Geotermia: un’occasione per i sudditi di Sua Maestà britannica (ma non solo)
di Salvatore Aprea –
Dal punto di vista energetico, il Regno Unito è sempre stato autosufficiente, ma con il declino delle riserve di petrolio e gas nel mare del Nord e l’impossibilità di ricorrere al carbone su vasta scala perché troppo inquinante, gli inglesi hanno cominciato a cercare nuove soluzioni, scommettendo anche sulle rinnovabili.
L’energia dei vulcani islandesi al servizio della “perfida Albione”
L’eolico sarà un cavallo di battaglia, ma per svincolarsi dalla sua intermittenza i britannici, in realtà, puntano su un progetto più ambizioso: costruire dei giganteschi cavi ad alta tensione posati sul fondale dell’Oceano Atlantico che colleghino le coste della Scozia all’Islanda, per sfruttare l’enorme energia geotermica sprigionata dai vulcani islandesi. L’Islanda, la più estesa parte emergente della dorsale medio atlantica, è contraddistinta da quotidiane eruzioni vulcaniche, con le camere magmatiche che ospitano materia incandescente a una temperatura di 800 – 1200°C e che danno origine a sistemi idrotermali regolabili e sfruttabili. Il Regno Unito, così, potrebbe garantirsi una parte del proprio fabbisogno energetico, ricevendo fino a 18 TeraWattora l’anno di energia geotermica e idroelettrica imprigionata negli impianti islandesi, da trasmettere a cinque milioni di abitazioni. Per questa ragione il ministro dell’Energia britannico, Charles Hendry, ha visitato l’Islanda a maggio per discutere i termini di un accordo in grado di garantire ai sudditi di Sua Maestà un approvvigionamento fondamentale. Gli islandesi, dal canto loro, sembrano molto interessati. L’economista Vladimar Armann ha spiegato: “Noi islandesi ci siamo abituati a convivere con le eruzioni e con i terremoti, è arrivato il momento di monetizzare questi grandiosi sconvolgimenti terrestri”. Un giro d’affari da dodici miliardi di euro che ha attirato l’attenzione degli inglesi. Per raggiungere l’Islanda, i cavi dovranno percorrere circa 1.000-1.500 chilometri, diventando di gran lunga i più lunghi del mondo. Una volta costruita, l’autostrada anglo-islandese dell’energia pulita entrerà a fare parte di una più ampia rete di interconnessioni europee che entro il prossimo decennio unirà Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Irlanda e Gran Bretagna. L’energia geotermica islandese sarà così “collegata” all’energia eolica e delle onde dell’Europa settentrionale e a quella solare dell’Europa meridionale e del Nord Africa del progetto Desertec, rendendo più continua la fornitura di energia rinnovabile e riducendo in tal modo la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Se l’intera rete venisse costruita, gli interconnettori potrebbero fornire al Regno Unito un terzo del suo fabbisogno elettrico. L’idea della rete è nata dalla più comune delle contestazioni: “Che cosa succede nei giorni in cui il vento smette di soffiare o le nuvole coprono il cielo?”. La risposta inglese è stata semplice: servirsi del sole, del vento e dell’acqua di chi ne ha in eccesso. Entro il 2019, ad esempio, Londra si collegherà alla Norvegia, il regno delle centrali idroelettriche. La forza del vento britannico consentirà, attraverso un interconnettore di 900 chilometri, di stoccare acqua in laghi artificiali sopra i fiordi. Quando ci sarà bisogno di energia saranno aperte le dighe che permetteranno all’acqua il percorso opposto, sfruttando le turbine delle centrali idroelettriche. “Islanda, Francia, Norvegia, Germania, Spagna, ogni angolo del Vecchio Continente può essere collegato e rifornito. E il sistema dei cavi è certamente meno costoso e più produttivo di una miriade di singole centrali”, ha spiegato Doug Parr di Greenpeace.
Pur restando un progetto di una certa difficoltà sul piano tecnico – per ogni chilometro di cavo occorrono 800 tonnellate di rame – gli interconnettori possono essere fabbricati al ritmo di 30 chilometri al giorno. Il piano sarà finanziato dalle aziende che otterranno gli appalti per l’erogazione dell’energia e sebbene occorrano grossi investimenti – il collegamento tra la Gran Bretagna e l’Olanda, costruito nel 2011, è costato 500 milioni di sterline –, gli interconnettori rappresentano la soluzione più conveniente a lungo termine. Per Doug Parr sono il mezzo più economico per sopperire alle interruzioni temporanee della fornitura di energia eolica “perché si evita il costo di costruire centrali…Compreremo ovviamente energia quando il vento non soffia, ma gli interconnettori ci permetteranno di venderla quando soffierà e le nostre fonti di energia eolica sono le migliori d’Europa”.
Inglesi troppo ottimisti? Mica tanto. Sebbene l’uso della geotermia sia diffuso in numerosi paesi da lungo tempo, il suo potenziale di crescita è ancora notevole. Secondo una relazione di Enel Green Power (“Geothermal Energy: An Overview On Resources And Potential”), presentata nel 2009 all’”International Geothermal Days” , nel 2003 la capacità mondiale di produzione elettrica da geotermia era pari a 10 GigaWatt, ma con un potenziale pari a 70 GigaWatt utilizzando le attuali tecnologie e a 140 GigaWatt introducendo dei miglioramenti tecnologici. Il potenziale appare enorme in alcuni paesi in particolare, a cominciare dagli Stati Uniti.
Il calore del sottosuolo potrebbe coprire i consumi elettrici USA
Secondo una ricerca texana condotta dal Geothermal Laboratory della Southern Methodist University di Dallas, resa nota nel 2011, l’energia geotermica potrebbe soddisfare, da sola, l’intera domanda di elettricità degli Stati Uniti. In base a nuove analisi, impiegando tutte le risorse disponibili si potrebbero installare oltre 3 milioni di MegaWatt: tre volte la potenza elettrica complessivamente installata finora negli USA e quasi dieci volte quella di tutte le centrali a carbone americane. L’aspetto ancor più rilevante è che per raggiungere un simile obiettivo sarebbe sufficiente applicare le tecnologie oggi disponibili alle risorse geotermiche collocate a profondità inferiori a 6.500 metri. Lo studio ha sensibilmente rivalutato le risorse geotermiche rispetto agli studi precedenti. Per gli autori la spiegazione sta nell’avere esaminato un maggior numero di siti: circa 35.000, quasi il doppio rispetto al passato. Inoltre negli ultimi anni sono state sviluppate nuove tecniche capaci di sfruttare commercialmente i flussi geotermici a temperature assai inferiori rispetto al passato, finanche solo 100 °C. In questo modo si sono estese notevolmente le aree adatte allo sfruttamento dell’energia geotermica, contando non più solo su alcuni Stati occidentali come il Nevada (dove sono operativi anche impianti di Enel Green Power), ma anche su vaste zone degli Stati centrali e orientali. Per inciso, la ricerca è stata finanziata da Google, che ha reso disponibili i dati attraverso le mappe di Google Earth, in modo che chiunque possa esplorare le risorse geotermiche di ogni Stato, con le rispettive temperature in base alla profondità.
D’altro canto, la ricerca texana sulle notevoli potenzialità geotermiche statunitensi non rappresenta un caso isolato. Gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology di Boston già nel 2007 hanno affermato che con un investimento “appropriato” è possibile ottenere dal sottosuolo degli Stati Uniti un risultato “significativo”, ovvero disporre dal 2050 della maggior parte dell’energia per illuminare o riscaldare le case. L’analisi condotta dai ricercatori del MIT, tra costi e produzione, ritiene che per lo sfruttamento di questo forma di energia sarebbe sufficiente un miliardo di dollari nell’arco di 40 anni. Una cifra assai inferiore rispetto a quella necessaria per la realizzazione di nuove centrali nucleari o a carbone. Sebbene i geyser siano sfruttati sin dagli anni ’20 in varie zone del pianeta, l’utilizzo di questa risorsa non si è mai affermato su vasta scala. Si è sempre ritenuto, infatti, che le fonti di questo tipo fossero insufficienti e poco remunerative. Il progetto del MIT punta a ricavare l’energia geotermica anche dove non ci sono i soffioni naturali, le fenditure che lasciano fuoriuscire il calore del cuore della Terra, attraverso la costruzione di tubature sotterranee in grado di assorbire l’energia termica e condurla in superficie.
Il potenziale geotermico Italiano secondo solo all’Islanda
La frase dello sceicco Ahmed Zaki Yamani, “così come l’età della pietra non finì perché finirono le pietre, l’età del petrolio non finirà perché finirà il petrolio”, è diventata ormai famosa. Sottolinea che l’era del petrolio non terminerà con la sua effettiva scomparsa, ma perché dovrà essere sostituito da una fonte energetica meno onerosa. La continua crescita dei costi di estrazione e la reale difficoltà di scoprire nuovi pozzi petroliferi sta cominciando a costringere già oggi l’economia energetica a indirizzare le proprie risorse verso un ampio spettro di alternative e la geotermia potrebbe diventare una soluzione di rilievo. Una soluzione che potrebbe riguardarci molto da vicino. Secondo le stime di esperti del CNR, infatti, in Italia si potrebbe ricavare dall’energia geotermica il 10% del fabbisogno energetico nazionale, ad un prezzo enormemente inferiore rispetto a quello dell’energia nucleare. Certo, non ci si può produrre la benzina, ma può contribuire a soddisfare la nostra domanda di energia elettrica. Tornerò presto sull’argomento….