare navi giganti ai cantieri del Far East che adesso le sputano fuori in continuazione, aggravando la sovraofferta di stiva che sta facendo scendere i noli e dunque i ricavi delle compagnie ed a cascata il valore delle navi. Sicché, oberate da debiti, si rivolgono agli stati, esattamente come le banche, ed alla fine ci rimette sempre il contribuente.
Di fronte a questi fatti ci si aspetterebbe che i responsabili delle politiche portuali, a livello di governo o di regione oppure semplicemente di città, avessero un minimo di diffidenza verso il fenomeno del gigantismo navale. Figuriamoci! Se le sognano di notte, pensano che siano la Fortuna impersonata con tanto di cornucopia che sparge gioielli e spezie sulle nostre banchine. Già, per il divertimento dei gabbiani forse….
Pubblicato su Il manifesto