Talvolta ritornano
di Angelo Ariemma –
Una politica indegna di questo nome cerca ancora una volta di fare leva sulle reazioni irrazionali, sugli impulsi più primitivi, sulle parti più incattivite o più ingenue della popolazione per tutelare gli interessi, non sempre confessati e confessabili, di gruppi ristretti di persone. Storie antiche, un passato che riaffiora dalle secche di una transizione incompiuta. Ma oggi un appiglio solido c’è, anche se il cammino è irto di ostacoli
Eccoci al redde rationem. I tanti critici di Monti saranno contenti. Ritorna il Caimano 2, la vendetta, con tutta la drammaticità dell’onda mediatica che ripropone questi personaggi che ci riporteranno sull’orlo del baratro, da cui ci eravamo appena allontanati. Certo, Monti avrebbe dovuto essere più incisivo, ma ora appare a tutta evidenza sulla nostra carne, a quali ricatti era sottoposto. Il governo ‘tecnico’ comunque doveva rispondere a una maggioranza, e nel Parlamento ancora c’è quella maggioranza di personaggi ignoranti, supponenti, egocentrici, che badano solo al loro interesse.
Così si torna al populismo televisivo: la critica al governo Monti, la critica all’Unione europea, proclamando una propria verginità nei confronti di una crisi che invece il governo precedente non ha saputo affrontare. Mentre dall’altra parte si assiste all’urlo di chi vorrebbe tornare alla lira, quando, se avessimo avuto la lira ora, già saremmo con le pezze ai pantaloni.
Invece risulta tanto più evidente adesso che l’unica speranza risiede nell’Europa, che finalmente diventi un’Europa federale, dove si possa scegliere tra opzioni diverse, ma ugualmente plausibili, per es. Hollande o Merkel.
Qui vogliamo far nostro il discorso che propone Piero Angela (A cosa serve la politica?, Milano, Mondatori, 2011): il senso della politica risiede nella ridistribuzione del reddito, ma è inutile accanirsi su questo quando il reddito da ridistribuire scarseggia. Prima di tutto occorre produrre ricchezza e saper distinguere crescita da sviluppo. La prima può riguardare solamente i dati economici, mentre lo sviluppo riguarda la tecnologia avanzata, la conoscenza, la cultura di un paese.
Qui è lo snodo: da 40 anni è stato diffuso tramite il sistema delle televisioni un modello culturale che invece di privilegiare la conoscenza, il merito, la professionalità, ha portato alla ribalta quelli che da sempre sono i nostri peggiori difetti: l’arte di arrangiarsi, la raccomandazione, il nepotismo, fino a formare una classe dirigente inetta ed egocentrica. Un modello culturale che, da 40 anni, ha condizionato le coscienze di chi non aveva gli strumenti per comprendere il vero messaggio che quella tv ha veicolato e per affrancarsene. Gli esempi di come tutti, anche chi oggi vuol presentarsi ammantato di verginità, siano stati succubi di quel modello, sono fin troppi, e non voglio tediarvi con il loro ricordo, ma sarebbe bene non dimenticare. Così come non bisognerebbe dimenticare che, con una politica sedicente liberista, ci ritroviamo col più grande monopolio esistente, per giunta in un settore nevralgico per la democrazia, come quello della comunicazione, e oltretutto con una nuova tecnologia, il digitale terrestre, che se non fosse quella fregatura che è, l’America l’avrebbe adottata già 20 anni fa.
Dobbiamo riportare in auge i veri valori che fondano una società; ma in questo solamente l’Europa ci può aiutare, non solo perché negli altri paesi europei questo modello ha avuto fieri oppositori, ma soprattutto perché i piccoli stati nazionali non hanno più la forza di incidere in un mondo globalizzato. Solamente se questi stati avranno la capacità di rinunciare a qualcosa della loro sovranità nazionale per metterla in comune in un’Europa federale, potranno avere una prospettiva di sviluppo.
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (E. Montale)
Ma forse noi una cosa possiamo dire di volere qui e ora: gli Stati Uniti d’Europa.