Alberto Gaino, che è stato giornalista a Il Manifesto, Stampa Sera e La Stampa, occupandosi principalmente di cronaca giudiziaria, ci ha inviato una sua riflessione sui meccanismi di condizionamento dell’informazione, richiamando alla nostra memoria tre famose inchieste giudiziarie di cui si era occupato direttamente: Telekom Serbia, Eternit e Stamina. L’Affare Telekom Serbia (1) riguardava l’acquisto di azioni dell’azienda telefonica Telekom Serbia da parte di Telecom, che avrebbe visto il pagamento di tangenti ad esponenti del centrosinistra. Il caso Eternit (2) riguardava la contaminazione dell’amianto nell’area di Casale Monferrato. Il Metodo Stamina (3) era un presunto trattamento, privo di validità scientifica, per curare malattie neurodegenerative. Le narrazioni costruite sulle tre famose vicende, alla fine, si rivelarono false. Attraverso la memoria di questi casi Gaino vuole evidenziare come, per condizionare l’informazione, modificare e manipolare la verità, sia sufficiente costruire una narrazione convincente, spesso supportata dagli ambienti politici. E’ fondamentale, pertanto, la “manutenzione delle parole e degli argomenti che le parole scelte avvolgono”.
Il mondo di ciascuno di noi è più grande o più piccolo in base alle nostre rispettive conoscenze. E il mio sapere è modesto. Ho vissuto il mio tempo lavorativo retribuito – quello che mi ha portato alla pensione – attraverso il mestiere di giornalista. Sono perciò vissuto di parole. Ho ricevuto più di una lezione di vita sulla manutenzione del linguaggio e, in questo tempo in cui ci si diffonde molto sulle fakes news, vorrei riprendere l’argomento lasciandovi la mia testimonianza.
Uscito dalla professione con un prepensionamento a fine 2013 – che ha coinvolto nell’arco di poco tempo almeno 2000 giornalisti di quotidiani e periodici, un’intera generazione mandata a casa in anticipo, salvo chi si è reso disponibile a lavorare come prima pagato due volte – scrissi quasi di getto un libretto che avevo in testa da un pezzo. Argomento: i meccanismi di condizionamento dell’informazione. Non sapendo come altro fare, non volendo tentare di provare a fare diversamente rispetto alle mie competenze, rivoltai tre inchieste giudiziarie che avevo seguito a Torino, importanti per diversi aspetti (e tipologie di condizionamento delle notizie) e le ricostrui evidenziando quali meccanismi avessero fatto leva e lievito sulle pagine dei giornali, a cominciare dal mio, attraverso la mia esperienza di cronista di giudiziaria. Il libro venne poi pubblicato da una piccola e valorosa casa editrice che ne aveva anche scelto il titolo: Falsi di stampa.
Il primo caso che trattai – quello di Telekom Serbia, roba da preistoria per come corre veloce la politica verso il proprio annientamento – era e resta paradigmatico per ricordarci che le fake news non sono per niente una novità: c’era un’intero schieramento elettoralmente vincente e saldamente al governo che aveva deciso di fare la guerra per via parlamentare-giudiziaria alla propria opposizione. Un disegno ardito che sarebbe riuscito non fosse stato per l’indipendenza di giudizio di una parte della magistratura torinese, di cui voglio ricordare il presidente della sezione gip-gup di allora, Francesco Gianfrotta, a cui, in seguito, fu negato con parere negativo del consiglio giudiziario locale la presidenza del Tribunale di Torino.
L’idea ardita eppure semplice, quando si può contare su di un eccesso di potere e consenso nel paese, era di montare in “groppa” ad un’inchiesta di Repubblica sulle trattative per l’acquisto di una quota della rete telefonica serba da parte della Telecom italiana, a quel tempo ancora sotto il controllo pubblico. Chi ha più anni e memoria ricorderà che fogli di destra, capeggiati da Il Giornale di Berlusconi, allora premier, cominciarono a suonare la grancassa sul patto corruttivo, dietro quella transazione, che avrebbe coinvolto anche Romano Prodi. Si diede vita ad una commissione parlamentare d’inchiesta, riempita di volenterosi lacché del nuovo che avanzava, con i medesimi poteri di indagine della magistratura fuorché, ovviamente, quello di iscrivere in un registro dei reati il proprio obiettivo politico: Prodi, che era diventato capo della Commssione Ue.
Non sto a raccontarvi nuovamente una storia penosa che oggi apparirebbe assurda quanto fantascientifica se non avesse lasciato una scia di parole su pagine e pagine, quintali di pagine di giornali – quasi tutti – da febbraio a dicembre di ormai oltre 20 anni fa.
Al gran partito dei “garantisti” sarebbe bastato ottenere un avviso di garanzia per corruzione a carico di Prodi, e sarebbe poi stata la sua fine politica prima dell’esperimento dell’Ulivo. Ma la magistratura torinese balzò sul Grande Accusatore di Prodi (un tale di nome Igor Marini, autentico magliaro ma per tutti quei mesi legittimato dalla commissione parlamentare e da gran parte dell’informazione italiana). Il tizio possedeva un’autostima inversamente proporzionale alla considerazione sociale che si era meritato negli ambienti della para-politica: Clemente Mastella si ricordò che era stato ospite a casa sua, come consorte di una attrice di una certa notorietà (allora) e che aveva intrattenuto le signore “facendo loro le carte”. Altro che grande faccendiere e distributore di miliardi di marchi tedeschi (valevano più delle lire)!
Ebbene, il tizio, letta l’intervista del buon Mastella, gli tirò addosso l’accusa/calunnia di aver consegnato pure a lui la sua mazzetta Telekom Serbia.
Lavoravo per un giornale indipendente e serio, ma con un direttore sensibile agli equilibri politici, e pure io fui costretto per mesi a scrivere servizi a sei e sette colonne, nelle pagine nobili del quotidiano, sulle sgangherate rivelazioni del tizio che la commissione parlamentare (bicamerale) d’inchiesta insediatasi cercò di tenere in piedi in ogni modo. A colpi di fake news legittimate istituzionalmente. Non fummo in molti, fra i giornalisti che si cimentarono con l’affaire, a cercare di arginare tutta quella spazzatura di parole che doveva azzerare l’opposizione politica. Il giorno che feci il mio scoop e scrissi – sempre nelle pagine nobili ma in spazi più contenuti – che la “festa” delle fakes news era finita con l’iscrizione nel registro degli indagati del calunniatore (poi processato e condannato) insieme ad un manipolo di faccendieri di supporto, si stese rapidamente il silenzio. Come se niente fosse stato.
Il condizionamento dell’informazione era stato di carattere politico. Così come sul processo Eternit – altro clamoroso caso finito giudiziariamente prescritto nonostante di amianto si muoia ancora a Casale Monferrato – giocò il peso economico che riuscì ad esercitare l’entourage del principale imputato di disastro doloso: il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Il copione dei condizionamenti era stato apparecchiato per tempo e per tempo svelato dalla magistratura torinese attraverso il lavoro dell’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e dei suoi pm: avevano scoperto un archivio segreto con indicazioni “per i giornali”; nel caso in cui cronisti troppi invadenti non rientrassero nei ranghi delle pagine locali si dovevano contattare i loro “capi”. Sul mio nobile ex giornale, al tempo di un direttore diverso dal precedente ma sensibile a tutto ciò che muoveva il potere, avevo finito per scrivere soprattutto sull’edizione online che non aveva ancora un archivio elettronico. Dopo un tot di ore il pezzo, se non veniva copiato da qualche sito, spariva nel vuoto della memoria. Qualche sito duplicò qualche mio pezzo.
Il terzo caso che trattai era di scuola: Stamina, la fabbrica delle staminali farlocche. Era un’impostura delle più grandi, eppure l’intero parlamento italiano andò appresso a quella truffa che era saltata addosso ai bambini più indifesi: perché malati senza speranza. Quando mi presentai al giornale con la prova della truffa (le analisi condotte su materiale sequestrato in un laboratorio universitario che ne rivelavano la vera sostanza) non fu pubblicato il mio servizio già pronto per la solita edizione online. Si temeva l’opinione pubblica che il fondatore di Stamina, studioso di comunicazione persuasiva, aveva saputo abilmente portare dalla sua parte sfruttando le debolezze dei mezzi di informazione?
E’ un fatto che il mio stesso giornale di allora pubblicò sei mesi dopo la stessa notizia ma a firma dell’ex capo ufficio stampa di Federfarma, l’associazione delle imprese farmaceutiche che si era stufata del successo immeritato del gran truffatore. Costui era riuscito a bypassare a furor di popolo e di deputati e senatori la rigorosa sperimentazione prevista per tutti i farmaci. Il suo – in realtà un intruglio di staminali estratte da bambini malati, potenzialmente molto pericoloso – era stato potentemente aiutato da una narrazione convincente. Ancora una volta a base di fakes news.
Pure quella di Stamina è stata una pessima storia che non andrebbe dimenticata per fare tesoro della manutenzione delle parole e degli argomenti che le parole scelte avvolgono. Oggi. Come ieri. Come 20-20-100 anni fa. Dacché esiste informazione. Semmai oggi di più, visto che dobbiamo fare i conti anche con i social e le sue varie versioni attraverso cui notizie farlocche rimbalzano e diventano, se non vere, verosimili.
Ps: non ho fatto volontariamente riferimento, se non vago, alle date in cui le storie che ho accennato si sono svolte. Per lasciare, a chi voglia, modo di andarsele a cercare, leggere, riflettere,“decostruire” le “notizie” di ieri e di oggi. E’ un esercizio utile. Anche per salvare l’informazione e qualche giornalista da se stesso.
(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Affare_Telekom_Serbia
(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Eternit
(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_Stamina