di Rossella Aprea –
Emma Tagliacollo, docente di Architettura presso l’Università La Sapienza di Roma, autrice del libro di recente pubblicazione “La progettazione dell’Eur. Formazione e trasformazione urbana dalle origini a oggi”, si rende disponibile con sincero entusiasmo professionale ad incontrarmi e ad affrontare il tema della qualità architettonica, prendendo spunto dal suo libro sull’Eur. Ne scaturisce una conversazione ricca di stimoli, in cui il tema della qualità si intreccia con quello dell’etica, a suo giudizio punto di partenza di qualunque intervento architettonico, come quello della progettualità urbana che non può prescindere dal ruolo centrale e attivo che deve essere riconosciuto al cittadino.
Si avverte in Emma Tagliacollo un profondo amore per Roma, una passione sincera per il proprio lavoro e la convinzione inattaccabile del valore e dei riflessi che l’architettura esercita su tutti i piani della vita sociale.
Incontro Emma Tagliacollo al Macro, Museo di Arte Contemporanea a Roma, nella sede di via Nizza. Un appuntamento in uno spazio architettonico riprogettato e ampliato di recente, una nuova struttura integrata perfettamente nel contesto preesistente, centro dinamico di attività culturali e artistiche nazionali e internazionali. Quindi, cornice ideale per una conversazione sull’architettura. Ci accomodiamo al bar interno, poco prima della sua chiusura e solo la gentilezza del personale ci consentirà di proseguire la nostra chiacchierata per quasi un’ora.
Incoraggiare Emma Tagliacollo a parlare di qualità è come premere il tasto di un videoproiettore, che comincia a far scorrere sullo schermo le immagini di un film che si muovono in sequenza senza arrestarsi, cioè è come assistere al dipanarsi sotto i nostri occhi della trama di una storia.
Quando le chiedo se c’è un modo per definire la qualità architettonica o per descriverla, emerge tutta la complessità e quasi l’inafferrabilità del senso in essa racchiuso.
«Da un lato non possiamo definire la qualità, dall’altro sembra chiaro che cosa sia la qualità. In effetti la qualità non si trova solo nei grandi progetti – come ad esempio il Macro, dove ci troviamo oggi, progetto che possiede un’ottima qualità come inserzione urbana, come intervento di tipo urbano – la qualità si deve misurare e cercare anche nelle piccole cose, come può essere ad esempio la presenza dei cestini dove gettare la spazzatura, come sono progettati e dove sono posizionati nella città. La situazione per Roma, poi, è più complicata, perché è una città che ha assolutamente bisogno di qualità urbana.
A questo proposito mi piacerebbe partire dal mio ultimo libro, ma preferirei poterti parlare di una questione che mi sta a cuore. Se qualcuno mi chiedesse da dove nasce la qualità, non potrei non rispondere che dall’etica. Mi colpisce molto il grande numero di progetti che vengono affidati direttamente senza un concorso agli architetti più conosciuti, a Roma e in Italia ne abbiamo molti esempi. Il fatto di preferire un incarico diretto a un concorso, sia nazionale, sia internazionale, mi sembra sempre un’occasione perduta per la città e anche per la cittadinanza. Pensiamo alle piazze, che sono luoghi di connessione tra le persone e spazi vibranti delle nostre città. E’ su questo tema, infatti, che i progettisti possono misurarsi con il concetto della qualità urbana, perché cosa rappresenta maggiormente la qualità urbana se non appunto la piazza? Comunque tutti gli interventi devono essere condotti e realizzati da un punto di vista etico, spesso si tende a chiamare un grande nome, come se non si volesse rischiare.
Roma, per quanto sia, è una città che riesce a sostenere abbastanza bene i cambi di scala del progetto e direi che regge nelle sue proporzioni. E’ una città meravigliosa, dove ho scelto di vivere proprio perché tutte le epoche storiche sono presenti, così da poter essere definita come madre dell’architettura.
Pensa ad esempio al progetto del Museo dell’Ara Pacis di Richard Meier, criticato perché non tiene in considerazione i rapporti e le proporzioni con le chiese di forma barocca di San Rocco e di San Girolamo e con il Tevere. Alcune scelte sono certamente opinabili, ma ritengo sia un bene per la nostra città che questa architettura sia presente, questo perché lo ritengo uno di quei progetti che deve e che può traghettare Roma verso una contemporaneità di cui la città ha assolutamente bisogno.
Questo è uno dei temi che tratto nel mio ultimo libro sull’Eur. Nel saggio presento alcuni progetti, che sono complicati da capire, uno di questi è la propaggine dell’Eur: Eur-Castellaccio. Non si può non notare quanto anche la toponomastica sia importante: Castellaccio aggiunge al suo nome la “qualità” Eur, quasi come se da solo non avesse una propria autonomia. Tralasciando le vicissitudini di questa area, a lungo senza una propria definizione urbana, possiamo certamente dire che parlare di Eur-Castellaccio ci permette di identificarlo come area nei pressi dell’Eur, come appunto una sua parte. Infatti i progettisti hanno, secondo la mia opinione, riprogettato a una scala minore e con proporzioni differenti alcuni temi dominanti che sono propri dell’Eur: come il piano verde, il vassoio verde che lega la monumentalità, la residenza e la viabilità; oppure le torri, che qui diventano la nuova tipologia del grattacielo. E’ chiaro che l’Eur possiede un’ottima qualità urbana, anche grazie al verde che stempera gli edifici monumentali e che crea connessioni tra le parti.»
Mi interessa conoscere anche la sua opinione riguardo alla questione della spersonalizzazione di questo quartiere e del senso di dispersione che suscita in molti. Emma Tagliacollo espone la sua convinzione assolutamente contraria a questa visione negativa e riduttiva.
«Non sono d’accordo, in realtà può accadere che quando siamo all’Eur ci sentiamo estraniati, perché indubbiamente è un quartiere con le qualità della monumentalità, oltre a dare una immagine compatta. Credo che leggere l’Eur esclusivamente sotto il tema dello spaesamento, che certamente è importantissimo, tragga in inganno, perché ci fa fermare a una visione troppo riduttiva. Molti mi hanno incoraggiato a trattare l’Eur sotto il profilo dell’architettura monumentale, mentre io ho scelto in questo libro di puntare alla descrizione dell’architettura residenziale. Si è spaesati all’Eur perché questo quartiere ha dei connotati che sono difficilmente riconoscibili a Roma, ha un aspetto assolutamente incontaminato, contrariamente ad altri quartieri dove edifici sublimi si trovano accanto a palazzine e sono affiancati da edifici, negozi e angoli pittoreschi, popolari, contaminati dalla vita che vi si svolge. L’Eur, invece, così integro e puro, appare lontano dal centro di Roma, dal resto della città; inoltre gli spazi sono dilatati, perché non li possiamo percorrere a piedi.
Il tema dello spaesamento dovrebbe essere indagato ed è legato al problema della percezione del quartiere, del luogo dove noi siamo. Il tema della percezione dipende dalla presenza dei monumenti, degli spazi verdi, ma anche dall’illuminazione naturale degli edifici, cioè da se e come ci batte il sole e da come cala la notte. La percezione è il risultato di tanti fattori che concorrono insieme all’immagine dell’edificio e del luogo. L’Eur ha degli spazi difficilmente penetrabili, tuttavia è un luogo che da solo potrebbe vivere e anche diventare un museo diffuso del moderno, dove si trovano moltissime tematiche che si intrecciano: il tema della monumentalità, il tema della ricostruzione postbellica, il tema degli edifici di abitazione, il verde, i progetti di De Vico.»
Sono curiosa di capire come possa conciliarsi l’immagine dell’Eur come città/quartiere ideale, concepito come espressione del regime fascista, impronta di cui difficilmente si potrà liberare, con il senso di appartenenza che gli abitanti dovrebbero percepire in un quartiere. Mi spiega che c’è un solo modo perché questo avvenga.
«Penso che questo possa avvenire attraverso la partecipazione dei cittadini, come ad esempio lo strumento del contratto di quartiere(*), a cui sono favorevole. Quegli spazi forse vanno vissuti, piuttosto che riprogettati.
La cosa difficile per chi non ci abita è rendersi conto che quello sia proprio un quartiere. L’Eur ha, invece, un’alta qualità urbana, che è data proprio dal sistema del verde e il modo per ricucire questi elementi, forse, di estraneità è proprio quello di lavorare su questo tema. Cosa che purtroppo non si sta facendo. Il progetto originario di Raffaele De Vico è stato infatti distrutto per costruire il famoso acquario virtuale, che si va a trovare in parte sotto il Laghetto. Eppure è da vedere se questo progetto verrà mai realizzato, per ora se ne è distrutta una parte per realizzare una zona di parcheggio e chiaramente il parcheggio è un importantissimo introito economico. Emblematica è anche la vicenda del Velodromo olimpico. Era un’opera bellissima, tecnologica e naturale allo stesso tempo, un esempio di land art, ed era paragonabile a un’opera artistica. L’architettura del Velodromo è stata lasciata decadere, nonostante gli studi universitari abbiano dimostrato che sarebbe stato possibile mantenerla è stata fatta saltare nel 2008 con la dinamite. Questo è quello che mi dispiace: è come se il cittadino rincorresse questa qualità urbana, che poi gli viene negata dall’amministrazione. Lo stesso dicasi per le torri dell’ex Ministero delle Finanze, che si trovano proprio davanti al Centro dei Congressi progettato da Massimiliano Fuksas. Le Torri sono state smontate a causa della sospetta presenza di amianto per realizzare delle residenze di lusso, perché le residenze permettono ottime entrate economiche. Purtroppo il progetto è ora in stallo e la sensazione è quella di aver perduto una parte della nostra cultura tecnologica e architettonica tipica di un periodo storico irripetibile. Anche questo è un problema di tipo etico. Un’amministrazione dovrebbe mettersi nei panni “del buon padre di famiglia” e operare secondo questo modo, anche se il problema non è solo degli amministratori, ma molto generale e diffuso. Le città non funzionano, perché talvolta le amministrazioni preferiscono criteri altri a quelli del merito e della conoscenza delle discipline. Le città diventano spartizioni politiche prive di attribuzioni di incarichi di tipo culturale.»
Non posso evitare di sottoporle una mia convinzione che questo Paese sia, per sua ventura, dotato di una ricchezza inesauribile e che, per sua sventura, mostri, allo stesso tempo, di essere assolutamente incapace di utilizzarla, valorizzarla e gestirla. Le manifesto, cioè, la mia radicata convinzione che si potrebbe vivere anche solo di cultura e turismo.
«Sono d’accordo con te. In un’intervista lo scrittore statunitense Dave Eggers presenta un suo progetto che consiste in una scuola aperta a tutti. Ecco, io ritengo che la cultura dovrebbe essere proprio così, aperta a tutti.
La cultura non deve risiedere, chiusa, esclusivamente all’interno degli scranni deputati a questo compito, luoghi difficili a cui avvicinarsi e da visitare, ma dovrebbe essere disponibile per la strada. Non nascosta al 30° piano di un edificio al centro della città, come dice Eggers, ma presente all’interno del quartiere, con una porta sempre aperta, in modo che possa essere visitata in qualunque momento da chiunque. Questo contribuirebbe a educare la propria curiosità, il proprio cervello, a espandere le proprie idee.»
Torniamo al tema della qualità e della progettazione delle abitazioni, partendo dall’Eur.
«All’Eur c’è anche una buona qualità delle abitazioni, sicuramente perché si tratta di abitazioni borghesi, ma anche per altri motivi di convergenza. Bernardo Selva, ad esempio, ha progettato una delle residenze che ho descritto nel mio libro, quando era ancora studente. E’ un architetto sconosciuto, di cui sto studiando l’archivio. Bernardo è figlio dello scultore Attilio Selva e fratello di Sergio, mosaicista, che ha ideato moltissime opere artistiche presenti proprio all’Eur. E’ quasi una storia familiare e professionale che si intreccia con un’altissima qualità progettuale. Eppure accanto a questo personaggio o ad un altro meno noto, come Felice Sigona, da me intervistato poco prima di morire, ingegnere architetto e pittore dalle forme pure, dall’altissima qualità architettonica, trovi anche maestri come Libera, Quaroni e altri architetti, tra i quali Calza Bini. Questo può contribuire a spiegare la qualità dell’Eur, perché è come se ci fosse stata una commistione tra le parti e le persone, pur in una visione unitaria, rappresentata dal progetto della zona definito da Calza Bini, responsabile dell’Ufficio progetti dell’Ente Eur. Adesso, invece, si lavora esclusivamente “per punti”, e così anche l’Eur rischia di smembrarsi. Ad esempio si interviene sulla piazza e si ignora l’intorno e anche il cittadino; invece bisognerebbe operare nel rispetto continuo per il cittadino, considerando il cittadino parte attiva dell’intervento. Fare del cittadino il protagonista di questi progetti è sicuramente difficile, ma se non si opera in questo modo gli interventi urbanistici non possono funzionare.
L’architettura ha molti punti di contatto con l’economia, la politica, la sociologia, l’antropologia,la letteratura. Ogni sasso che noi spostiamo, ogni progetto che noi realizziamo, concorre a diventare parte del grande romanzo della città, scrivendone una nuova pagina. Questo vale per l’Eur, per Roma, per ogni città.»
(*) I Contratti di Quartiere consistono in progetti di recupero urbano (edilizio e sociale) promossi dai Comuni in quartieri segnati da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano e da carenze di servizi in un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo.