di Carlo Antoni –
“A questi motivi di recriminazione si aggiunsero altri meno nobili che venivano dal costume della vecchia Italia: la consuetudine di scorgere nel governo un’autorità estranea e addirittura nemica, nella polizia non la tutela dell’ordine, bensì l’esoso strumento xell’oppressione, nei tributi la imposizione arbitraria, nel servizio militare una mortificante servitù, nella legge un ordine estrinseco cui era lecito e bello sottrarsi”
“Furono in molti a chiedersi all’indomani della seconda guerra mondiale, o già nel corso stesso della guerra, quale fosse il senso della storia dell’Italia, se essa aveva portato a un disastro come quello della totale sconfitta riportata in quella guerra, e se, già prima, un ventennio di fascismo ne aveva stravolto quelli che sembravano cardini assestati del suo assetto politico e del regime di libertà delineato nell’ordinamento e collaudato da un sessantennio di vita unitaria dell’Italia uscita dal Risorgimento. Era accaduto lo stesso all’indomani della prima guerra mondiale e, ancora più, quando, a metà degli anni ’20, si era avuta l’aperta instaurazione del regime fascista. Allora Giustino Fortunato aveva scritto pagine fra quelle sue più impegnate e dolenti (Dopo la guerra sovvertitrice e Nel regime fascista), esponendo una visione particolarmente pessimistica non solo della storia, ma anche della – per così dire – struttura storica del popolo italiano, definito moralmente pigro. E ugualmente negli anni ’20 erano fiorite tante analoghe analisi, proseguite poi negli anni ’30 (Gobetti, Donati, Gramsci etc.), che avevano esteso o aggravato il pessimismo di Fortunato, dando luogo spesso a una storiografia o, meglio, letteratura storica, che Adolfo Omodeo avrebbe molto severamente giudicato.
Durante o all’indomani della seconda guerra mondiale la riflessione sulla storia italiana fu ripresa con un animus diverso e molto più generale. Non si trattava più, come venticinque anni prima, di darsi conto del perché e del come il fascismo fosse sopravvenuto a distorcere e a conculcare il senso del grande sviluppo liberal-democratico dell’Italia unita, allontanandola dalle altre grandi esperienze liberali e democratiche europee prese a modello nell’Italia post-risorgimentale, come ovvio e naturale approdo della risorta nazione italiana. Allora la Francia e l’Inghilterra erano state perciò, e soprattutto la Francia, il terreno di confronto della recente storia italiana, e il positivo, così come il negativo, che in questa storia recente si ravvisava veniva tutto riportato a questo metro di giudizio.
Sostanzialmente, alla storia d’Italia dall’unificazione in poi erano state volte anche le riflessioni che già durante la guerra del 1915 erano fiorite numerose per la rotta di Caporetto. Di quella sconfitta si era teso a dare ragioni più profonde di quanto sarebbe potuto avvenire se la si fosse letta isolata, come fatto a sé, come un, sia pur gravissimo, rovescio militare: un rovescio di quelli che possono colpire, e hanno spesso colpito, i più agguerriti paesi nelle loro prove belliche, e non già, come allora furono in molti a fare, quale cartina di tornasole di carenze strutturali e originarie dell’Italia unita, nonché ravvisandovi, in non pochi casi, anche carenze derivate da un più remoto corso della storia italiana. Gli analoghi scritti di profonda revisione e di tendenziale, generale pessimismo su questa storia ebbero, dagli anni della seconda guerra mondiale in poi, una impostazione molto più ampia e misero in discussione, certamente, anch’essi, il fascismo e ne cercarono con uguale accanimento polemico le radici, ma non più soprattutto nel precedente cinquantennio, come era accaduto negli anni ’20 e ’30, bensì in tutto il corso della storia d’Italia, a partire già dal Medioevo, se non da Roma. L’Antistoria d’Italia di Fabio Cusin, Il carattere degli italiani di Silvio Guarnieri, e anche Il fantasma liberale di Giulio Colamarino (benché ristretto più specificamente al periodo fascista), furono tipiche espressioni di questo momento di critica radicale dell’intera storia italiana,quale rivelatrice di una vera e propria insufficienza etico-politica degli italiani, che aveva impedito ad essi di avere una storia davvero solidale e convergente, se non comune, con quella degli altri grandi popoli europei. E nello stesso senso avrebbe agito anche la lezione storica promanante dai Quaderni dal carcere di Gramsci, e ciò almeno nella misura in cui lo stesso Gramsci evadeva dalla sua dominante riflessione sul Risorgimento e sull’Italia unita e si protendeva a riflettere sul corso della storia d’Italia del periodo comunale e rinascimentale” (dall’Introduzione di Giuseppe Galasso).
Nel periodo confuso e terribile dell’estate del ’43, un intellettuale italiano, concentrato fino ad allora sui propri studi di storia del pensiero, avverte il bisogno di una riflessione eminentemente politica sul senso ultimo della storia d’Italia. Ne nasce un saggio rapido eppure pensoso, che in poche pagine di eccezionale pregnanza coglie una ad una le cause di lungo corso di quei mali pubblici della nazione ancora oggi ben vivi tra noi.
Carlo Antoni, Della storia d’Italia, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 2012.