di Giuseppe Allegri –
Converrà chiamare “Riforma Damiano-Treu” il Disegno di legge sul “mercato del lavoro” attualmente in discussione alla Camera dei Deputati e comunemente definito “Riforma Monti-Fornero”, soprattutto dinanzi all’inspiegabile urgenza di una sua approvazione a tappe forzate, che i due parlamentari del PD, Relatori della legge, l’uno – Tiziano Treu – al Senato, l’altro – Cesare Damiano – alla Camera, hanno sapientemente inserito nelle corsie preferenziali di lavori parlamentari altrimenti immobili e rissosi. Se ne discute oggi alle 17 all’Assemblea del Quintostato (Teatro Valle occupato)
«Devo arrivare al Consiglio europeo del 28 giugno con la riforma del mercato del lavoro, altrimenti l’Italia perde punti». Quella riforma del Welfare «presto verrà rivalutata anche da coloro che, pur avendola confezionata partecipando alle consultazioni, ora la criticano». Così si è espresso, lapidario e proverbiale, il Premier di unità nazionale Mario Monti lo scorso sabato 16 giugno, ospite de “La Repubblica delle idee”.
Evidentemente dicono molte verità queste due affermazioni.
Da una parte la consapevolezza che l’unica “riforma” che questo Governo agonizzante può incassare è quella sul “mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, come recita il DdL presentato mesi fa al Senato da Fornero e Monti. Sembra un titolo beffardo per un Paese che entra nel quarto trimestre consecutivo di recessione, in cui l’unica cosa che cresce è la disoccupazione, prossima all’11%, mentre quella giovanile è già intorno al 35%. Sicuramente è un successo assai misero per una maggioranza governativa da grande coalizione, chiamata ad approvare “riforme di struttura” e “salvare il Paese”.
Dall’altra la certezza che le parti sociali – il patto dei produttori, di sindacati confederali e Confindustria – hanno contribuito attivamente in sede di mediazione parlamentare del testo (soprattutto tramite il Relatore al Senato, l’on. Tiziano Treu e la sua sapiente mannaia taglia-emendamenti) ed ora fingono – invero in modo assai timido – un’opposizione di facciata, dinanzi al precipitare delle condizioni di vita e sopravvivenza delle persone, ancor prima di poterle pensare “forza lavoro”.
Così ora siamo all’ennesima beffa: verrà approvata in fretta e furia una “riforma” del mercato del lavoro assurta alle cronache solo per l’odiosa querelle intorno all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e alla sua modifica – che “precarizza” tutti e certo non garantisce la tanto agognata “crescita” – e colpevolmente passata sotto silenzio per tutte le altre inique e vessatorie misure previste contro lavoratrici e lavoratori già saccheggiati da oltre un ventennio.
In particolare questo DdL non elimina neanche una delle 46 forme contrattuali precarie introdotte dagli anni ’90 in poi.
Prevede un vergognoso, ulteriore aumento delle aliquote della Gestione Separata INPS per oltre un milione e mezzo di lavoratori autonomi di seconda e terza generazione, portando il montante contributivo dal 27,72% al 33%, in cambio di nessuna prestazione sociale: infatti si andrà a ingrossare le casse del sistema previdenziale, per la Gestione Separata, che dal 1996 raggiunge miliardi di euro (e prima migliaia di miliardi di lire) di attivo, con i quali ripiana i buchi delle altre casse in deficit del super-INPS, non emettendo, fino al 2038, neanche una pensione.
Non introduce alcun “equo compenso” per le lavoratrici e i lavoratori autonomi e indipendenti non appartenenti a ordini, soprattutto delle più giovani generazioni, condannandoli quindi al permanente ricatto del “lavoro a tutti i costi e a tutte le condizioni”, anche gratuite e/o semi-schiavistiche.
Da ultimo questo DdL introduce un’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) che va a sostituire il precedente sussidio di disoccupazione, riuscendo a peggiorare una misura che anche l’Unione europea riteneva iniqua, poiché non universale e fuori dai livelli adeguati di tutele sociali. Così l’ASpI riesce a ridurre la platea e i tempi di fruizione delle garanzie in caso di disoccupazione e non è minimamente applicabile per precari-e, autonomi e indipendenti, salvo il caso di una mini-ASpI, che è una sorta di misera una tantum, i cui requisiti di accesso sono praticamente irraggiungibili per chi si trova in condizioni precarie o autonome in “questo” mercato del lavoro.
Ma soprattutto la beffa maggiore – dinanzi all’urgenza proclamata da Mario Monti – è che tutte queste, pessime, “riforme” entreranno a regime non prima del 2017. Allora verrebbe da chiedere a Governo e maggioranza parlamentare, soprattutto quella dei Relatori del PD: perché dovete prenderci ulteriormente in giro con questa “bufala” dell’approvazione prima del Consiglio europeo del 28 giugno, per una riforma che se verrà applicata – sarà tra cinque anni?
Così, a quindici anni dal “Pacchetto Treu” (l. 196/1997), istituzionalizzazione della precarietà delle forme del lavoro in assenza di qualsiasi diritto, tutela, garanzia ci ritroviamo ancora Treu, in compagnia del sodale collega di partito Damiano, a essere più realisti del re. La loro “urgenza” di salvare il Paese dal default fa perdere la consapevolezza di precipitare milioni di persone nel “default sociale” di un’esistenza senza diritti sociali fondamentali, sprofondata nel nero e nel sommerso. Si tratta di circa sette milioni di lavoratrici e lavoratori flessibili, precari-e, intermittenti, autonomi e indipendenti, che già vengono da vent’anni di vessazioni e che dentro la crisi rischiano condizioni da Working Poor.
Non credo che l’on. Cesare Damiano sia in grado di “fare qualcosa di sinistra”, penso però che entro il 22 giugno, data ultima di presentazione degli emendamenti al DdL in discussione alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, potrebbe presentare quattro emendamenti, con la scusa che la riforma entrerà in vigore nel 2017 e quindi possiamo prenderci pochi altri mesi per cambiarla ed “ascoltare la (mitica) società civile”, come il PD sbandiera di voler fare.
Questi quattro emendamenti potrebbero riguardare:
riduzione delle forme di contratto precarie e flessibili a massimo quattro tipologie, con un corredo di diritti fondamentali di base universali;
tutela del lavoro autonomo di seconda e terza generazione introducendo un “equo compenso” e soprattutto a partire da una redistribuzione delle aliquote della Gestione Separata INPS (adeguando il carico contributivo del lavoratore a quello che le imprese versano per i propri dipendenti, portando al 24% il versamento individuale e all’8 o al 9% il diritto di rivalsa nei confronti del committente; in questa redistribuzione dei carichi contributivi spostare almeno un 3% di questa quota alle tutele sociali, introducendo garanzie di continuità di reddito, maternità, malattia e diritti sociali anche per i lavoratori indipendenti e autonomi, attualmente esclusi da qualsiasi tutela);
introduzione di un reddito garantito di base, come ci chiede l’Unione europea dal 1992, essendo l’Italia – insieme alla Grecia, guarda un po’! – l’unico Paese dell’UE a 27 Stati a non avere questo strumento di inclusione sociale;
prevedere una delega di riforma degli ammortizzatori sociali.
Sarebbero quattro emendamenti di buon senso, dentro una Grande crisi che costringe esseri umani abbandonati da tutti a scegliere la strada del suicidio. E allora, onorevole Cesare Damiano, per far sì che quel sorrisetto malandrino che vediamo sporgere dal suo sito internet non si trasformi nel ghigno insopportabile del saccente politico chiuso nelle stanze di una rappresentanza politica sempre più sorda, faccia qualcosa, se non “di sinistra”, di saggio e pragmatico “riformismo”: presenti questi emendamenti e ottenga il sostegno del Governo. Sicuramente la riforma del mercato del lavoro non diverrà perfetta – tutt’altro – ma avrà contribuito, in minima e insufficiente parte, a riaprire la discussione per una riforma del Welfare in senso minimamente più universalistico, garantista, inclusivo ed equo delle ingiustizie sociali ed economiche che sta continuando a favorire con il suo inadeguato – rispetto a una qualsiasi lontana ascendenza laburista e socialdemocratica – comportamento parlamentare.
Altrimenti parleremo per sempre di questa ingiusta riforma, come dell’ennesima, pessima riforma della sinistra italiana, targata Damiano-Treu.