Una comunicazione vuota di valori e contenuti
di Angelo Ariemma –
La nostra vita, sia individuale che collettiva, si muove oggi anche in uno spazio virtuale che è venuto a integrare e talora a sopraffare o addirittura sostituire lo spazio sociale cui eravamo abituati. Non si tratta né di idolatrare né di demonizzare questa nuova dimensione della nostra esperienza. Si tratta di capire cosa ci può dare, cosa può aggiungere al nostro mondo vitale e non per becero intrattenimento o come scorciatoia al successo, funzione che da alcuni anni ormai svolge la televisione.
Partiamo dal recente libro di Franco Ferrarotti (Un popolo di frenetici informatissimi idioti, Chieti, Solfanelli, 2012) per proporre alcune riflessioni sul mondo contemporaneo. Ferrarotti analizza con crudezza la situazione dei nativi digitali, non più educati alla cultura della lettura analogica, sequenziale e quindi storicamente determinata; ma invasi e succubi della cultura dell’immagine, immediata, sempre presente, priva di passato e di futuro, perché immediatamente fagocitata da nuove immagini, quindi le informazioni, pletoriche, non sono filtrate dal sapere ‘riflesso’ dentro di sé, nelle memoria storica, che irrimediabilmente si perde. In questa riflessione nulla si salva, anzi, proprio il web, con la sua straripante ricchezza informativa, viene additato come primo responsabile di questa privazione di concentrazione critica, di memoria, di responsabilità individuale.
Non vorremmo però incorrere in una sorta di luddismo, e come quel movimento, che distruggeva le prime macchine, imputare alla tecnologia la nostra miseria. Si è visto poi come proprio quelle macchine e la tecnologia abbiano, almeno nel mondo occidentale, alleviato la fame, alleggerito le condizioni di lavoro, permesso il welfare, consentito l’emancipazione della donna, allungato l’aspettativa di vita e soprattutto ridotto drasticamente la piaga della mortalità infantile.
Ecco allora che riflessioni aggiuntive le traiamo dal libro di Francesco Tissoni (L’editoria multimediale nel nuovo web, Milano, Unicopli, 2010). Qui si cerca di capire cosa sia e rappresenti questo nuovo web, a cui non si risparmiano critiche, perché nella facilità di interfaccia e nella velocità di ricerca, si nasconde la trappola della scarsa pertinenza e della poca attendibilità dei risultati. L’analisi si sofferma allora sulle nuove forme di web, che cercano di superare questa primigenia passività. Il web 2.0, che include i vari socialnetwork, i blog, tutto questo mondo in cui ognuno può immettere testi, foto, video ecc., condividendoli con i suoi ‘amici’ e comunque con l’intera rete, si propone di sfruttare l’intelligenza collettiva, senza un controllo editoriale, senza una catalogazione vera e propria, ma con semplici tag apposti dagli utenti; tuttavia il controllo dai contenuti si è spostato alla piattaforma, e la piattaforma è tale da condizionare anche il contenuto. Si arriva così al web semantico: una infrastruttura pensata per il recupero intelligente delle informazioni, dove i dati vengono messi in relazione fra loro, attraverso metadati, ontologie, mappe mentali, tutto un sistema di organizzazione del flusso informativo della rete, che però fa fatica a svilupparsi.
Come occorre muoversi? Gli operatori ‘consapevoli’ dell’informazione devono farsi carico di educare, formare, istruire, all’uso delle nuove tecnologie. Non dimentichiamo che il ‘male’ non è nello strumento, ma nella mano di chi lo usa (col coltello ci puoi tagliare il pane per sfamare qualcuno oppure lo puoi uccidere); non dimentichiamo che anche attraverso i libri si possono veicolare sciocche amenità o ideologie perverse. In questa opera di formazione il punto più avanzato ci sembra sia library 2.0. Il mondo delle biblioteche, che per primo ha sfruttato la rete per costruire il catalogo nazionale on-line, e facilitare così l’accesso alle proprie tradizionali risorse; ora si apre ai socialnetwork, per essere sempre più aperto alle nuove generazioni e formarle all’uso dei nuovi media; così come si organizza nella digitalizzazione del vecchio patrimonio librario e nel prestito dei nuovi e-book, e, in prospettiva, nella costruzione di piattaforme per il selfpublishing.
Torniamo quindi al libro di Ferrarotti, che sottintende un discorso, che l’illustre sociologo non approfondisce, riguardo il vero mezzo che privilegia in assoluto l’immagine e la fruizione passiva: la televisione. Ci soccorre qui una recente bustina di Umberto Eco (Selvaggia contro Sciuellen, in “L’Espresso”, 4 ottobre 2012), che affronta proprio la questione di come l’immaginario collettivo, che prima si fondava su testi e personaggi letterari (Ulisse, Gulliver, Madame Bovary, Werther), ora si fonda sui personaggi che appaiono in tv. A nostro avviso questo è il punto nodale che ci coinvolge. Quando ancora la nostra televisione svolgeva un servizio pubblico di formazione e di trasmissione di valori culturali fondativi della civiltà, le giovani generazioni di allora, ma anche quegli adulti, che, per ragioni storico-sociali, non avevano avuto la possibilità di istruirsi, hanno potuto avvicinarsi a tutto un materiale storico-culturale, dal quale altrimenti sarebbero rimasti esclusi. Così tutti, senza distinzione di classe o di reddito, per la prima volta (e purtroppo anche l’ultima), hanno conosciuto le storie della grande letteratura attraverso gli sceneggiati televisivi, si sono avvicinati al teatro di Shakespeare o di Eduardo, hanno preso visione della storia del cinema, dai film muti all’attualità, (e vogliamo dimenticare l’Orlando furioso di Ronconi o Il circolo Pickwick di Gregoretti?). Ma ora che la televisione è diventata puro intrattenimento, spesso becero e idiota, chi non si avvicina a tutto questo per sua propria spinta e passione, ne rimane irrimediabilmente fuori. Ma soprattutto l’immaginario, la mitologia che viene veicolata è che basta azzeccare la scatola giusta per diventare ricchi, basta apparire in tv per diventare famosi; zittiti i valori del sano lavoro, delle competenze specifiche, della fatica per arrivare al successo o accontentarsi dei propri limiti; e vediamo queste scorciatoie dove ci hanno portato. Proprio recentemente ci è capitato di vedere, in una delle tante stazioni d’Italia, un mendicante racimolare i pochi spiccioli faticosamente elemosinati per acquistare cosa? un gratta e vinci! Ci sembra questa la giusta conclusione per un paese che ha voluto perdere la propria capacità propulsiva e si è lasciato abbagliare dal messaggio: arricchitevi tutti, è facile, basta solamente un po’ di fortuna!