Galan, un nuovo ministro per una nuova stagione della cultura?
Sicuramente va riconosciuto al neoministro dei Beni Culturali, Giancarlo Galan, militante in Forza Italia (oggi PDL) dal 1993 e parlamentare dal 1994, di essersi guadagnato in queste prime settimane del suo mandato, il massimo dei voti in comunicazione per come ha saputo gestire efficacemente il suo insediamento e la presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero.
L’annuncio di un piano Roosvelt per la cultura, l’impiego dei fondi europei, l’apertura ai privati, promettendo sgravi fiscali, una serie di richieste, quali la riassegnazione dei proventi della vendita dei biglietti e servizi aggiuntivi al suo Ministero, la modifica dei contratti pubblici per innalzare la soglia della trattativa privata sui beni culturali, nonché le ulteriori risorse necessarie per ultimare il programma delle infrastrutture che comprendono opere importantissime (il palazzo del cinema di Venezia, l’auditorium di Firenze, il museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e l’Accademia di Brera) sono alcuni dei punti trattati nel suo programma. A questo si aggiunga abilmente la sua prima conferenza stampa proprio a Pompei dove era “caduto” il suo predecessore, Bondi, preannunciando da quel luogo un nuovo programma di manutenzione per il sito archeologico disastrato. Ha persino previsto il ricorso ad un Consiglio di Giovani con i migliori laureati a supportare l’attività del Ministero.
“Non servono piu’ soldi ma capacita’ di spendere” o soltanto buone idee?
Galan sembra non aver dimenticato niente e nessuno e il suo programma senza dubbio condivisibile aprirebbe il cuore alla speranza, ma, visto ciò che è accaduto al suo predecessore e il contesto politico nel quale si muoverà il neoministro, la prudenza resta d’obbligo. Eppure, mentre afferma che “non servono piu’ soldi ma capacita’ di spendere”, perché “Quando si ha capacita’, i soldi si trovano”, formula una serie di richieste per rimpolpare la casse del Ministero, punta all’utilizzo dei fondi europei e considera essenziale il supporto economico dei privati.
In pochi mesi siamo passati dalla tristemente famosa affermazione tremontiana “Con la cultura non si mangia” alla neoproclamazione galaniana “La cultura è il petrolio dell’Italia”.
Ora sicuramente si tratta di un incoraggiante passo avanti, ma forse ancora insufficiente, perché lega il nostro Paese ad una visione di mera conservazione del passato e non di rilancio culturale.
La cultura è altra cosa dal petrolio e per ottenere risultati soddisfacenti occorrono investimenti di alto valore economico, a volte persino rischiosi. Il progetto di puntare solo sul turismo per rivitalizzare le città italiane non è più compatibile con la loro rinascita culturale. Mentre un tempo le città italiane accoglievano stabilmente artisti e intellettuali, che vi amavano vivere e lavorare, oggi sono quasi tutte disertate da questi residenti, a vantaggio di città estere come Berlino, Barcellona, Cracovia, dove le idee circolano con più rapidità e in modo efficace, contribuendo a rendere questi luoghi un crogiuolo interessante e vitale. La cultura italiana si è fissata su stereotipi, che non danno spazio alla creatività e allo sviluppo di idee nuove rispetto al gusto affermato.