Il nuovo patto di governo della collettività
Lib21 segue da tempo l’evoluzione della situazione politica italiana, proponendo analisi e riflessioni che possano contribuire a formare un’opinione pubblica critica e consapevole e soprattutto, speriamo, attiva. In questa prospettiva il deterioramento della democrazia è un tema centrale cui abbiamo dedicato e dedichiamo molta attenzione. Segnaliamo l’articolo di Lapo Berti sul futuro della democrazia. Oggi pubblichiamo un intervento di Claudio Lombardi, animatore del sito Civicolab.
Scrive Lapo Berti: “Il primo ciclo della democrazia italiana si è esaurito. Ha prodotto risultati importanti, tenendo a bada le pulsioni populistiche e autoritarie che da sempre si agitano nel fondo oscuro della società italiana, ha stabilmente insediato nel nostro regime sociale il riconoscimento e la tutela formale dei diritti che fanno la democrazia, ha anche creato, almeno in parte, un’opinione pubblica democratica, ma non ha prodotto l’uomo democratico, non ha allevato quel cittadino attivo che ne è il presupposto necessario.”
Per me l’analisi sulla crisi dei partiti e su quella del rapporto tra politica e cittadini deve partire da qui. Diamo per acquisita la parte destruens che mette l’accento sul percorso seguito e sulle cause che ci hanno portato fin qui, non ripetiamola all’infinito, facciamo un passo avanti. Diciamo che i vecchi partiti sono i responsabili di un sistema di potere incapace di guidare il Paese e distruttore di legalità e di risorse. Constatiamo che gli italiani hanno mostrato in più occasioni la loro disponibilità al cambiamento e alla partecipazione (primarie, referendum, percentuale di votanti alle elezioni politiche costantemente sopra all’80% fino a quest’anno). Cogliamo il valore “rivoluzionario” del clamoroso risultato elettorale del M5S.
Mettiamo in fila questi pezzi del ragionamento e poi domandiamoci cosa c’è che non va. Perché qualcosa non quadra, non c’è dubbio. Per capire meglio cosa, guardiamo al M5S portato in alto da un’onda di protesta e di volontà di cambiamento che non ha eguali nella storia repubblicana. Il M5S annaspa da tre mesi alla ricerca di una sua identità che mandi in pensione l’urlo liberatorio “mandiamoli tutti a casa” che è l’essenza del discorso di Grillo.
Dunque quell’obiettivo strategico non regge alla prova dei fatti perché non ha sostanza, è “contro” in una ripetizione ossessiva di uno stesso concetto e, soprattutto, ha dietro un’idea di democrazia che non organizza la partecipazione. La stessa posizione dominante di Grillo, capo carismatico e autoritario, ne è la rappresentazione più efficace.
D’altra parte anche quelle forze politiche (più movimenti, associazioni e comitati) che non si basano su capi carismatici, ma hanno una concezione molto più rigorosa della democrazia ponendosi, tra l’altro, in una posizione antagonista contro il “sistema” non raggiungono risultati degni di nota. Quando la lista capeggiata da Ingroia non manda nessun rappresentante in Parlamento o quella di Medici a Roma ottiene il 2,3% dei voti significa che anche questa non è la linea giusta.
Dico questo perché se il problema fosse “mandarli tutti a casa” e portare i cittadini in Parlamento o opporsi con durezza allo sfascio del sistema dominante allora già avremmo un sindaco di Roma di sinistra e la maggioranza del Parlamento sarebbe del M5S e di Rivoluzione civile. E invece non è così.
Dunque occorre mettere a fuoco il problema centrale. Lo ha fatto Lapo Berti nel brano citato all’inizio: il cittadino attivo come presupposto della democrazia. Detto ciò bisogna però capire bene di che si tratta. Pensiamo ad una cittadinanza riunita in assemblea permanente che decide su tutto? Siamo fuori strada, nemmeno le assemblee di condominio registrano il tutto esaurito. Lasciamo perdere la via internettiana che è solo uno degli strumenti possibili. In Italia (e in tutto l’Occidente) i cittadini già si esprimono con una miriade di organizzazioni che da sempre sono consultate dalle istituzioni e dai partiti quando si tratta di assumere decisioni inerenti il loro campo. Quindi non è che la mitica società civile sia ignorata dalla politica ed avulsa dalla democrazia. Ma il concetto di cittadinanza attiva è al tempo stesso più ampio e più focalizzato di quello di società civile organizzata perché deve mirare alla politica non alla rappresentanza di interessi settoriali.
Bisogna pensare ad un cambiamento strutturale che apra vie di comunicazione e di coinvolgimento tra cittadini ed istituzioni basate sulla trasparenza come modalità ordinaria di funzionamento del sistema democratico. Ciò richiede, appunto, un mutamento strutturale e di cultura politica e civile.
Troppe volte si parla di partecipazione intendendo quella degli elettori e dei militanti alle decisioni che vengono assunte dal proprio partito. Sbagliato! La prima partecipazione è quella che riguarda i cittadini nei confronti delle istituzioni di governo della collettività. Poi vengono i partiti che hanno la funzione preziosa ed indispensabile di elaborare progetti politici basati su scelte e obiettivi immediati, di medio periodo e strategici. È in questo intreccio fatto di cultura civile e politica che si misura la validità e la legittimità di una presenza politica.
Non si tratta di vedere la cittadinanza attiva come alternativa alla politica e ai partiti o come nuova forma di istituzione. Non facciamoci illusioni e lasciamo perdere i modelli totalizzanti: il prodotto più bello della cultura occidentale è il pluralismo e l’interazione tra una pluralità di soggetti, idee, culture. Questa è l’unica base possibile di un nuovo patto per il governo della collettività.