Come cambia il consumo nella crisi economica
di Vanni Codeluppi –
Dalla crisi economica come crisi di sistema di Aldo Bonomi alla necessità di introdurre forme di controllo del potere economico di Lapo Berti. Il dibattito sulla crisi continua con il contributo di Vanni Codeluppi che riflette sul valore sociale, economico e politico del consumo nell’ambito dell’attuale situazione socio-economica, tema già affrontato da Pierluigi Musarò nel suo contributo “Consumatori o cittadini?…”. Per Codeluppi al sistema economico capitalistico non esistono attualmente alternative credibili, questa consapevolezza dovrebbe far emergere la necessità di sviluppare maggiormente la dimensione etica per far fronte alla disuguaglianza che questo sistema ha prodotto .
È in atto attualmente in Europa una classica crisi ciclica del capitalismo moderno. Una crisi che sta rallentando l’azione di un modello di consumo che si manifestava da molto tempo e che è destinato a riprendersi in seguito in maniera significativa. Vale a dire che certamente gli effetti della crisi in corso sono potenti e si fanno sentire sugli acquisti quotidiani del consumatore, ma, una volta ripreso il processo di sviluppo dell’economia, avranno la meglio le aspirazioni verso un modello di consumo ricco, articolato e in grado di esprimere al meglio la personalità e la posizione sociale dell’individuo.
È possibile però che in futuro l’ambiente naturale possa rappresentare un vincolo, che non sia cioè più in grado di garantire al sistema economico di disporre delle risorse e delle materie prime necessarie. Il che naturalmente determinerà delle gravi conseguenze sullo sviluppo della società e dei consumi. Ma potrebbero intervenire in soccorso i risultati della ricerca scientifica e tecnologica applicata alle nuove forme di energia. Si pensi, ad esempio, alle possibilità legate all’idrogeno e alle cosiddette “energie alternative”.
Un’altra possibile fonte di vincoli per il mondo del consumo potrebbe essere costituita dai movimenti consumeristici, cioè quei movimenti sociali che esprimono una posizione critica nei confronti dei consumi. I movimenti consumeristici hanno generalmente considerato il consumatore come un soggetto di tipo razionale alla ricerca di informazioni relative al prodotto e di un giusto valore per il prezzo pagato. Perciò, hanno incontrato negli ultimi anni delle difficoltà ad affrontare quelle grandi trasformazioni del sistema economico occidentale che hanno determinato una crescita dell’importanza delle componenti simboliche e comunicative.
Da qualche anno, pertanto, ai movimenti consumeristici tradizionali si stanno affiancando nuovi movimenti più sintonizzati con i nuovi fenomeni che riguardano il mondo dei consumi. Tali movimenti sono partiti dalla constatazione che nei rapporti tra i consumatori e i prodotti si è inserito da qualche decennio un nuovo soggetto mediatore: la marca. Questa presenta una natura paradossale, in quanto non è dotata di un’esistenza concreta, eppure per i consumatori è come se fosse qualcosa di reale e fisicamente presente. Negli ultimi anni, la marca è diventata sempre più importante dal punto di vista economico. Non solo: la marca è un soggetto che accresce la sua importanza anche sul piano sociale, è cioè un attore completo che propone all’attenzione generale valori, ideologie, modelli di comportamento, ecc. E lo fa secondo una prospettiva che tende a diventare sempre più transnazionale. I nuovi movimenti consumeristici, perciò, sono caratterizzati anche da una posizione contraria ai processi di globalizzazione che riguardano le principali marche. Contraria cioè alla costituzione a livello internazionale di mercati sempre più omogenei e globali. Ciò avviene innanzitutto per la spinta determinante delle nuove tecnologie comunicative, che rendono sempre più economici e facilmente accessibili i trasporti e la comunicazione, creando quel «villaggio planetario» che era stato profetizzato già molti anni fa da Marshall McLuhan e che omogeneizza i consumatori dei vari Paesi, raggiunti dalla stessa massa crescente di informazioni. Ma anche l’incremento esponenziale delle spese di ricerca, marketing e promozione (causata dalla crescente concorrenza innescata dalla saturazione di molti mercati e dal livellamento tecnologico e qualitativo) e la tendenza verso la staticità del tasso di incremento demografico in tutti i Paesi occidentali spingono le imprese a ricercare quei vantaggi che sono propri delle economie di scala e che sono raggiungibili attraverso la standardizzazione della produzione e del marketing e l’aumento dei volumi di vendita su scala mondiale.
Se è vero però che la cultura mondiale tende progressivamente a globalizzarsi sotto la spinta determinante esercitata dalle grandi imprese transnazionali, che spesso possiedono un potere addirittura maggiore di quello detenuto dagli Stati nazionali e dai loro governi, è anche vero che, allo stesso tempo, è attivo un processo contrario di appropriazione e rielaborazione avviato da parte di culture che si trovano al di fuori del mondo occidentale e hanno la necessità vitale di esprimere la propria diversità. In questo contesto, le marche diventano vulnerabili, in quanto sono un bersaglio molto visibile e ad elevato valore simbolico. Inoltre, dovendo coinvolgere un consumatore sempre più selettivo e difficile da raggiungere, devono comunicare utilizzando i valori e la cultura sociale del consumatore stesso. Assumono pertanto un ruolo sempre più sociale che le costringe inevitabilmente ad aprirsi alla società e quindi ad aprire in tal modo anche degli spazi per la critica. Sono dunque più fragili rispetto al passato. D’altronde, anche le diverse forme di critica consumeristica alle marche acquistano visibilità e perciò, una volta entrate nei flussi sociali, necessariamente si disperdono e si indeboliscono. Inoltre, nel contempo, producono notorietà per le marche e contribuiscono ad alimentarne e rafforzarne l’immagine.
È certo comunque che oggi è cresciuta anche la coscienza da parte dei singoli individui di avere, in quanto consumatori, il potere di giudicare e sanzionare le imprese con le scelte effettuate sul mercato. Al punto che alcuni studiosi hanno addirittura sostenuto che le scelte esercitate nel momento dello shopping possono essere considerate delle scelte di tipo politico. Hanno condiviso cioè un modello che viene chiamato del «consumismo politico», nel quale il potere di scelta dei prodotti nel carrello della spesa viene interpretato come uno strumento in grado di rappresentare una risposta alla crisi dei tradizionali canali di partecipazione politica. Lo shopping in realtà rappresenta una forma d’impegno piuttosto debole, ma si vanno comunque sviluppando in maniera crescente delle critiche verso quell’idea di mercato che era centrale all’interno dell’orientamento dei movimenti consumeristici tradizionali, per i quali la scelta effettuata dal consumatore era necessariamente buona e si trattava soltanto di far sì che essa potesse compiersi al meglio. Oggi il mercato capitalistico appare invece come qualcosa che non è in grado di garantire a tutti scelte vantaggiose e produce dunque forti disuguaglianze sociali. Ma non presenta alternative credibili e non resta pertanto che intervenire su di esso e sulle sue regole per tentare di migliorarne i risultati sul piano sociale. Ne consegue che tende ad emergere la consapevolezza della necessità di assumere nell’ambito del consumo delle forme di responsabilità. La consapevolezza cioè della necessità di sviluppare maggiormente la dimensione etica