di Emilio Battisti –
Milano e l’Expo 2015, una grande occasione che rischia di essere perduta. Emilio Battisti racconta e denuncia con dovizia di dettagli i continui ripensamenti e ridimensionamenti del progetto relativo allo spazio espositivo da parte degli amministratori che si sono susseguiti al governo di Milano negli ultimi anni. Dal progetto dell’assegnazione del 2008 relativo allo spazio in prossimità della Fiera di Rho-Pero alla proposta di un’Expo dei territori diffusa a scala regionale utilizzando le risorse già disponibili. Evidente è la criticità della situazione per la gestione politica inadeguata dell’evento, a cui si aggiungono rischi ambientali e possibili infiltrazioni della criminalità organizzata. Al sindaco Pisapia spetta il compito, attraverso le decisioni che assumerà, di riuscire a trasformare l’Expo da evento fallimentare, come si sta prospettando, in una grande opportunità per Milano.
È di ieri la notizia che salteranno anche le serre che avrebbero dovuto consentire di riprodurre i differenti climi e ospitare le essenze arboree di tutto il pianeta. Si tratta dell’ennesima mutilazione del progetto e del perpetuarsi di una deriva senza fine che non può che preludere al fallimento se non all’affondamento, prima ancora della sua inaugurazione, dell’Esposizione Universale del 2015. Non sarebbe il primo caso per il nostro Paese. C’è stato il precedente dell’E42, l’esposizione universale che si sarebbe dovuta tenere a Roma nel 1942 per celebrare i fasti del fascismo, a cui Mussolini dovette rinunciare a causa della guerra.
Ora, la guerra proprio in casa non ce l’abbiamo anche se, a causa delle nostre missioni all’estero, veramente in pace non possiamo proprio dire di essere. Ma c’è la crisi economico finanziaria planetaria, di cui stiamo facendo le spese in modo vivo e diretto proprio in questi giorni, che potrà avere per l’Expo conseguenze ancora più gravi se non si affronta l’emergenza con responsabilità e competenza. Ma vediamo da dove è iniziata questa deriva.
Il dossier di candidatura sulla base del quale fu assegnata all’Italia e a Milano nel 2008 la nomination per tenere l’Esposizione Universale del 2015, era accompagnato da un progetto molto modesto del sito prescelto in prossimità della Fiera di Rho-Pero nel quale figurava una distesa di padiglioni, che si adattavano al sinuoso andamento della via Cristina Belgiojoso che lo percorre da nord a sud, sovrastati da una torre-grattacielo che avrebbe dovuto rappresentare, assai banalmente, il simbolo architettonico della futura manifestazione.
A seguito di un’indagine svolta dall’Ordine degli Architetti sulle Expo che si erano tenute negli anni precedenti ad Hannover, Lisbona e Siviglia, erano risultate in tutta evidenza le negative conseguenze per i luoghi che le avevano ospitate, perché era risultato impossibile un loro rapido recupero urbanistico e presentavano manifesti fenomeni di degrado dovuti ai molti padiglioni non riutilizzabili e in rovina, con gravi oneri ambientali e economici per le città che le avevano realizzate e ospitate.
Sulla base di questa indagine, nel marzo del 2009, fu lanciata una petizione ancora oggi valida e sottoscrivibile, alla quale hanno già aderito quasi 1500 cittadini di varia estrazione sociale e orientamento politico, che proponeva di rinunciare all’Expo dei padiglioni confinata all’interno del sito, a favore di un’Expo dei territori diffusa a scala regionale utilizzando le risorse già disponibili e realizzando interventi caratterizzati da una sostenibilità in tutte le possibili declinazioni: ambientale, energetica, sociale ed economica.
Il confronto con i responsabili di Expo 2015 Spa da Lucio Stanca, allora AD di Expo Spa, al commissario straordinario Letizia Moratti, al membro della Consulta Architettonica Stefano Boeri, ha prodotto come unico effetto significativo, la drastica revisione del progetto originario: il Conceptual Masterplan presentato l’8 settembre del 2009, caratterizzato da un nuovo impianto insediativo basato su cardo e decumano e dalla concezione di quell’orto planetario nel quale tutti gli stati partecipanti avrebbero dovuto produrre i caratteristici prodotti del loro Paese da offrire ai visitatori nella sterminata tavolata lunga un chilometro e mezzo.
Il progetto è andato avanti a partire dal Masterplan con alterne vicende a causa delle controversie tra Roberto Formigoni e Letizia Moratti sulle modalità di acquisizione delle aree private di proprietà di Ente Fiera e di Cabassi e per la gestione e il controllo dei ritorni economici derivanti dalla loro “valorizzazione”. Da tale controversia, senza esclusione di colpi, risulterà poi vincitore Formigoni che è riuscito a imporre la soluzione dell’acquisto delle aree tramite una società a prevalente partecipazione pubblica, la Arexpo Spa.
Nel frattempo, nel luglio del 2010, si verificava l’avvicendamento alla direzione di Expo 2015 Spa con l’allontanamento di Lucio Stanca e l’insediamento di Giuseppe Sala che constatava subito le difficoltà a portare avanti il progetto dell’orto planetario per il rifiuto dei Paesi cui hanno proposto di partecipare alla manifestazione. E il Segretario generale del BIE Vicente Loscertales, che fino a pochi giorni prima si era sperticato in lodi per l’orto planetario, non ci ha messo neppure un minuto a rinunciare al progetto della Consulta Architettonica, perché si è improvvisamente accorto che gli orti non gli consentivano di fare cassa molto facilmente.
Il progetto è stato quindi sostanzialmente riformulato nei suoi contenuti oltre che ridimensionato nelle risorse disponibili. Per quanto riguarda i contenuti si è sostanzialmente ritornati alla formula dei padiglioni pur mantenendo il modello insediativo del progetto della Consulta, con la progressiva rinuncia agli aspetti più qualificanti dell’orto planetario, dando invece grande spazio alle tecnologie e quindi alle multinazionali del cibo, rispetto alle comunità produttive di Terra Madre di Carlin Petrini.
Per quanto riguarda le risorse, basta ancora ricordare che nel dossier di candidatura, solo per la realizzazione delle opere del sito, si era ipotizzato di poter investire 3,5 miliardi, che poi tale importo si era quasi dimezzato a 1,8 miliardi in occasione della presentazione del progetto della Consulta e ulteriormente ridotto a 1,7 miliardi per attestarsi su 1,4 miliardi a seguito delle recenti amputazioni per circa 300 milioni di euro rinunciando alla realizzazione del Villaggio Expo e della Via di Terra, ridimensionando drasticamente la Via d’Acqua e “affinando” il design delle opere di infrastrutturazione e degli edifici. E ora, come abbiamo visto, sono saltate anche le serre.
La nuova amministrazione milanese ha quindi ereditato una situazione gravemente compromessa, ma si era sicuri che il nuovo sindaco volesse dare una netta sterzata e che, come aveva dichiarato pubblicamente, intendesse avvalersi dei suoi poteri di Commissario esercitando il diritto di veto per impedire la deriva che aveva nel frattempo consentito di passare dall’idea di Orto Planetario, alla denominazione molto più tecnica di Parco Agroalimentare, per approdare infine a un non meglio definito Parco Tematico, come se si trattasse di una qualunque Gardaland o Italia in miniatura. Insomma di quel luna park che vorremmo proprio evitare.
Infatti il suo programma elettorale sia per le primarie che quello con il quale ha poi sconfitto la Moratti assegnava un ruolo determinante all’Expo citandola più di una ventina di volte in rapporto a differenti obiettivi di alto contenuto sociale, economico e culturale, affermando:
“Noi vogliamo un’Expo diffusa e sostenibile, che assuma il 2015 quale scadenza entro la quale realizzare le strategie ambientali e sociali di cui Milano ha bisogno; quale opportunità per lanciare Milano nel circuito del turismo internazionale sostenibile, per dare visibilità alle imprese più responsabili e ambientalmente innovative, per creare partnership con quelle di altri paesi. È indispensabile coinvolgere le competenze concentrate nelle sette università e nei numerosi centri di ricerca milanesi attingendo idee, commissionando progetti attraverso bandi anche riservati ai giovani e premiando le tesi di laurea dedicate (per esempio, realizzando i progetti in esse contenuti) con un programma specifico di attrazione di visitatori attraverso iniziative culturali promosse da studenti, ricercatori, dottorandi e docenti italiani e stranieri che frequentano i nostri atenei; valorizzando la fittissima rete di rapporti di cooperazione che le università lombarde tengono con tutti i paesi in via di sviluppo”.
Ma non è finita qui, perché nel resto del suo programma il termine Expo viene anche citato a proposito di legalità ed etica pubblica, contrasto al lavoro nero, ed esemplarità nel comportamento amministrativo della società controllate dal Comune inclusa Expo 2015 Spa.
Ma anche quale fondamentale opportunità per assegnare alla nostra città, il ruolo di Città – Mondo, di cui l’incontro, del 24 ottobre scorso organizzato da Stefano Boeri con i rappresentanti delle 191 comunità straniere di Milano che si è tenuto nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, in occasione dell’International Participants Meeting, ha rappresentato il primo importante appuntamento.
Purtroppo la mobilitazione, nel segno della partecipazione dal basso, delle nostre comunità straniere, è coincisa con la performance di Formigoni, che è volato a Cernobbio con l’elicottero di servizio a incontrare i delegati del Partecipants Meeting, che sono stati anche deliziati dalle scenografie da colossal cinematografico di Dante Ferretti nelle quali i velari del progetto della Consulta erano trasformati, tanto per restare in tema, in gigantesche strisce di pellicola cinematografica.
E ancora, nel programma di Pisapia l’Expo dovrebbe essere anche l’occasione per ospitare nel 2015 la sesta Conferenza Mondiale dell’ONU sulle donne dopo quelle tenutesi a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980), Nairobi (1985), Pechino (1995) e New York (2005) e per indire una Biennale Internazionali dei Giovani e lanciare un nuovo Salone internazionale dell’Alimentazione, da tenersi nei padiglioni della Fiera di Rho-Pero in prossimità del Parco Agroalimentare, nel frattempo già sparito, che l’Expo ci avrebbe dovuto lasciare in eredità, accompagnato da un fuori salone, per far conoscere le culture del cibo di tutte le comunità, e promuovere il commercio e la ristorazione in tutti i quartieri.
E ancora, favorire il trasferimento tecnologico in vari settori di eccellenza e in particolare in quello agroalimentare disponendo un investimento di 50 milioni di euro, istituire un “Campus Verde del lavoro”, assumere l’Expo quale traguardo temporale per dotarsi di nuove attrezzature per l’accoglienza e l’accompagnamento dei turisti e favorire l’apporto di idee da parte di giovani professionisti e artisti. Coordinare infine gli interventi per l’Expo con le necessità dello sviluppo urbano e dell’ambiente con politiche di rafforzamento del verde e dei parchi di cintura e dei Navigli da Cassina de’ Pomm alla Darsena. Il tutto inquadrato all’interno di una sistematica pratica di “partecipazione informata” dei cittadini che dovrebbero avere l’opportunità di conoscere e ridiscutere i progetti strategici che potranno produrre effetti stabili e a lungo termine quali in particolare quelli per l’Expo e per il PGT.
Tuttavia nel frattempo il progetto del sito è andato avanti e, benché il progetto di Expo Diffusa, sia stato in più occasioni citato e apprezzato da tutti gli protagonisti della vicenda, oltre che esser stato fatto proprio da Pisapia in modo molto articolato e circostanziato nel suo programma elettorale, egli non ha assunto fino a ora alcuna concreta iniziativa per renderlo operativo.
Ma a complicare e rendere confusa la situazione ha contribuito il clima di emergenza dovuto ai ritardi accumulatisi prima della sua vittoria elettorale che aveva posto la data del 14 giugno quale scadenza oltre la quale appariva inevitabile la revoca della nomination per ospitare l’Expo a Milano, nel caso in cui il BIE non avesse avuto la prova che i terreni del sito erano definitivamente acquisiti e che conseguentemente i lavori si potevano avviare.
E mentre in quella medesima occasione la Moratti a seguito della sonora sconfitta elettorale rassegnava le sue dimissioni, Pisapia, influenzato dal quel clima di emergenza si lasciava indurre ad accettare di farsi carico degli oneri politici ed economici della partecipazione ad Arexpo Spa che Formigoni aveva nel frattempo unilateralmente costituito e a dividere con lui la nomina a Commissario straordinario dimezzato, competente solo per la realizzazione delle opere del sito e sulla base di una ripartizione di compiti e responsabilità molto squilibrati, come Boeri ha messo giustamente in evidenza.
Così la formula della futura manifestazione è ritornata a essere una banale e obsoleta Expo dei padiglioni e anche il Parco Agroalimentare che avrebbe dovuto costituire l’unico elemento ancora disponibile per la caratterizzazione spaziale e dei contenuti all’interno del sito, oltre che costituire il lascito più significativo alla città dopo la manifestazione, si è prima trasformato in un generico e non meglio definito Parco Tematico e poi anche questo è del tutto scomparso. Va ancora osservato che la scomparsa del Parco Agroalimentare dal progetto dell’Expo vanifica completamente le stesse finalità del terzo Referendum Consultivo di Indirizzo che richiede che il Comune ” adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a garantire la conservazione integrale del Parco Agroalimentare che sarà realizzato sul sito EXPO…” per consentirne la futura utilizzazione pubblica dopo la manifestazione.
Ciò è avvenuto in modo occulto negli elaborati di progetto e nei documenti tecnici allegati che ne dovrebbero certificare la rispondenza alle normative e alle verifiche di sostenibilità attraverso la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Assolvimenti attuati con procedure formalistiche, senza vero interesse a identificare i requisiti di compatibilità degli interventi. A ciò si aggiunge la preoccupazione, manifestata pubblicamente dallo stesso Pisapia, per il fatto che il primo grande appalto da 90 milioni di euro per la pulizia dei terreni è stato aggiudicato con uno sconto del tutto anomalo del 47%. Ma abbiamo anche constatato che l’appalto della “Piastra”, basamento tecnico di tutti i futuri interventi del valore di altri 90 milioni, è stato anche’esso aggiudicato con lo sconto anomalo del 43%. Il che la dice lunga sui controlli che potranno essere fatti sui subappalti per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Sono invece comparsi scrupolosi riferimenti alla necessità di provvedere allo “scoticamento” estensivo dei terreni a causa della presunta esistenza di Ambrosia che provocherebbe manifestazioni asmatiche e altre forme di disagio a causa della diffusione dei pollini. Desta particolare preoccupazione il risalto che si dà alla presenza di questo vegetale spontaneo che, se presente sui terreni lasciati a lungo incolti, comporterebbe di dover rimuovere almeno 20 cm di terreno superficiale dalle aree infestate, in osservanza di una normativa regionale per contrastarne la diffusione. Si teme infatti che questo sia soprattutto un pretesto per intervenire sui terreni in modo indiscriminato rendendone impossibile la futura restituzione a verde dopo l’Expo.
Che la situazione di Expo 2015 sia molto critica, che essa sia stata gestita politicamente in modo inadeguato e non corrisponda alle aspettative a gli impegni che Pisapia ha assunto nel suo programma elettorale, è indiscutibile e sotto gli occhi di tutti. E le incomprensioni tra il sindaco e Boeri, per quanto ricomposte, non hanno certo contribuito a migliorare la situazione.
Pisapia deve dimostrare di saper prendere in mano la situazione e assumere immediatamente le decisioni che gli consentano di rispondere agli impegni con gli elettori, avviando concretamente quella Expo diffusa e sostenibile che fa parte integrante e non secondaria del suo programma elettorale. Il pericolo del fallimento si fa sempre più consistente e le incerte le previsioni sul numero dei visitatori e la crisi economica di tipo strutturale che non si risolverà certo entro il 2015, condizionano pesantemente non solo noi ma anche i Paesi partecipanti per le risorse sempre più limitate che si avrà la possibilità di investire.
È certo che l’attuale e persistente acutizzarsi della crisi economica planetaria pone le condizioni per rinegoziare con il BIE la formula della manifestazione e sarebbe quindi opportuno proporre immediatamente di evitare gli sprechi e fare un uso più appropriato delle poche risorse disponibili sia da parte nostra che di tutti i paesi ai quali non è infatti ragionevole, chiedere di spendere milioni di euro per realizzare i propri padiglioni che dovranno poi essere “smontati”, per non dire demoliti, con un enorme spreco di risorse.
Con la rinuncia alle serre è certo che anche quel poco che rimaneva del Parco Agrolimentare, che rappresentava certamente l’idea fondamentale per tentare rinnovare i contenuti dell’Expo, è sparito e potrà ormai essere realizzato solo se verrà distribuito nei territori a scala regionale, piuttosto che tentare di rimediarvi affastellandolo assieme ai padiglioni entro il sito in prossimità della Fiera di Rho-Pero.
Che l’Expo si riduca, per ben che vada, a una kermesse gastronomica è purtroppo ormai inevitabile e l’ultima opportunità per salvaguardarne e promuoverne i contenuti originari è proprio quello di portare avanti con determinazione un “fuori expo” alternativo, diffuso e sostenibile legato ai territori, che restano gli unici veri depositari delle tradizioni, delle culture materiali e dei saperi che hanno prodotto le nostre eccellenze.
Ma se il sindaco Pisapia, avvalendosi della ritrovata collegialità della giunta, non sarà in grado di assumere con coraggio e determinazione le decisioni necessarie a realizzare una manifestazione che rispetti il proprio programma elettorale, l’Expo, più che diventare la grande opportunità per Milano e per il Paese come egli non si stanca di ripetere, sarà la tomba della nuova amministrazione.