Sempre meno opportunità per i precari
di Roberto Ciccarelli –
“Ho messo da parte l’integrità morale, non ho trovato lavoro, sono andata via”
“Nonostante abbia accettato di essere sottopagata, che i miei contratti non siano stati rispettati, abbia messo da parte la mia integrità morale, in Italia non ho comunque trovato lavoro, quindi sono andata a vivere decisamente lontano da casa e dall’Italia”.Una giovane donna, laureata, in fuga dall’Italia, con la sua lucida fermezza racconta meglio il paese nello stallo di un post sul blog di Grillo, o di un troll partorito da “Siamo la gente, il potere ci temono“, il profilo facebook dove si legge la più divertente parodia della “gente” al potere, o meglio al parlamento dove massima è l’illusione di radere al suolo la “casta”.
E’ stata raccolta dal Centro di ricerche sociale su lavoro e nuove forme di occupazione “Walk on job” dove emerge che il 12% degli 800 intervistati sarebbe disposto ad accettare l’abuso di un contratto atipico e il 2% sarebbe disposto a mettere da parte anche la sua integrità morale pur di accettare un lavoro. Una percentuale più alta è disponibile ad adottare l’estrema forma di protesta: l’auto-allontamento, che non ha nulla di eroico, e non è una “fuga dei cervelli”, sebbene gli intervistati siano laureati. L’allontanamento è la serena consapevolezza di non potere intervenire su un sistema dove l’accesso al lavoro, ad una professione, e a un reddito dignitoso è difficilissimo. Si ricomincia altrove, sempre ammesso che questo sia possibile. Più importante è il gesto: mi dissocio dalla corruzione, dal vostro mondo, dove non è possibile cercare un’attività retribuita.
Chi sono gli “scoraggiati”
La terza indagine Isfol-Plus ha fotografato questa realtà tra il 2008 e il 2010: il 32% dei giovani intervistati ha iniziato a lavorare grazie ai contatti forniti dalle reti parentali, politiche o professionali. Chi ha un genitore laureato, quindi inserito in una rete di questo tipo. è privilegiato. I diplomati, o i laureati di prima generazione, sono gli “scoraggiati”. Disperati, si rivolgono alle agenzie interinali e ai centri per l’impiego, come ultima risorsa prima di arrendersi. E il risultati, purtroppo, non li aiutano. Il 3,9% dei giovani tra i 24 e i 35 anni ha trovato lavoro tra il 2008 e il 2010 grazie ad un centro per l’impiego e il 2,4% con le agenzie interinali. Non funziona nemmeno il canale “istituzionale”. Grazie ai sindacati e alle organizzazioni datoriali ha trovato lavoro solo lo 0,5% degli intervistati, mentre il 17,3% l’ha trovato con l’auto candidatura, inviando un curriculum.
La decrescita decisa dallo Stato
Solo l’8% dei disoccupati nel 2011 ha ricevuto una nuova offerta di lavoro negli ultimi 30 giorni prima dell’intervista. E il 43,5% di coloro che la ricevono decidono di rifiutarla. I motivi del rifiuto dipendono essenzialmente dal fatto che il lavoro proposto non risponde alle aspettative (23,7%), la retribuzione prospettata è inferiore alla richiesta (19,2%), si chiede al candidato di lavorare per troppe ore (10,7%), la forma contrattuale è inadeguata per tutelarlo (10%) e talvolta il lavoro è al nero o «irregolare» (10,3%). Negli ultimi mesi abbiamo imparato a riconoscere in questi comportamenti il «disallineamento» tra la proposta di lavoro e la formazione (nel 43% dei casi).
Ma c’è anche il rovescio di questo fenomeno: il 40% degli intervistati sostiene di non avere un’adeguata preparazione per rispondere all’offerta. Tra un eccesso e una mancanza, manca totalmente un processo di formazione che avvicini il candidato al lavoro propostogli o una mediazione tra l’offerta deludente e le capacità dell’aspirante al posto. Insomma manca un moderno sistema di Welfare che parta delle esigenze delle persone, garantendo la scelta tra diverse opzioni.
La carenza di opportunità è la ragione che spinge il 34% degli intervistati a non lavorare, mentre il 22% adduce come motivazione la cura della famiglia. Ed è probabilmente questa la ragione per cui sempre meno «atipici» riescono a stabilizzare la propria attività, restando a lungo «precari». Questo è il futuro delle riforme del lavoro: reddito basso o inesistente, senza pensione, bassi consumi. È la decrescita stabilita dallo Stato, e dai suoi esperti in politiche del lavoro.
I “working poors” sono in Europa
I dati sulla disoccupazione comunicati a marzo da Eurostat sembrano una rappresentazione plastica dell’Europa dell’austerità: spezzata in due tra i protestanti rigorosi del Nord che vivono in una società dove la disoccupazione è molto bassa e i cattolici lassisti del Sud dov’è ormai fuori controllo. In Austria o in Germania oscilla tra il 4,8% e il 5,4%, mentre in Spagna è fissa al 26,3%, in Portogallo è al 17,5%, mentre in Grecia è al 26,4%, un record ma fermo a dicembre. Negli ultimi mesi i dati non sono stati aggiornati. Un silenzio minaccioso che sembra annunciare il peggio. Nei 17 paesi dell’Eurozona febbraio è stato il mese del record: i senza lavoro sono 19 milioni, il 12% della forza lavoro attiva.
L’Italia è stata rassicurata dall’Istat: la disoccupazione a febbraio era «solo» all’11,6%, in calo dello 0,1% rispetto a gennaio, ma in crescita di 1,5 punti negli ultimi dodici mesi. Cresce invece l’occupazione femminile: 48 mila persone assunte a gennaio, mentre quella maschile diminuisce di 2 mila unità. Una progressione impressionante che porta i senza lavoro ad un gradino sotto i 3 milioni, per la precisione 2 milioni 971 mila. Rispetto ai dati dei «Pigs» mediterranei c’è ancora una notevole distanza che però viene letteralmente ribaltata se si considerano i dati sulla disoccupazione giovanile, nella fascia 15-24 anni: la disoccupazione è diminuita di qualche millesimo, ma l’Italia si mantiene salda al terzo posto nella graduatoria continentale: il 37,8% (-0,8% rispetto a gennaio: 646 mila persone) contro il 55,7% della Spagna e il 38,2% del Portogallo.
Contro-riforma Fornero
In realtà, questi dati non sono il risultato del lassismo dei giovani italiani, bensì il frutto della recessione e l’eredità del «pacchetto Treu» del 1997 raccolta dal governo Monti. La lunga stagione contro-riformista del lavoro ha cercato di cambiare le regole dell’accesso al mercato del lavoro, peggiorandole al punto da escludere i più giovani. Con professorale alterigia la contro-riforma ha coltivato il convincimento che i posti di lavoro si creano per via legislativa e non con gli investimenti e welfare a tutela delle persone.
La riforma Fornero, entrata in vigore il 18 luglio 2012, avrebbe dovuto stabilizzare il precariato e far emergere il «sommerso» tra le partite Iva. Invece, nel terzo trimestre 2012 le assunzioni con i contratti «atipici» sono aumentate. Da ottobre 2011 a settembre 2012, in pieno governo Monti, sono dilagati il lavoro intermittente e a chiamata, il «job on call». Su 2.462.314 rapporti di lavoro attivati nel periodo solo 430.912 risultano a tempo indeterminato (il 17,5% del totale). Il 67,1% (1.652.76) è a tempo determinato.
Il 65% degli intervistati iscritti a Confartigianato hanno dichiarato in un sondaggio Ispo condotto tra l’8 e il 12 marzo che la riforma ha frenato la propensione ad assumere, aumentando il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato. Una conferma viene da un sondaggio condotto dai giovani «Non più» della Cgil. Su 500 professionisti e precari il 5% è stato stabilizzato, il 27% ha perso il contratto, il 22% si è dovuto accontentare di un contratto peggiore. Il 14% dei cocopro sono stati trasformati in partita Iva, oggi molto accessibile perché la riforma permette di aprila con un reddito di 18 mila euro lordi.
Quanto all’apprendistato, riformato seguendo la legge tedesca Herzt per «germanizzare» un mercato del lavoro che si presume «lassista», si annuncia un’ecatombe. E’ ancora presto per verificare l’impatto della riforma Fornero ma il monitoraggio dell’Isfol mostra la tendenza. Quanto al 2011, il rapporto Isfol-Inps evidenzia una flessione del 6,9% ne ricorso all’apprendistato, confermando quindi l’andamento negativo avviato dopo il 2008. Sempre nel 2011 il numero medio annuo dei rapporti di lavoro in apprendistato è stato di 504.558, la contrazione ha riguardato tutti i settori economici, tranne il tessile-abbigliamento. Nel 2010 i rapporti di apprendistato erano 541.785, in calo rispetto ai 594.668 del 2009. I più penalizzati sono i “giovani”, cioè i naturali destinatari di questo contratto:
Nel triennio 2009-2011, si apprende dal monitoraggio, gli apprendisti minorenni sono diminuiti del 36,2%, mentre per gli over 29 si è registrato nello stesso periodo un incremento. Nel 2011 sono aumentate del 2,1% le trasformazioni di apprendisti in assunti a tempo indeterminato (180.749 contratti). Gli apprendisti restano dunque ancora marginali: tra gennaio e agosto 2012 sono il 2,9% dei rapporti di lavoro, in diminuzione rispetto al 3,1% nel 2011.
1641 disoccupati al giorno
La rilevazione dell’Osservatorio permanente del Gi Group Academy conferma che la riforma ha ridotto l’utilizzo improprio di alcuni contratti flessibili (-54%), ma non ha aumentato l’occupazione. Anzi, le imprese continuano a surfare tra un contratto precario e un altro, cercando quello che costa di meno. Il 76% dei cocopro e partite Iva trasformati in contratti da dipendenti – il vero cavallo di battaglia della riforma – è stato convertito in altre forme flessibili, e solo il 24% a tempo determinato. Per gli intervistati di questa rilevazione la riforma ha inciso negativamente sulle assunzioni («flessibilità in ingresso», il 58%) e sui licenziamenti, rendendoli anche più costosi nel 46%.
Su questo ci sono anche i dati del sistema della comunicazioni obbligatorie approntato dal ministero del lavoro. A settembre 2012 i licenziamenti sono stati 640 mila, con un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente. Ogni giorno hanno perso il lavoro 1641 persone, il peggior risultato degli ultimi nove anni.
Cercasi vocazione all’impresa
La ricerca Isfol «Lavoratori autonomi: identità e percorsi formativi» rappresenta un temibile ritorno alla realtà per il governo Monti. Tra il 2007 e il 2012, 330 mila autonomi hanno perso il lavoro. I più colpiti sono stati gli imprenditori: l’87,4% dichiara che il mercato è peggiorato negli ultimi tre anni. È «venuta meno la vocazione a fare impresa» commentano i ricercatori. Un dato che contrasta, ma solo apparentemente, con l’esplosione delle partite Iva. Per la Cgia di Mestre nel 2012 ne sono state aperte 549 mila, il 38,5% sono intestate agli under 35. La crescita è avvenuta a Sud, nel commercio, nelle professioni e nelle costruzioni.
Per la maggioranza sono partite Iva monocommittenti, cioè svolgono un lavoro dipendente mascherato. Il monitoraggio su questo fenomeno partirà solo nel 2014, come si legge nella circolare Inail del 20 marzo 2013 vanificando l’impatto della riforma.
Oggi sono in molti a sospettare che questo sia un altro colpo ad una riforma mai nata.
Tratto da La furia dei cervelli