di Rossella Rossini –
Dopo un lieve recupero negli anni passati, con l’avvento della crisi nella scuola italiana è di nuovo allarme abbandoni. I “dispersi scolastici” ingrossano le fila dei Neet (not in employment, education, training), in un circolo vizioso che li allontana dal mercato del lavoro. Colpa dello svantaggio socio-economico della famiglia e del territorio, ma anche di una scuola che non garantisce sbocchi. Italia tra i peggiori d’Europa e lontana dagli obiettivi di Lisbona
In Italia un ragazzo su cinque non ha un diploma di scuola media superiore né una qualifica professionale. E’ un “disperso scolastico”, secondo l’accezione europea, con la quale s’intendono tutte le forme di abbandono dell’istruzione e della formazione prima del completamento dell’istruzione secondaria superiore o dei suoi equivalenti nella formazione professionale, compresi, nel sistema italiano, corsi di almeno due anni riconosciuti dalla Regione. Secondo gli ultimi dati Istat, riferiti al 2010 (rapporto “Noi Italia 2012”), il 18,8% dei giovani lascia la scuola prima del diploma, avendo in tasca la sola licenza media (22% tra i maschi, 15,4% tra le femmine; ma la percentuale è oltre il 40% considerando soltanto i giovani stranieri). Abbandoni precoci, che esplodono nei primi due anni delle superiori. A “perdersi” sono soprattutto ragazzi e ragazze tra 14 e 17 anni, più di 100 mila l’anno in questa fascia di età. Il totale cumulato degli early school leaver, misurati dall’indicatore statistico sulla popolazione di 18-24 anni senza diploma e non più in formazione, è di 800.000 persone. Dicono addio alla scuola appena matura l’età lavorativa, o lasciano dopo bocciature e ripetizioni, o non sono scrutinati per irregolarità di frequenza, o semplicemente scompaiono con il loro disagio giovanile da una scuola che non garantisce sbocchi e non risponde alle aspettative (secondo Eurispes quasi un terzo degli adolescenti, il 29,3%, dice di sentirsi annoiato per la maggior parte del tempo trascorso a scuola). Dopo un lieve miglioramento tra il 2004 e il 2010, la crisi ha interrotto il recupero e oggi è di nuovo “allarme abbandoni”. Anche così, in Italia, s’ingrossa l’esercito dei Neet: gli oltre 2 milioni di giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in percorsi formativi. Anche così, nel nostro paese, si crea il circolo vizioso che rendere difficile smettere di essere Neet.
Se la fuga dalle classi è condizionata dallo svantaggio socio-economico e culturale della famiglia e del territorio di appartenenza, oltre che dalle caratteristiche dell’offerta formativa, scontato è anche lo svantaggio rispetto alla mobilità sociale e nel mercato del lavoro: il tasso di occupazione dei dispersi è inferiore al 50% e l’incidenza di professioni con qualifiche basse o non qualificate sensibilmente maggiore che tra gli altri coetanei occupati (65 contro 35%).
Le differenze territoriali sono marcate. Secondo i dati aggregati, il fenomeno degli early school leaver coinvolge il 22,3% dei giovani meridionali e il 16,2% dei coetanei del Centro-Nord. Più in dettaglio, in Sicilia oltre il 25% dei ragazzi, uno su quattro, non porta a termine un percorso scolastico-formativo dopo la licenza media. Le percentuali sono di poco inferiori (circa 23%) in Sardegna, Puglia e Campania. Nelle regioni del Centro gli abbandoni oscillano tra il 13% e il 17%, per risalire in alcune aree del Nord, principalmente nella provincia autonoma di Bolzano e in Valle d’Aosta, ma anche in Piemonte e Lombardia, tutte con quote intorno al 20%. Più in linea con gli obiettivi della Strategia Europa 2020, che ha riproposto un tasso di dispersione scolastica sotto il 10% (già posto dall’agenda di Lisbona, e non raggiunto, entro il 2010) appare il Nord-Est, in particolare la provincia autonoma di Trento e il Friuli-Venezia Giulia, con indici attorno al 12%. Bari, Cagliari, Caserta, Catania, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Taranto: queste le città più a rischio. Ma l’allarme si estende alle periferie delle maggiori metropoli italiane: Milano, Torino, Genova, Verona, Bologna, Roma.
L’Italia non solo è lontana dagli obiettivi di Lisbona, ma anche dalla media europea, pari al 14,1%. Nella graduatoria dei ventisette paesi Ue si colloca nella quarta peggiore posizione, dopo Malta (36,9%), Portogallo (28,7%), Spagna (28,4%). Seguono Romania, Regno Unito, Bulgaria. La palma d’oro va alla Slovacchia, con un tasso di abbandoni pari a 4,7%.