di Rossella Aprea –
Decido di contattare Manuela Campitelli, giovane giornalista precaria, da poco più di un anno anche mamma, su suggerimento di una sensibile collaboratrice di Lib21 che segue il suo blog su Il fatto quotidiano. Scopro, poi, che Manuela, oltre a curare il blog su questo quotidiano nazionale, ha creato anche un sito dedicato alla condizione di genitori precari e alle problematiche che sono ad essi connesse. In “Genitori Precari.it” la Campitelli unisce la sua passione per la scrittura all’idea di riuscire a realizzare un progetto che abbia anche un’ utilità sociale, per condividere con altri genitori precari le difficoltà di un ruolo da portare avanti senza aiuti e tutele in una condizione di precarietà che da lavorativa diventa, poi, con il tempo anche esistenziale.
Manuela Campitelli risponde al mio invito con grande disponibilità e in un orario compatibile con il suo impegno di mamma e con il mio di lavoratrice, riusciamo a ritagliarci quasi tre quarti d’ora di conversazione a braccio, senza seguire uno schema, ma scambiandoci pensieri e idee. Capisco rapidamente che proprio la duplice condizione di mamma e precaria in cui si è venuta a trovare, ha fatto emergere in maniera ancora più stridente, se è possibile, le difficoltà e le carenze del nostro sistema economico e sociale, che l’hanno indotta a condividere e scambiare con altri questo universo comune di ostacoli e inefficienze da affrontare quotidianamente. Dal suo sito appare evidente che sono le donne, le mamme a dover affrontare le maggiori difficoltà. Infatti, essere precaria, e per giunta mamma, condanna le donne che hanno fatto questa scelta personale a subire, nel migliore dei casi, severe penalizzazioni nel mondo del lavoro, spesso in termini di avanzamento di carriera, e nella peggiore delle ipotesi, a ritrovarsene tagliate fuori per lungo tempo o in maniera pressoché definitiva. In sostanza come titolava un nostro articolo di qualche mese fa “l’Italia non è un paese per donne”.
La sua storia ha tratti comuni con quelli di altri suoi colleghi e coetanei.
“Ho 32 anni, sono laureata in Scienze Politiche e ho cominciato a fare la giornalista dall’età di 18 anni nei quotidiani locali, e ho lavorato presso varie redazioni romane. Naturalmente sempre come precaria, non ho mai conosciuto la stabilità.”
Si ferma un attimo e pensando alla battuta di qualche giorno prima del Presidente del Consiglio sulla monotonia del lavoro stabile, sorridendo mi dice:
“Io mi sento di dire il contrario, che oggi la precarietà è diventata la vera monotonia. E’ questa la costante, non ci viene fatto sperimentare altro. Noi non cerchiamo il posto fisso, piuttosto la continuità tra un lavoro e un altro. Al sogno del posto fisso ci abbiamo rinunciato, ma certo non al sogno di uno stipendio fisso. Lo stipendio si presume che debba essere costante nella vita, altrimenti c’è qualche problema.”
Subito, però, riprende il filo del discorso.
“Tornando alla mia esperienza, sono stata precaria con contratti allucinanti. A 18 anni, in un quotidiano locale lavoravo come volontaria per fare un po’ di pratica, ma nessuno mi aveva mai spiegato che con il volontariato giornalisti non si diventa, perché per avere il tesserino prima da pubblicista e poi da professionista, un presupposto indispensabile è percepire una retribuzione. Quindi è stato un anno inutile per la mia carriera. Poi, ho iniziato ad avere dei contratti di collaborazione come collaboratrice esterna, anche in questo caso utilizzati male, perché in un quotidiano locale svolgevo di fatto un lavoro subordinato. Stavo in redazione tutto il giorno, gestivo le mail, utilizzavo i computer, svolgevo il lavoro di redattrice. Successivamente ho avviato una collaborazione con un settimanale e contestualmente mi è stato proposto di fare l’addetto stampa alla Regione Lazio per una consigliera indipendente della precedente legislatura.
Ho avuto 5 anni di lavoro continuativo, anche se con un contratto fiduciario, però come giornalista professionista, perché nel frattempo, dopo essere diventata pubblicista, avevo richiesto il praticantato d’ufficio al giornale che mi aveva utilizzato per tanti anni senza contratto fisso. E’ stato l’unico periodo della mia vita in cui ho lavorato in maniera continuativa. Era, comunque, rischioso, perché il mio lavoro era strettamente legato all’attività della consigliera; se questa decadeva, anch’io di conseguenza perdevo il mio incarico. Però, il lavoro c’era ed era anche retribuito. Questo è il primo aspetto che vorrei sottolineare, e che è emerso anche dal mio blog e dai racconti di tante mamme sul sito, e cioè che il lavoro in Italia c’è, solo che spesso non è retribuito.
In Regione ho percepito una remunerazione soddisfacente e adeguata al mio incarico, mentre posso dire che non è stato così per gli altri lavori. Ad esempio, subito dopo la laurea, in un quotidiano locale sono arrivati a pagarmi appena 250 euro al mese, una sorta di rimborso spese.
Poi, sul finire della legislatura sono rimasta incinta, ed è stata quella la svolta della mia vita. Io sapevo che il contratto sarebbe scaduto, ciò non toglie che all’età di 30 anni ci sono anche delle esigenze e cominci a porti delle domande. Una delle domande che una lettrice nel blog mi ha rivolto è stata: “Ma se sapevi che il tuo contratto era in scadenza, chi te l’ha fatto fare di fare un figlio?” Io, invece, penso che la domanda da porsi sia un’altra, se oggi è giusto considerare un figlio un lusso, o, comunque, qualcosa di talmente programmabile, che poi non lo fai più, se aspetti il contratto.
A quel punto, sono diventata una mamma “precaria”. Il contratto è scaduto, quando ero al terzo mese di gravidanza, però non so se questa gravidanza abbia fatto veramente la differenza per il rinnovo del contratto, certo non era un ottimo biglietto da visita per come è considerata la maternità oggi in Italia. Poi, quando è nato il bambino, mi sono scontrata non solo con il mondo del precariato, ma con il mondo del precariato legato alla condizione di genitore.
Così ho deciso di aprire questo blog, un po’ per raccontare come si vive, e poi perché sapevo che sarebbero state tante le mamme nella mia condizione. Ecco, la cosa interessante da evidenziare è che io ho aperto un blog, che si chiama “Genitoriprecari.it”, però mi scrivono prevalentemente le mamme. Alla fine gli uomini o occupano già posti chiave o se non ce l’hanno, non devono comunque fare i conti con problematiche “di genere”, mentre le donne sono quelle che vengono più emarginate e hanno più problemi lavorativi, perché la gravidanza è un momento in cui bisogna assentarsi dal lavoro. E’ tutta una questione di mentalità quella di considerare la donna che ritorna dalla gravidanza una risorsa con un valore aggiunto. E’vero, con delle limitazioni temporali, ma questo perché la paternità non è ancora una conquista riconosciuta e quindi la gestione del bambino ricade tutta sulla donna.
Il mio blog è nato con l’idea di rimettersi in gioco, auto-producendosi, avviando sostanzialmente un progetto familiare, perché la grafica è del mio compagno, mentre i contenuti sono miei. Il blog è nato da tre mesi, non sono finanziata, ma la ricerca di uno sponsor dovrebbe essere il passaggio ulteriore. Il blog è nato il 12 novembre, quando mio figlio ha compiuto un anno. L’idea non è stata, però, quella di creare un blog autoreferenziale, ma uno spazio che potesse favorire la nascita di una rete di mutuo soccorso e di sostegno tra genitori precari. Io non rivendico si essere stata coraggiosa solo per aver voluto mio figlio nonostante la precarietà, io rivendico di aver assecondato un mio diritto naturale.
La mia curiosità mi spinge a chiederle se la sua partecipazione a “Il fatto quotidiano” sia stata antecedente o successiva alla nascita del blog.
La partecipazione a Il fatto quotidiano è nata successivamente alla costituzione di “Genitoriprecari.it”, i cui contenuti hanno attirato la redazione del quotidiano. Mi è stato offerto uno spazio sul giornale, con pezzi in esclusiva. Alla fine sono diventati due spazi (blog) separati. Anche per loro, però, mi occupo prevalentemente di problematiche legate alla maternità, al lavoro, ai figli. Da poco ho aperto una rubrica “racconti precari”, perché mi arrivano molte lettere, così posso pubblicare quello che mi scrivono.
Le chiedo a quali riflessioni, considerazioni è arrivata a seguito di questa sua duplice esperienza di comunicazione.
Ci sono diverse considerazioni che potrei fare. L’idea principale che emerge è il paradosso che più si è qualificati, più si è svalutati, non riconosciuti. Poi, c’è il problema del lavoro femminile. Non lo dico io, lo dice l’Istat, lo dicono i racconti delle mie mamme. Non so perché dalle donne che ricoprono determinati ruoli si esige che rimangano sempre così, non permettendogli di avere un’evoluzione umana. Una volta tornate dalla gravidanza, difficilmente queste donne trovano le cose come le hanno lasciate.
L’approccio al mondo del lavoro è duro per le donne che decidono di essere anche mamme. Una di loro mi ha scritto, che ha scelto di fare tre figli, e credo che non glielo possa negare nessuno, ma l’avanzamento di carriera le è stato bloccato, facendola anche sentire inadeguata; in questo modo, si sono permessi di entrare nel merito di una scelta personale. Sul posto di lavoro quello che ti contestano sono proprio le scelte personali, nel merito delle quali nessuno dovrebbe, invece, permettersi di entrare. Un altro aspetto che sicuramente emerge con forza è una paura da parte di chi dovrebbe diventare genitore. La paura di diventarlo proprio perché la precarietà ti condiziona l’esistenza e più che una precarietà lavorativa diventa ad un certo punto una precarietà esistenziale, senza sicurezze e certezze economiche. D’altro canto le mamme che hanno rischiato, certamente non si sono pentite della loro scelta, ma è interessante notare che molte di quelle che hanno deciso di rimettersi in gioco dopo la gravidanza, hanno trovato enormi difficoltà. Ad esempio, una mamma di Palermo mi ha scritto raccontandomi che ha fatto moltissimi lavori non retribuiti o retribuiti malissimo. In realtà lei ha un figlio e due gemelli e ha deciso di proporre dei corsi di cucina nelle scuole per bambini. L’unico problema è sempre che in Italia difficilmente si incentiva l’iniziativa.
Quindi non solo non ci sono spazi nell’attività pubblica, ma anche quelli che vogliono industriarsi in qualche modo, mettendosi in proprio, trovano ostacoli e resistenze.
Sì, purtroppo, perciò il mio blog si pone anche una finalità sociale. Io stessa, ad esempio, mi sono scontrata con le difficoltà di inserire mio figlio nei nidi comunali. In Italia un precario e un disoccupato si vedono riconosciuti meno punti in graduatoria di un occupato per l’accesso all’asilo nido. Questo perché si presuppone che il precario e il disoccupato possano stare a casa e badare al figlio.
Ma se sono precario e sono disoccupato, forse ho proprio il problema che il lavoro me lo devo cercare e il mio tempo è impegnato in questa ricerca.
Infatti, questo sistema si basa su una concezione che non esiste più, perché è facile che tra un lavoro e l’altro ci sia un periodo di inattività, e invece la domanda per l’inserimento nell’asilo nido comunale si può presentare solo entro i primi 30 giorni di marzo, cioè in un periodo in cui uno si potrebbe trovare in uno stato di disoccupazione
Per questo motivo ho creato una pagina che si chiama “Organizziamoci”, con l’idea di auto-organizzarci per creare un sostegno che passa dal quartiere, dal municipio, tra genitori che si trovano nelle stesse condizioni per condividere una baby-sitter, per andare a prendere i bambini invece che in tre macchine con una, etc.
La tata condivisa in Europa va alla grande, nel Lazio era stato avviato come progetto nella precedente legislatura regionale, poi invece è stato tolto il contributo regionale di tre euro a bambino, che consentiva di pagare la tata la metà del suo costo effettivo. Adesso che il contributo non c’è più, per una baby-sitter bisogna pagare la tariffa intera.
Quali cose ti aspetti da questo blog?
Sono diverse le cose che mi aspetto da questo blog, almeno tre o quattro: una soddisfazione personale, perché mi permette di scrivere, che è quello che volevo fare da grande, la prospettiva di un guadagno economico, perché spero di riuscire a ottenere un finanziamento e della pubblicità, per non dovermi auto-sostenere, e in prospettiva anche la nascita di un progetto editoriale, quando il blog avrà preso piede.
Attualmente penso di concretizzare proprio la parte che riguarda l’organizzazione dei genitori. Domani incontrerò una persona che già si occupa di educazione ed ha aperto una scuola alternativa, che si chiama “Scuola del borgo”. Con questa persona e con altre mamme si sta ragionando sulla possibilità di aprire un micro nido, per sopperire alla loro carenza. E poi, in collaborazione con l’associazione culturale Affabulazione e il supporto di numerose professioniste, stiamo lanciando Punto D, uno sportello a servizio delle donne per fornire assistenza alla genitorialità, al puerperio, al lavoro ma anche assistenza psicologica, legale e medica”
Manuela ha cercato di trovare una soluzione alla sua condizione, facendo tesoro della sua esperienza, convincendosi della necessità di avviare un sistema di mutuo soccorso tra persone che sono nella medesima condizione, in sostanza dando corpo a un’idea in cui la sua aspirazione potesse trovare sfogo, ma senza rinunciare, come ha dichiarato lei stessa, a un’evoluzione umana, alla sua condizione di donna, alle sue scelte personali. Mi domando quanti hanno la capacità, la forza, la fantasia di costruirsi delle opportunità che abbiano qualche possibilità di successo come Manuela.