La forza del dialogo
Il Presidente Mattarella in occasione dell’anniversario dei 40 anni dal rapimento e dall’assassino del leader democristiano, Aldo Moro, ha dichiarato quanto sia necessario “liberare il pensiero e l’espressione politica di Aldo Moro da quella prigione in cui gli aguzzini hanno spento la sua vita e pretendevano di rinchiuderne il ricordo.” Di fatto, è stato effettivamente rinchiuso sia Moro che il suo pensiero per 40 anni. Quella tragedia ha posto una pietra tombale su Aldo Moro, sulla sua esperienza politica, sulla sua lucida diagnosi della politica e della società di quegli anni, ma anche sulla sua capacità di cogliere i bisogni inediti che la modernità metteva in luce e che sono straordinariamente attuali, mai come ora, sulle nuove domande, sulle speranze dei giovani. Per questo motivo Moro è una figura di straordinaria attualità troppo a lungo dimenticato, ricordato solo per quei 55 terribili giorni di sequestro e per l’epilogo tragico.
Tutta la vita di un uomo costretta, rinchiusa, sepolta sotto il peso della tragedia. Eppure Aldo Moro, grande statista, professore universitario amatissimo, uomo di grande spessore morale, “politico della complessità e della laicità” ci ha lasciato un’eredità a cui, in particolare, oggi dovremmo attingere. Incarnò l’idea di un’Italia diversa, offrì una prospettiva di un’Italia diversa.
Di origine pugliese, anticomunista, cattolico, fervente sostenitore della laicità dello Stato, serio, democristiano, politico, ma anche docente universitario impegnato nella formazione, anche politica, dei giovani, abile mediatore, capace di azioni e iniziative inattese, ovvero di lasciare dietro di sè concezioni politiche passate per aprirsi ad eventi nuovi.
Moro aveva una “capacità di visione” politica, che riconosceva centralità all’uomo. Tutte le sue valutazioni partono dall’uomo per ritornare all’uomo, una lungimiranza che è quella che sentiamo così urgente ed indispensabile oggi, una straordinaria capacità di guardare “non solo al domani ma anche al dopodomani”, difficile da riscontrare nel panorama politico attuale. Moro è stato capace di cogliere con grande anticipo i tempi nuovi, di indagare le trasformazioni di una società che diventava sempre più complessa, di mostrare attenzione al mondo giovanile e ai problemi della loro educazione, come anticipazione essenziale del futuro e che in un’epoca di muri alzati contro il mondo globale è stato un costruttore di reti e ponti tra stati e popoli.
Moro avvia la stagione del dialogo, promuove una coscienza politica, che guarda all’Italia, ma anche all’Europa ed è fortemente meridionalista nel senso di favorire una redistribuzione delle risorse in un’ottica di vera e sostanziale uguaglianza tra Nord e Sud.
Convinto europeista negli anni in cui era stato Ministro degli Esteri, considera l’importanza di una convergenza di forze, risorse politiche ed economiche di tutti i Paesi europei, con un’apertura verso i Paesi arabi. Moro si presenta ancora oggi un leader dalla ricca personalità e dalla complessità dell’insegnamento politico-culturale che non consente di tratteggiarne un breve profilo. Proveremo solo a soffermarci su alcuni aspetti essenziali della sua testimonianza politica.
Moro si poneva tre obiettivi di straordinaria attualità nel momento storico in cui ci troviamo a vivere:
1- realizzare in Italia una “democrazia compiuta”, (all’epoca causata dalla contrapposizione ideologica tra PCI e DC) credendo nel compito di guida dei cittadini e non nella accondiscendenza propagandistica;
2- riallacciare rapporti stretti, strutturali tra politica e società civile, puntando alla tutela dei diritti fondamentali;
3- rifondare e adeguare ai nuovi tempi il popolarismo sturziano.
Moro considerava la democrazia parlamentare la più alta sintesi tra libertà e pluralismo, tra solidarietà e giustizia, però lo Stato democratico, a suo avviso, è esposto a rischi ed abusi proprio in considerazione del principio di tolleranza che pure è essenziale. Se “manca il senso dello Stato”, l’anarchia, l’egoismo di singoli e di gruppi e la violenza possono prevalere, abusando di quegli stessi strumenti che la democrazia offre, invece di utilizzarli per il bene comune e la libertà. Si può morire di democrazia quando nei cittadini dovessero venire meno la coscienza morale e la cultura della legalità.
Nel suo ultimo discorso il 28 febbraio 1978 Moro sosteneva: “…temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, della deformazione della libertà, che non sappia accettare nè vincoli nè solidarietà. Questo io temo“. Ma pochi mesi prima (1) affermava anche che “Gli italiani che amano la democrazia, ridicano in questo momento che essi non intendono vederla distrutta dalla violenza, che credono nel suo calore costruttivo, che credono nella sua capacità di creare“.
Su cosa si basa, dunque, la “democrazia integrale”? Su due aspetti: il dialogo e l’alternanza. “Il primo [aspetto] è il dialogo , il contatto con gli altri, il rispetto dell’altrui libertà, dell’altrui pensiero, dell’altrui volontà…c’è una società la quale vuole essere tutta liberata, liberata da ogni condizionamento…: dal bisogno, dall’ignoranza, dall’umiliazione.”(2)
Il secondo aspetto è “l’alternanza”, che un sistema elettorale funzionante ed efficace dovrebbe consentire. Si tratta di un’eredità politica di grande forza democratica, lucida, estremamente attuale, a cui può essere estremamente utile attingere in questo momento.
Il secondo obiettivo era rappresentato dai rapporti stretti tra politica e realtà vitali della società. Già all’epoca Moro coglieva ed avvertiva che “…un tumulto di rivendicazioni e di aspirazioni insoddisfatte scuote [la società] nel profondo” e concludeva che “sarebbe un grave errore, un errore fatale, restare in superficie e non andare nel profondo in termini di contingenza, invece che di sviluppo storico. Tocca alle forze politiche ed allo Stato creare in modo intelligente e rispettoso i canali attraverso i quali la domanda sociale e anche la protesta possano giungere ad uno sbocco positivo, ad una società rinnovata, ad un più alto equilibrio sociale e politico“(3). Questo è stato l’errore, dunque, che hanno commesso i partiti attuali. Partiti che non hanno saputo cogliere questo tumulto, incapaci di creare i canali attraverso i quali la domanda sociale e la protesta potessero avere uno sbocco positivo, lasciando alle attuali forze di governo (M5S e Lega) il modo di intercettarla, indirizzandola verso forme di contestazione aggressive e poco rispettose delle Istituzioni, compiendo “l’errore fatale”.
Moro sosteneva la necessità di un nuovo impegno morale e civile, tale da coinvolgere tutti i cittadini nella difficile opera di costruire la Repubblica come una vera “casa comune”, dove regnino la giustizia e la pace sociale, fondate su una solidarietà fraterna realmente vissuta.
Si tratta di una traccia, di un’eredità politica di straordinaria attualità che andrebbe ripresa e portata a compimento, cercando di condurre con tenacia un’opera di ricomposizione del tessuto culturale e morale del Paese. Occorrerebbe, dunque, tessere pazientemente un nuovo “patto sociale” fra tutti i cittadini di buona volontà, basato su unità morale e salvaguardia del ricco pluralismo culturale del nostro Paese.
Il terzo obiettivo, anch’esso incompiuto, riguardava l’idea di rifondare il popolarismo di ispirazione cristiana, adeguando l’originaria intuizione di Sturzo, sia alle nuove sfide, sia alla cresciuta maturità della riflessione in termini di impegno politico dei cattolici. Il salto di qualità che Moro tentava di far compiere alla DC dell’epoca era quello di aprirsi ai valori cristiani ma in un contesto pluralistico e secolarizzato. I cattolici non sono portatori, a suo avviso, di alcuna verità esclusiva.
In un momento storico-politico in cui assistiamo al prevalere di una modalità di condurre l’attività politica caratterizzata da uno scontro acceso, dai toni aggressivi e minacciosi e dall’attacco alle Istituzioni, ricordare che la “politica” vera, secondo Aristotele l’amministrazione della cosa pubblica per il bene di tutti, è un’altra cosa, debba essere un’altra cosa, è ancora più essenziale. Soprattutto la testimonianza di Moro rende ancor più stridente il contrasto con l’attuale classe dirigente, autoreferenziale, priva di una vera e propria cultura politica e in gran parte di profilo mediocre. Impensabile credere che questa classe dirigente sia in grado di affrontare le problematiche dei nostri tempi, di una società complessa, perchè innanzitutto queste andrebbero comprese. Allora ci si limita a gestire il potere.
Nelle lettere dalla prigione e in molti suoi discorsi Moro profetizzava la degenerazione patologica di un sistema di potere chiuso su se stesso.
In una lettera del 24 aprile del 1978 scriveva “Io ci sarò ancora come punto irriducibile di contestazione e di alternativa” e, dunque, anche a lui potremmo riferirci per giungere ad un riscatto della politica nel nostro Paese che passi attraverso una mobilitazione culturale e sociale, ormai sempre più urgente.
(1) A. Moro, Discorso del 18 novembre 1977
(2) A. Moro, Discorso del 28 aprile 1967
(3) A. Moro, Discorso all’XI Congresso della DC (29 giugno 1969)