di Rossella Rossini –
In Italia sono più di 2 milioni. Hanno tra 15 e 29 anni. Non lavorano, non studiano, non seguono corsi di formazione. Sono i giovani Neet (not in employment, education or training). Un fenomeno analizzato da istituti statistici e di ricerca nel nostro paese e in Europa e ben in vista nell’agenda dei policy maker
Sospesi. Nell’ombra. Hanno tra 15 e 29 anni. Non lavorano, non studiano, non seguono corsi di formazione. Li hanno chiamati bamboccioni. Li hanno chiamati fannulloni. Ora li chiamano “né, né”: trasposizione nostrana dell’acronimo inglese Neet, che indica il popolo dei giovani “not in employment, education or training”. Un fenomeno analizzato da istituti statistici e di ricerca in Italia e in Europa e ben in vista nell’agenda dei policy maker.
Nel nostro paese, uno studio recente della Banca d’Italia li ha contati: 2 milioni e 200 mila nel 2010, il 23,4% delle persone appartenenti a quella fascia di età, secondo l’ultimo rapporto “Economie regionali”. Quasi un giovane su quattro galleggia in questo limbo, di cui la crisi economica, dal 2009, ha dilatato i confini (erano meno di 2 milioni tra il 2005 e il 2008). Poco importa che l’Istat computi un più benevolo 22,1%, pari a 2 milioni e 100 mila: perché dietro i numeri ci sono persone, giovani senza presente e senza futuro, nella cui condizione si rispecchia il presente e il futuro di una nazione.
La rilevazione dell’Istituto centrale di statistica (“Noi Italia 2012”) mette in luce che nel 2010 la crescita dell’area dei Neet ha coinvolto principalmente il Centro-Nord, in particolare il Nord-Est, dove la crisi ha intensificato i fenomeni di non occupazione. Ma la quota di giovani che non studiano e non lavorano aumenta anche nel Mezzogiorno, dove la condizione di Neet rimane prevalente: l’incidenza raggiunge il picco del 30,9%, contro il 16,1% del Centro-Nord, evidenziando le maggiori criticità cui sono esposti i giovani residenti nel meridione. Soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia (tutte oltre il 30%), seguite da Puglia e Basilicata (28%). In termini di genere le donne, con una percentuale che supera il 26% sulla popolazione di riferimento, sono più rappresentate degli uomini (20%). Nel Mezzogiorno peraltro il fenomeno è così pervasivo da non mostrare nette differenze: il vantaggio per gli uomini si riduce (28,6%) rispetto alla quota femminile (33,2%). Aumenta anche la componente straniera, che nel 2010 raggiunge il 14,7% del totale dei Neet: 310 mila persone, un terzo della popolazione straniera tra 15 e 29 anni residente in Italia, con forte incidenza femminile. Quanto al titolo di studio, la quota più consistente di “sospesi” è in possesso della sola licenza di terza media: quasi un quarto (23,4%) dei giovani tra 15 e 29 anni privi di diploma sono Neet e la percentuale sale al 32,5% al Sud. Ma neanche l’istruzione è una garanzia, in un paese caratterizzato da un forte disallineamento tra sistema scolastico e mercato del lavoro, come dimostrano i dati del sistema Excelsior (Unioncamere-ministero del Lavoro): nel 2011 sono stati 45.250 i posti di lavoro per giovani che le imprese non sono riuscite a reperire. Succede così che nello stesso limbo si trova anche il 19,8% dei laureati. In cifre assolute, sugli oltre 2 milioni di Neet, 988 mila sono privi di diploma (598 mila al Sud), 935 mila diplomati (oltre mezzo milione al Sud) e 187 mila laureati (di cui quasi la metà nelle regioni del Sud).
Ma chi sono, i giovani che appartengono a questa non-generazione? Giovani in bilico, perché hanno concluso gli studi e non trovano lavoro, neanche precario. Giovani che hanno abbandonato gli studi, rendendosi più fragili sul mercato del lavoro. Giovani che hanno perso il lavoro, più o meno precario, e non ne trovano un altro, neanche atipico. Aspettano. Disoccupati: un terzo dei Neet. Inattivi: il 65,5%. Sfiduciati: il 30% degli inattivi che non cercano lavoro. Anche perché non è facile smettere di essere Neet in un paese che ha il tasso di dispersione scolastica (18,8%) tra i più alti d’Europa; in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 35,9% (ultima rilevazione Istat, dato riferito al marzo 2012) e, tra i giovani che lavorano, 1 su 2 è precario. Al punto che, secondo Bankitalia, aumenta la quota di quanti escono dalla condizione di Neet entrando in attività formative e diminuisce quella di quanti riescono a farlo trovando un’occupazione, dopo periodi d’inattività sempre più lunghi: tra il 2007 e il 2008 il 32% dei giovani Neet trovava lavoro nel giro di 12 mesi, poi il periodo di completa inattività si è allungato e, già nel 2009, la percentuale è scesa al 28,8%. Succede così che in Italia la quasi totalità di figli resta in famiglia fino a 24 anni: il 96,9% tra 18 e 19 anni, l’86,1% tra 20 e 24. La percentuale continua a essere elevata anche tra i 25-29enni: 59,2%, attestandosi al 28,9% tra i 30 e i 34 anni. L’87,5% dei Neet maschi e il 55,9% delle femmine vive con almeno un genitore.