di Lapo Berti –
Il giorno del suo insediamento a Palazzo Marino, in un impeto di entusiasmo che era anche uno sfogo il neo-sindaco Giuliano Pisapia si è lasciato andare a una frase apparentemente banale, ma densa di significati e di implicazioni possibili: “Se c’è una cosa di cui non smetto di stupirmi è come sia stato possibile, tutti insieme, sdoganare alcune parole; portare nel lessico politico, ad esempio, la parola felicità. No, non è da visionari immaginare che la buona politica debba avere tra i suoi obiettivi anche la felicità”.
Naturalmente, non c’è nulla di male nel fatto che la politica ponga tra i suoi obiettivi la felicità dei cittadini. Anzi, la felicità è probabilmente la promessa che tiene insieme il patto sociale e, in ogni caso, è da sempre l’obiettivo di chi governa. Come tutti sanno, in età moderna, è stata per prima la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti (1776) a porre la “ricerca della felicità” fra i diritti inalienabili dell’uomo che ogni consesso civile deve garantire.
Attenzione, però, perché ci sono più modi attraverso cui la politica, il governo delle persone e delle cose a tutti i livelli, può prendersi cura della felicità dei cittadini.
In un democrazia sufficientemente sviluppata la strada maestra della ricerca della felicità passa attraverso il regime delle libertà, sia di quelle negative che di quelle positive, per usare la celebre distinzione di Isiah Berlin. E’ l’individuo che, mettendo a frutto la gamma di opportunità che gli si offrono ed esercitando al meglio le libertà di cui gode disegna il suo personale percorso verso la felicità. Al governo, alla politica, è affidato il compito di far sì che lo spazio delle libertà sia il più ampio possibile e che l’ambiente sociale sia più ricco di opportunità per lo sviluppo della personalità umana. Ma nella sfera della felicità è sovrano l’individuo, sua è la sfida, sua la responsabilità delle scelte. Va da sé che, fra le condizioni che possono favorire la ricerca della felicità da parte degli individui, c’è quella di un ambiente sociale caratterizzato dalla massima ricchezza e varietà di relazioni, un ambiente in cui la socialità o, se si preferisce, il capitale sociale sono riconosciuti per il valore insostituibile che hanno e oggetto di cura costante perché non vengano meno o non si deteriorino. E qui, di nuovo, il ruolo del governo e della politica può essere importante, anche se, come si vede in Italia, non necessariamente positivo.
Ma c’è un’altra strada che si pretende porti alla felicità. E’ una strada antica, che sembrava scomparsa dalla topografia politica moderna, ma che oggi è oggetto di entusiaste quanto sospette riscoperte. E’ la felicità cui gli individui sono condotti per mano da un sovrano (un governo) benevolo e sapiente, che presume di conoscere il bene degli individui e della collettività meglio degli individui stessi. E’ il regno del paternalismo, che spesso si può incrociare con il populismo, disegnando un degli esiti che già Kant considerava più perniciosi per la causa della libertà. Oggi quel disegno rivive nei progetti di leader politici come il premier britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy, che vorrebbero fare della felicità l’obiettivo principale delle loro politiche e, a questo scopo, hanno allestito un imponente apparato demografico e statistico per “misurare” la felicità dei loro concittadini. Nelle intenzioni dei nuovi ingegneri sociali, i cittadini dovrebbero “comunicare” attraverso i più diversi strumenti, dai sondaggi alle rilevazioni demoscopiche, il loro livello di felicità, ovvero il loro livello di gradimento delle politiche governative, e i governi aggiusterebbero di conseguenza le loro politiche, al fine di avere cittadini-elettori eternamente consenzienti. Non è chi non veda profilarsi, sullo sfondo di questi progetti, del resto ampiamente pubblicizzati, i fantasmi più tetri del Brave New World di Aldous Huxley.
Confidiamo che la gioiosa proclamazione di Pisapia sulla felicità come obiettivo della politica sia consapevole dei diversi crinali su cui essa può scivolare. Confidiamo, soprattutto, che il neo-sindaco, facendo tesoro di una straordinaria campagna elettorale, sappia bene che la felicità dei suoi concittadini è affidata, in primo luogo, alla partecipazione attiva, alla condivisione di un’esperienza collettiva e non all’attuazione di ciò che un qualche politico, fosse anche il sindaco, può ritenere sia la felicità.