di Katia Marcantonio –
Nel panorama asfittico e immutabile della politica italiana, i giorni della Leopolda irrompono come un elefante nel negozio di cristalli delle bizantinerie partitiche. Finalmente, si discute in pubblico, sottolineo in pubblico, di contenuti per un possibile programma politico. E’ inevitabile che i 100 punti di Renzi suscitino entusiasmi fragorosi e altrettanto fragorosi dissensi. A noi sembra, anche in considerazione dei temi che tratta lib21, che sia importante discuterne. Con la pubblicazione dell’intervento di Katia Marcantonio, avviamo un dibattito cui speriamo si vogliano aggiungere in tanti, con l’unico intento di parlare di cose concrete e non di sofismi politici.
Ognuno di noi può raccogliere critiche e consensi quando agisce. Se lo fa con determinazione e coraggio, il fenomeno si acuisce.
Può essere criticato quanto vi pare, ma, a 36 anni, Matteo Renzi, dopo essersi letteralmente conquistato il mestiere di sindaco di Firenze, è stato capace di portare alla ribalta contenuti e dibattito sui contenuti per il futuro di questo paese con una concretezza, un metodo e una tempistica degni di un vero leader dei tempi moderni, uno che porta risultati e non aria fritta. Non a caso, “Mica si frigge con l’acqua” è motto della sua terra.
Ciò non toglie che, in Italia, nonostante il periodo di crisi della legalità e dell’economia che i ceti medi stanno subendo e pagando, una personalità fattiva e riformatrice come quella di Matteo Renzi può far paura. A chi? Per capirlo è necessario guardare più da vicino il metodo Renzi.
Dopo i cento punti per conquistare la città che governa, ecco on line, disponibili per tutti e aperte a miglioramenti, subito dopo la convention alla Leopolda, le cento idee per rilanciare questo paese articolate in cinque pilastri:
1.Riformare la politica e le istituzioni;
2.Far quadrare i conti per rilanciare la crescita;
3.Green, digital cultura e territorio;
4.Dare un futuro a tutti;
5.Per una comunità solida e solidale.
Qualche ora dopo viene creato anche un sesto pilastro Darsi da fare fatto da testimonianze: storie di innovazione, coraggio, solidarietà, speranza: tanti volti di un paese che vuole fermamente continuare a essere e a costruire.
Inoltre, ogni cittadino può inviare on-line una nuova proposta che confluisca nei cinque filoni già individuati o che sia altro.
E’ un matrimonio felice tra democrazia partecipativa e format mediatico, tra metodo e voglia di fare.
Così, il metodo Renzi, invita chi vuol fare politica e chi vuol sostenere un progetto politico a dibattere di contenuti, cioè a enucleare problemi, a studiare soluzioni, a mettere a punto miglioramenti, a favorire progresso, a creare sinergie, a ricercare una sintesi di posizioni divergenti.
Nei 100 punti del Big Beng di Matteo Renzi sono articolate con linearità proposte concrete ispirate alla giustizia sociale, alla crescita economica, all’efficiente funzionamento del potere pubblico, alla valorizzazione dell’iniziativa privata, all’ottimizzazione delle risorse disponibili.
Oltre ai principi ispiratori e alla sistematicità, il punto forte che emerge è la predisposizione a un approccio proporzionato al problema, tale da favorire soluzioni bilanciate; per esempio, nel primo macrotema l’idea di sussidiarietà orizzontale viene applicata trasversalmente ai comuni, facendoli diventare un network di centri nevralgici ben collegati, così da eliminare, in capo ai troppo piccoli, le funzioni ridondanti, quelle degli organi di rappresentanza politica.
Il secondo punto forte appare la contestualità, per esempio la condanna del clientelismo, nella seconda sezione, si fa tutt’uno con le riforme strutturali del fisco e degli enti locali. Come cambiare se restiamo lottizzati? Sarebbe come pretendere di correre con una gamba ingessata: tutt’al più si cammina, peraltro caricando peso su una stampella, ma non si corre.
Si potrebbe andare avanti apprezzando l’idea delle auto verdi invece che blu, degli affitti di emancipazione, del completamento dell’informatizzazione dei tribunali, del progetto DAVID per la sicurezza stradale, come si potrebbe cedere alla tentazione del riduttivismo, se preferite, al compiacimento gratuito dei detrattori, sì da dire che questo giovane leader ha solo declinato molte idee degli anni ottanta o, più propriamente, sia consentito, idee tipiche della nota Third Way di Anthony Giddens. O, ancora, si potrebbe essere disillusi al punto da guardare di sottecchi queste cento idee, memori del monito orwelliano in La fattoria degli animali, secondo il quale quando il nuovo diventa potere consolidato immancabilmente si corrompe e ridiventa privilegio, rugoso come la pelle inanimata di Dorian Grey. Alla prima obiezione risponderei che, quand’anche si vogliano ricondurre le proposte di Renzi esclusivamente nell’alveo della Third Way, nessuno aveva finora declinato così puntualmente per l’Italia quella meritocracy and equality, quel pluralism and regionalism, quell’environmental modernization, quel revival of public services che, nel 2002, e non negli anni ottanta, Anthony Giddens proponeva alla London School of Economics “for the future of Britain”.[1] Bisognerebbe essere felici che qualcuno, un italiano, l’abbia fatto, oggi, mutatis mutandis, per il futuro di questo paese, for the future of Italy. Felici che chi l’ha fatto è aperto a ulteriori specificazioni secondo un modello, davvero britannico nella matrice, del progress by doing. Felicissimi che l’abbia fatto al di là della destra e della sinistra, al di là di blocchi e ingessature ideologiche che non sono più adeguate a rispondere a problemi diventati urgenze ormai trasversali a una globalità di paesi e persone, siano esse di destra o di sinistra. Quello che oggi conta, anzi, urge è riformare la regolazione dei mercati finanziari per evitare condotte speculative perniciose per l’economia reale, quella che produce beni tangibili e servizi d’uso comune, è ridurre, con urgenza, il tasso di disoccupazione, è ripensare tutto l’apparato dei poteri pubblici in chiave sociale. Ben venga chiunque dimostri, in base all’esperienza già maturata, di essere capace di farlo, al di là dell’investitura della destra o della sinistra, che, si ripete è fuori tempo, se non altro per l’incombenza dei problemi da affrontare in un momento di crisi. Per meglio comprendere ciò, si consideri un esempio che può apparire una provocazione: il credit default swap cosiddetto “nudo” consente di comprare un’assicurazione su alcuni titoli, inclusi i titoli di stato, senza esserne il proprietario o senza possederli direttamente: insomma con questo contratto finanziario potete assicurare un bene che non è il vostro, fare semplici scommesse speculative che si riflettono sul valore dei beni sottostanti, anzi lo influenzano, ma non arricchiscono l’economia reale, quella dei beni e servizi che impatta sul benessere sociale quotidiano. Bene, questo strumento finanziario squisitamente speculativo non è né di destra né di sinistra, è semplicemente legale, legittimo e consente di speculare niente po’ po’ di meno che sul debito sovrano degli stati, incluso quello italiano che tanto imperversa sulle pagine dei giornali di questi giorni. Di solito, chi specula guarda ai mercati da piani alti: ha, quindi, tutto il quadro informativo sugli andamenti e sui flussi finanziari relativi al bene assicurato non suo.
Certo, in un quadro del genere, la strada delle idee di Renzi è in salita, tanto più perché tocca il tema della redistribuzione del reddito, il potenziamento selettivo della produzione e l’erosione delle rendite, ma il pregio di queste cento idee è di aver fissato il punto di partenza e delineato gli ambiti del lavoro da affrontare, mettendo all’opera i cervelli e rimboccandosi le maniche. Metodo, rigore, perseveranza e, soprattutto, etica sono necessari a fare il resto, ma questo non dipende solo dal leader, questo dipende anche dall’organizzazione che lo sostiene. Ammettiamolo, dipende dalla stessa cultura e dallo stesso senso civico di un paese.
Anche per questo, trovo che il tratto distintivo più raro di questo giovane leader sia l’aver affermato, senza riserve e senza paure, che un politico deve scegliersi collaboratori migliori di lui e consultarli, nel senso che un politico debba avvalersi dell’analisi tecnica e di chi ha le competenze settoriali e scientifiche per farla. Non a caso, uno dei punti forti di John Fitzgerald Kennedy fu quello di circondarsi di una squadra di consiglieri di comprovata competenza e capacità tecnica. E, spesso, di ascoltarli.
Quanto al monito orwelliano sui rischi di corruzione delle idee quando diventano potere consolidato, la reazione non può che prendere spunto dall’osservazione del pendolo della storia fatto di corsi e ricorsi, a volte dolorosi, ma pur sempre lungo la scia di un complessivo, faticoso progresso. Anche qui non bisogna nascondersi dietro al volto del capo; come già detto, se, quando e come l’adesione a un plesso di idee riformatrici riesce a diventare innovazione e rinascita sociale e democratica dipende dall’etica dell’apparato, oggi si direbbe dal network dei collaboratori, dei sostenitori e dei destinatari attivi di quelle idee. In effetti, su questo versante non sono solo le primarie all’interno di uno schieramento politico a poter garantire la fedeltà al programma elettorale. Ma il problema di una maggiore accountability verso gli elettori in corso d’opera, cioè in caso di vittoria elettorale e di “salita” al governo resta una delle questioni aperte più spinose della storia delle democrazie. Chiunque assurga al potere.
Ciò non toglie che chi, oggi, in un periodo di preoccupante crisi economica e democratica si candidi a risolvere i problemi sociali con un quadro progettuale concreto e aperto come quello lanciato dal Big Bang di Matteo Renzi si accinga ad un’avventura assorbente, coraggiosa e fortemente controcorrente. Non meraviglia che coloro che alle idee ricorrono solo per farne poltrona, quelli abituati all’idea della rendita, quelli allergici al dinamismo sociale, quelli che sono “casta” nell’animo, oltre che nello status sociale, abbiano paura del progetto Renzi o, di converso, tendano a strumentalizzarlo a loro esclusivo vantaggio. E poi, diciamolo, c’è sempre un filo d’invidia per le persone brillanti, fattive, imprenditoriali, a prescindere dall’anagrafica. Se a ciò aggiungono l’entusiasmo, poi, sono guai. E allora a Matteo Renzi e a tutti quelli come lui coraggiosi e attenti alla sostanza delle cose, brillanti e giovani nell’animo, è proprio il caso di dirlo: forza e coraggio e cento di questi giorni!
[1] Anthony Giddens, Where now for new labour?” Fabian Society Polity Press, Cambridge.