di Salvatore Aprea –
I biocarburanti prodotti oggigiorno molte volte non sono ecologicamente sostenibili. Conversione di colture riservate alla produzione di cibo, deforestazione, rincaro dei generi alimentari e uso intenso di pesticidi: le cause che rendono i biocarburanti invisi agli ambientalisti abbondano. In futuro però lo scenario potrebbe cambiare radicalmente. Il Bio Architecture Lab di Berkeley ha messo a punto una tecnologia innovativa per la produzione di bioetanolo direttamente dalle alghe e anche il nostro paese, una volta tanto, è all’avanguardia grazie a una tecnologia che ricaverà bioetanolo dalla canna comune.
I motivi per i quali i biofuels sono malvisti dagli ambientalisti non scarseggiano di certo. Dal land grabbing (l’accaparramento su larga scala di terreni in paesi in via di sviluppo, attraverso l’acquisto o l’affitto di grandi estensioni agrarie da parte di compagnie transnazionali, governi e soggetti individuali) alla conversione di colture riservate alla produzione di cibo; dalla deforestazione al rincaro dei generi alimentari e all’uso intenso di pesticidi. I biocarburanti prodotti oggi spesso non sono ecologicamente sostenibili. La CO2 emessa globalmente nella loro produzione può essere decisamente elevata e in più sovente vengono sottratti spazi originariamente destinati all’alimentazione. In futuro però al situazione potrebbe drasticamente cambiare.
Scenari futuri
Grazie ai finanziamenti dell’agenzia del governo statunitense ARPA-E (Energy’s Advanced Research Projects Agency), il Bio Architecture Lab (BAL) di Berkeley in California ha condotto uno studio per produrre carburanti dalle alghe, in parte negli Stati Uniti e in parte in Cile dove gestisce quattro “fattorie di alghe” implementabili in qualsiasi paese dotato di coste, che ha conquistato la copertina della rivista “Science”.
Sebbene siano una fonte ideale di biomassa, le alghe brune fino a poco tempo fa non erano considerate sufficientemente economiche per competere con i carburanti derivati dal petrolio. Finora, di fatto, è stato difficile e dispendioso sfruttarne il potenziale, ma ora un gruppo di ricercatori cileno-statunitensi ha trovato la risposta: un batterio modificato e tratti di costa coltivati a macroalghe. I ricercatori del BAL, infatti, hanno costruito in laboratorio uno speciale microbo in grado di estrarre dalle piante marine i loro principali zuccheri, rendendole una fonte verde e potenzialmente economica da cui ricavare carburanti e composti chimici privi di greggio.
Circa il 30% della biomassa secca delle alghe è ingabbiata in un solo carboidrato, l’alginato, che è il più difficile da digerire dai comuni microbi, ciò che fino ad oggi ha impedito il massiccio sfruttamento dalle alghe per la produzione di etanolo (noto anche come alcol etilico). A questo punto è entrata in campo la genialità dei biotecnologi e, attraverso una complessa operazione di ingegneria genetica, Adam Wargacki e i suoi colleghi del BAL sono riusciti a costruire un nuovo batterio in grado di digerire l’alginato e sprigionare il potenziale energetico delle macroalghe.
Secondo il fondatore del BAL, Yasuo Yoshikuni: “Ci sono almeno quattro buone ragioni che fanno delle macroalghe una fonte ideale per la produzione di biocarburanti: 1) il loro alto contenuto di zucchero, che è garanzia di grandi quantità di biomassa; 2) l’assenza di lignina, ossia di un polimero organico particolarmente “pesante” da digerire; 3) il fatto che la loro coltura non sia in competizione con le coltivazioni alimentari e non comporti il consumo di acqua dolce; 4) il loro essere amiche dell’ambiente in cui vivono”. Attualmente le macroalghe sono coltivate su larga scala in diverse aree del globo, con un raccolto annuo di circa 15 milioni di tonnellate, dove sono usate come nutrimento, fertilizzanti e fonti di polimeri. Il salto di qualità potrebbe essere, allora, il loro utilizzo anche per la produzione di carburanti puliti. Le stime – sostiene Yoshikuni – “dicono che a livello mondiale meno del 3% delle acque costiere sarebbe in grado di ospitare alghe capaci di rimpiazzare oltre 1,6 miliardi di barili di combustibili fossili”. Tanto per capire le proporzioni, nel 2011 la domanda mondiale giornaliera di prodotti petroliferi è stata pari a 87,9 milioni di barili.
Tramite questa tecnologia innovativa, quindi, in futuro si potrà produrre bioetanolo direttamente dalle alghe attraverso processi relativamente semplici. Alla schiera degli entusiasti si è unito anche il direttore del programma Electrofuels di ARPA-E, Jonathan Burbaum: “Questa scoperta suggerisce un percorso interamente nuovo per lo sviluppo di biocarburanti, un percorso che non è più ostacolato dalla limitatezza delle risorse terrestri. Una volta pienamente sviluppate, grandi coltivazioni di alghe combinate alla tecnologia creata dal BAL ci consentiranno di produrre carburanti e sostanze chimiche rinnovabili senza il bisogno di scendere a compromessi con piantagioni di generi tradizionali come grano e canna da zucchero”. Senza dimenticare che la coltivazione di alghe ha un benefico effetto sull’ambiente in generale, sia sopra che sotto il pelo dell’acqua. Questi, tuttavia, sono solo i primi passi di un lungo percorso: i prossimi consisteranno nell’apertura di una struttura pilota in Cile e nell’avvio di nuovi progetti negli Stati Uniti e in Norvegia.
Anche il Belpaese è all’avanguardia
Prima che scatti la domanda di qualche lettore – ovvero, in Italia cosa si fa? – mi affretto a rispondere. Dopo un lustro di sperimentazioni che hanno coinvolto un centinaio di ricercatori di una decina di Università, l’Italia si trova nell’insolita posizione di pioniere tecnologico nel campo delle energie rinnovabili, grazie anche a un’azienda italiana che ha accantonato mais e canna da zucchero e scoperto l’alternativa “green” della benzina da biomassa non alimentare. L’azienda chimica Mossi & Ghisolfi, leader nella produzione di Pet (il materiale per le bottiglie di plastica), infatti, ha deciso di puntare tutto sulla sostenibilità e di cominciare ad affrancarsi dal petrolio, investendo in ricerca e tecnologia 120 milioni di euro – a cui si sono aggiunti 12 milioni di euro della Regione Piemonte – e sviluppando nei propri laboratori di Tortona una tecnologia unica al mondo a suo dire “del tutto auto-sostenibile dal punto di vista economico e finanziario”. La tecnologia, che permette di produrre biocarburanti di seconda generazione dalla biomassa non alimentare anziché dal mais o dalla canna da zucchero, si chiama PROESA ed è il cuore di un progetto che porterà alla creazione di oltre 150 posti di lavoro, alla produzione di 42.000 tonnellate di biocarburante e ad una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 70.000 tonnellate all’anno.
Ingredienti ideali per la tecnologia PROESA sono la paglia del riso, solitamente abbandonata nei campi perché troppo ruvida sia per l’uso alimentare sia per essere destinata alla zootecnia, oppure la bagassa generata dagli scarti della produzione di canna da zucchero. Tra tutte le biomasse non alimentari, però, prevale in particolare la canna comune, che oltre a crescere spontaneamente sui terreni marginali di tutta la Pianura Padana, ha livelli di sequestro di CO2 molto elevati, ha bisogno di poca acqua e pochi fertilizzanti sebbene la resa sia molto alta (10 tonnellate per ettaro contro le 3 del mais) e non incide sulla produzione alimentare. Secondo stime recenti i terreni abbandonati in Italia sono tra 1,5 e 2 milioni di ettari e il valorizzarli, coltivando ad esempio la canna comune, fornirebbe un reddito supplementare all’agricoltura ed eviterebbe problemi connessi ai processi di erosione e di dissesto idrogeologico conseguenti proprio all’abbandono dei terreni.
Le prospettive di questa tecnologia “made in Italy” sono considerate così interessanti che, con due anni di anticipo rispetto alle previsioni, l’azienda piemontese sta già passando dalla fase sperimentale alla scala pienamente industriale attraverso l’avvio della realizzazione a Crescentino, in provincia di Vercelli, del primo impianto al mondo destinato alla produzione di bioetanolo di nuova generazione.
Lo scrittore statunitense Arthur Bloch, autore dei libri riguardanti la nota legge di Murphy, una volta ha detto ironicamente: “Se è verde o si muove, è biologia. Se puzza, è chimica. Se non funziona, è fisica”. Stavolta però siamo di fronte a processi che sono verdi, non sono maleodoranti e, soprattutto, sembrano davvero funzionare…..