Lo sviluppo dal basso è possibile?
Ci sono libri che scavano nella memoria dei territori. Utili per i miei microcosmi. Se poi, come è il caso del saggio di Carlo Borgomeo, si ha l’ardire di riporre al centro “L’equivoco del sud”, ipotizzando come uscita dall’equivoco il link tra sviluppo e coesione sociale, la lettura si fa interrogante sin dalle prime pagine. Dedicate ai 60 anni (dicasi 60) di intervento straordinario con «una politica quantitativa basata sull’offerta» che ha prodotto, per dirlo con le parole del Ministro Trigilia, «uno sviluppo senza autonomia».
Fino a quelle sul dopo intervento straordinario, quando, finita la logica dell’offerta dall’alto di flussi finanziari pubblici che determinavano la domanda, si cercò di passare ad un’azione ed ad un dare voce alla domanda territoriale. Qui il libro di Borgomeo diventa contemporaneamente biografia e riflessione di un grand commis che ad andar per territori, partendo da ciò che rimaneva della stagione del pensiero meridiano, ci ha provato.
Abbiamo fatto un pezzo di strada assieme con le missioni di sviluppo per promuovere la legge 44 che finanziava progetti di micro imprese giovanili e con i patti territoriali per lo sviluppo locale. Due idee non banali per contribuire a colmare il famoso divario tra nord e sud del paese. Che si collocavano nel solco, oserei dire, olivettiano per l’intervento straordinario: stressare e fare comunità locale che diventava il soggetto della domanda di lavoro e sviluppo. Come avveniva al nord e al centro Italia, con il lavoro autonomo di prima e seconda generazione del proliferare dei distretti produttivi dove si metteva al lavoro la coesione sociale e le preesistenti virtù civiche della comunità. Tant’è che sia le missioni di sviluppo che i patti territoriali chiamavano ad essere soggetti di sviluppo, di proposta e di animazione le parti sociali, la società di mezzo evocata da De Rita, allora presidente del Cnel, non il ceto politico logorato e fermo “alla politica quantitativa basata sull’offerta”. Idee che avevano gambe per camminare sui territori e in una società che mostrava allora voglia e rabbia di rottura e liberazione, non solo da un offerta di flussi che non producevano autonomia, ma una voglia di comunità altra dalla comunità maledetta e chiusa del potere mafioso e criminale. Ricordo le riflessioni a proposito dei patti territoriali, che proliferavano sul territorio, sul che fare. De Rita, che fra noi aveva più memoria del prima e del dopo l’intervento straordinario, si interrogava sull’istituzionalizzazione dell’esperienza. Borgomeo, partendo dall’esperienza della legge 44 che selezionava i progetti di imprenditorialità giovanile, proponeva una selezione valutativa dei patti territoriali, ed io, ingenuo movimentista, sostenevo il primato maieutico dell’animazione territoriale che diffondesse la tematica dello sviluppo locale come alternativa allo sviluppo senza autonomia. L’esperienza e il tentativo di sviluppo dal basso dei patti territoriali, a cui si aggiunsero i contratti d’area fortemente voluti dal sindacato per le aree di crisi industriale, anche per l’attenzione dell’allora alto dirigente ministeriale Fabrizio Barca, furono indirizzati nella filiera territorio-regioni-ministero-fondi europei. Da quell’esperienza meridiana mi rimase un libro scritto con De Rita: “Manifesto per lo sviluppo locale”. E, parafrasando Borgomeo, un dubbio: che anche quella esperienza di mobilitazione dal basso sia finita nell’equivoco di una classe politica regionale che la usò più per una “nuova” offerta quantitativa che per una nuova stagione di sviluppo dal basso. Borgomeo sostiene che un’altra politica era possibile. Ma guardiamo all’oggi.
La realtà che ci viene incontro ci ricorda che sull’asse Taranto-Melfi-Pomigliano, dopo la chiusura di Termini Imerese, è aperta la questione di ciò che resta del fordismo e dell’industrializzazione hard promossa al sud. Il tessuto delle piccole e medie imprese arranca nella crisi e nella globalizzazione che ha riposizionato anche il sud. Il turismo e l’agricoltura danno segnali di resilienza in un contesto difficile. Ed è al contesto che ci rimanda con tracce di speranza la chiusura del libro là dove segnala il vero divario. L’educazione dei giovani: abbandonano prematuramente gli studi il 25% in Sardegna, altrettanto in Sicilia e il 22 % in Calabria. La mancanza di asili nido, la carente spesa regionale per servizi sociali dei comuni, la debolezza del diritto alla salute, pur in presenza di un’abnorme spesa sanitaria, sono dati che impressionano. Per aprire un’impresa al sud ci vogliono minimo 30 giorni, a fronte dei 13 al nord e il tasso di lavoro irregolare sfiora il 20% con punte vicino al 30% in Calabria. Dati che pongono la questione sociale come la questione. Borgomeo, oggi presidente della Fondazione Con il Sud, la vede come il vero divario e si è ritrovato con Fabrizio Barca che, nella sua breve esperienza di Ministro della Coesione Territoriale, si è speso per la modernizzazione delle infrastrutture scolastiche e per la rivitalizzazione della coesione sociale nel Mezzogiorno.
Il libro pare dire che, dopo averci provato con la politica dall’alto, con i militanti dal basso, non rimanga altro che puntare sul volontariato come promotore e produttore di coesione sociale. Ci sono storie esemplari di cooperative sociali e di reti di saperi sociali che fanno società. Basterà? Credo sia giusto continuare a mobilitarsi e mobilitare la società, collegandosi a quella cultura di impresa rappresentata ai vertici di Confindustria che con Vincenzo Boccia, Alessandro Laterza, Ivan Lo Bello sostiene che è proprio finita l’epoca dei flussi centrali e regionali e che è giunta l’ora di confrontarsi con il mercato. Con logiche di sviluppo che non possono prescindere da una coesione sociale che forse il volontario con i suoi valori e le sue esperienze può aiutare a rafforzare.
Tratto da “Microcosmi”, Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2013