Indagine ACTA: come incide la crisi

La crisi nel mondo del terziario avanzato

Continua l’analisi di ACTA sui dati rilevati con un’indagine online a fine 2012.

Abbiamo indagato l’incidenza della crisi sull’ultimo anno e sulle aspettative per il 2013. I rispondenti sono professionisti che lavorano soprattutto con imprese private (principali clienti per quasi l’80% dei rispondenti) e con il settore pubblico (rilevante per il 15,4% degli intervistati), pochissimi con il terzo settore e con persone fisiche.

La domanda di servizi professionali è in calo

Come ci si attendeva, oltre la metà dei professionisti intervistati alla fine dello scorso anno segnala che la domanda relativa alla tipologia di servizi da loro offerti è in calo (per il 10% in forte calo), mentre solo il 17% registra un’espansione.

Il calo riguarda soprattutto chi lavora con la PA

Il calo riguarda tutti, ma in questo momento si fa sentire soprattutto per chi ha come clienti la pubblica amministrazione (in particolare con enti locali), per effetto delle politiche di riduzione della spesa pubblica, e le microimprese. Sentono meno la crisi coloro che hanno come clienti imprese di media dimensione e in generale i professionisti che lavorano con clienti esteri.

La diminuzione della domanda dovuta ad acquisti di servizi eliminati o rinviati

Abbiamo cercato di capire a cosa attribuire il calo della domanda. Le risposte indicano che la causa principale è una riduzione dell’acquisto dei servizi, dovuta all’eliminazione di alcune attività (causa segnalata come frequente dal 42,6 % dei rispondenti) o per effetto di un rinvio degli acquisti (40%), posticipati a tempi “migliori”. Più raramente i clienti provvedono a realizzare in casa i servizi precedentemente acquistati (23,5%). Una sostituzione non sempre possibile per mancanza delle necessarie competenze all’interno della loro struttura organizzativa.

Con quali fattori si compete? Quanto conta il prezzo?

Gli intervistati ritengono che i principali fattori competitivi per operare sui propri mercati siano affidabilità, competenze e relazioni e al quarto posto la qualità. In penultima posizione il prezzo, fattore competitivo considerato relativamente meno importante, pur in un contesto di prezzi in diminuzione: oltre i 2/3 degli intervistati (67,2%) è d’accordo con l’affermazione “le pressioni sui prezzi sono crescenti e la contrattazione è sempre più lunga e sfiancante”.

Una pressione a cui sono seguiti comportamenti diversi: il 54,6% dichiara di non accettare lavori sottopagati per tutelare la propria professionalità, mentre il 38,3% ha invece dovuto adattarsi, in gran parte nel timore di poter essere facilmente sostituito e quindi di perdere i clienti.

I commenti “aperti” aggiunti nella compilazione dell’intervista confermano una riduzione della domanda dovuta soprattutto a una riduzione dei compensi, un’attenzione spasmodica ai costi che molto spesso va a scapito della qualità . Una quota minoritaria degli intervistati (13,6%) segnala finalmente un’inversione di tendenza, un recupero di attenzione alla qualità, magari dopo che i clienti sono rimasti scottati da esperienze molto negative e in seguito a una certa selezione del mercato, che a parere del 23,3% degli intervistati, ha escluso un po’ di improvvisati.

Rapporto di fiducia coi clienti, ma con cautela

Da una parte sono quasi tutti concordi (91,7%) nel sostenere che nei rapporti con i clienti è necessario instaurare un rapporto di fiducia, ma allo stesso tempo il 60,7% ritiene che non ci si possa fidare dei rapporti verbali e il 57% che i clienti non si vergognino “a prenderti per il collo”.

Si lavora più ore, ma il tempo per il lavoro produttivo è diminuito

Con la crisi il tempo dedicato all’attività lavorativa in senso ampio è aumentato, ma non quello diretto all’attività lavorativa in senso stretto, che al contrario è più spesso diminuito. Ad aumentare è soprattutto il tempo per la ricerca di nuovi clienti, ma anche per questioni amministrative e recupero credito e per attività di aggiornamento e innovazione. Emerge l’elevato peso di attività non dirette esclusivamente alla produzione, soprattutto se si escludono i collaboratori e le finte partite iva.

Il lavoro gratuito: una realtà con cui fare i conti

La richiesta di lavorare gratuitamente risulta sperimentata da oltre la metà degli intervistati: per il 37% di essi è una richiesta occasionale, per il 15,9% una richiesta frequente. Inoltre più di ¾ degli intervistati ha ricevuto richieste di extra gratuiti (abituali per il 32%!). Questi comportamenti sono diffusi soprattutto tra enti pubblici e locali e tra Università e centri di ricerca e formazione.

Anche chi non accetta di lavorare gratis deve fare i conti con la concorrenza di lavoro gratuito, denunciata come frequente o molto frequente dal 17,3% dei rispondenti, e saltuaria da un altro 34%. Un fenomeno particolarmente presente nell’ambito di editoria, archeologia e architettura.

Altro tasto dolente sono i pagamenti. Sono pressoché scomparsi gli anticipi, che il 76% degli intervistati dichiara di non ricevere mai, mentre il 18% li riceve raramente e solo il 6% con una certa regolarità.

Si confermano infine i ben noti problemi nella puntualità dei pagamenti, denunciati dal 45% dei rispondenti, e in particolare da chi ha come cliente principale la PA.

Emergenza redditi

Uno dei dati più negativi emersi dall’indagine attiene ai redditi. Il 22,6% dichiara di avere un reddito insufficiente a mantenersi e a sostenere le spese minime vitali (bollette, mutuo/affitto, cibo, mezzi di trasporto), e un altro 47,7% un reddito appena sufficiente rispetto a tali parametri.

Le maggiori difficoltà sono dichiarate da chi lavora nelle aree più creative come pubblicità, editoria e design, mentre molto migliore è la situazione di chi svolge attività più tecniche come ICT e attività ingegneristiche, ma anche per i consulenti di direzione e strategia.

Non emerge una significativa differenza di genere, mentre si confermano le maggiori difficoltà al Sud.

È molto importante l’apporto di altri redditi familiari (27% può contare in misura significativa sul reddito del o della partner, il 12,8% su quello della famiglia di origine), mentre molto più raro l’apporto significativo di altri redditi da lavoro o pensione (3,7%) e di rendite (3,7%).